Abbiamo intervistato Lorenzo De Felici (disegnatore e coautore) e Annalisa Leoni (colorista) a proposito del loro lavoro su Oblivion Song, uno dei fumetti del momento, ideato e scritto Robert Kirkman: 300.000 abitanti di Philadelphia sono stati misteriosamente inghiottiti in una dimensione parallela denominata Oblivion, infestata da mostri feroci. Dopi dieci anni, le ricerche e i tentativi di soccorso vengono interrotti, e l’unico a non rinunciare è Nathan Cole, che rischia la vita per riportare a casa i sopravvissuti. Queste le premesse narrative del comics, uscito a marzo 2018 per saldaPress in contemporanea con gli USA, dov’è pubblicato sotto l’etichetta Skybound Entertainment. La serie ha avuto una lunga gestazione, dovuta soprattutto agli impegni francesi (Infinity 8) di De Felici, al quale Kirkman non ha voluto rinunciare, che hanno indotto a procrastinare di circa un anno l’effettivo inizio della lavorazione della nuova serie.
Lorenzo De Felici è nato a Frascati nel 1983. Si forma alla Scuola Romana dei Fumetti ed esordisce come colorista. Il suo primo lavoro è sulle copertine della miniserie Caravan di Sergio Bonelli Editore. Prosegue la collaborazione con Bonelli lavorando alla colorazione di Orfani (premiata col Boscarato 2014, al Treviso Comic Book Festival) e alle copertine di Lukas. Suoi sono i colori per Nicola Mari su Dylan Dog n.337 (Spazio Profondo), inizio della gestione di Roberto Recchioni. Nel 2013 si occupa della colorazione della graphic novel Monster University per Walt Disney America. Lavora con la Francia per Ankama Editions realizzando la serie Drakka, per la quale oltre che colorista è anche disegnatore, e Infinity 8 su testi di Olivier Vatine e Lewis Trondheim. Nel 2015 Robert Kirkman lo chiama per i disegni della sua nuova serie Oblivion Song alla quale ha anche fornito un consistente apporto da coautore.
Annalisa Leoni è nata a Roma nel 1986. Attiva dal 2008 nel campo dell’animazione, dei videogiochi e dell’illustrazione; approda ai fumetti nel 2010 lavorando per editori come Glénat, Panini Comics e Sergio Bonelli Editore. Le principali pubblicazioni a cui ha lavorato sono Orfani, Orfani: Ringo, Dylan Dog Color Fest, Milo Manara: capolavori a colori sino al più recente 4HOODS. Dal 2015 è stata chiamata a lavorare al progetto di Oblivion Song con Robert Kirkman e Lorenzo De Felici, col quale aveva già collaborato su Orfani.
Intervista a Lorenzo De Felici e Annalisa Leoni
Partiamo subito con le domande. Come siete entrati in contatto con Robert Kirkman e come è nato il progetto?
Lorenzo De Felici: Una notte mi è giunta una e-mail di Robert che, dichiarandosi entusiasta del mio lavoro, mi proponeva di collaborare ad una nuova serie con lui. Non avevo mai avuto contatti con lui o con la Skybound (se non nelle vesti di lettore), capirete che ho subito pensato si trattasse di un simpatico scherzo. Con mio immenso stupore, era vero.
Annalisa Leoni: Lorenzo mi aveva parlato del progetto al suo nascere; a causa delle tempistiche americane, che richiedono dalle venti alle trenta pagine al mese, era complicato per lui colorare le sue stesse tavole come aveva sempre fatto. Sapevo quindi che erano in cerca di un colorista, ma a quel tempo non ero disponibile perché impegnata con un altro progetto; Lorenzo ne era consapevole così non mi considerò e io stessa non presi neanche in considerazione l’idea, anche se mi avrebbe fatto molto piacere. Nel frattempo Robert e Lorenzo fecero fare dei test ad alcuni coloristi americani, ma nessuna prova andò bene. Dopo svariati mesi il primo numero era ancora in bianco e nero e la figura del colorista era vagante ed io ero nuovamente disponibile, così presentai il mio lavoro a Robert il quale mi fece fare dei test che andarono molto bene ed entrai ufficialmente nel team.
Robert Kirkman è uno degli autori più importanti nel panorama statunitense e internazionale, in questo momento. Come è lavorare con lui? Come si svolge la vostra collaborazione?
LDF: Il nostro modus operandi è il più classico immaginabile. Di numero in numero Robert mi manda la sceneggiatura, io gli rispedisco indietro i layout. Non appena questi sono approvati da lui e da Sean Mackievicz, procedo con la definizione delle tavole e gli inchiostri. Quando anche questi sono approvati, la palla passa ad Annalisa. Alla fine di ogni arco narrativo (all’incirca ogni sei numeri americani) Robert mi dice quale sarà la trama del prossimo e mi chiede cosa ne penso, se ho idee o suggerimenti. Sin dall’inizio della collaborazione Robert mi ha sempre spinto a proporgli senza esitazione idee per qualsiasi cosa, e io ne ho approfittato selvaggiamente.
AL: Il modus operandi è stato già ben descritto da Lorenzo. Per quanto riguarda la comunicazione con Robert devo dire che è sempre molto piacevole. Lui è una persona d’oro ed un grandissimo professionista, entusiasta e sempre attento che tutto proceda per il meglio.
Prima esperienza nel mercato USA. Cosa sta andando e quali sono le lezioni che state imparando? È difficile passare dal modello italiano ed europeo a quello statunitense?
LDF: La differenza principale tra i due mercati è il ritmo delle deadline, in America la macina delle venti tavole al mese risulta sicuramente ostica a chi è abituato ai ritmi europei, teoricamente più gestibili. Per adesso essendo partiti con largo anticipo non mi sento ancora schiacciato dalle scadenze, ma comunque ho avuto il tempo di impostare il mio stile in modo da riuscire a far fronte a questo tipo di ritmi.
AL: Il largo anticipo con cui siamo partiti sicuramente sta aiutando molto; con Orfani sono sempre stata abituata a tempistiche molto strette, ma il tipo di stile di colorazione era anche meno elaborato e più funzionale alla pubblicazione. Avrei voluto utilizzare una colorazione più semplice a fronte delle deadline più strette americane, ma Robert teneva particolarmente al fatto che il colore fosse così elaborato e “cinematografico”, diverso da molti lavori americani.
Avendo lavorato sulla serie Orfani, quanto vi ha aiutato l’esperienza accumulata con scenari post-apocalittici?
LDF: A me di Orfani, più dell’esperienza che ho fatto sul colore che ovviamente non ho avuto modo di trasferire su Oblivion Song, ha aiutato realizzare il design delle creature nella terza stagione della serie (Orfani: Nuovo Mondo) che mi è stato importante per impostare il lavoro che poi ho fatto su Oblivion Song.
AL: Orfani è stato fondamentale per la mia crescita professionale, senza quello non sarei dove sono ora. Lavorare a fianco di colleghi dal grande talento mi ha insegnato tanto e naturalmente anche studiare per ogni stagione delle nuove ambientazioni, personaggi ed in alcuni casi il colore di nuovi mondi, è stato un ottimo allenamento per me.
Nella definizione dei personaggi, qual è stato il processo creativo con Kirkman? Avete avuto delle indicazioni di massima da lui o avete lavorato assieme nello sviluppare il character design di personaggi e mostri?
LDF: Robert mi ha descritto inizialmente il tipo di mondo che avrebbe dovuto essere Oblivion: un ambiente ostile che contenesse nella vegetazione una sorta di elemento “colonizzatore”. Così ho pensato a questa specie di muffa che si espande e ricopre ogni cosa, si insinua nelle crepe e si estende con delle spire fino ad inglobare tutto ciò che circonda. La struttura di Oblivion, che sembra essere un fitto groviglio di liane senza fine e senza una vera e propria superficie, è una conseguenza di questa scelta. Per quanto riguarda i personaggi, Robert mi ha fornito la descrizione di ogni personaggio con indicazioni di carattere, appartenenza etniche e qualche suggerimento sull’aspetto. Per Nathan ad esempio mi ha chiesto di evitare il classico eroe con mascella squadrata e fisico scolpito: Nathan è un uomo qualunque, uno scienziato in forma ma senza allenamento o addestramento militare. Per lo stesso motivo la sua “divisa” da incursione in Oblivion poi non avrebbe dovuto risultare minacciosa, così gli ho piazzato la croce rossa sul petto. Ad un certo punto eravamo soddisfatti del suo aspetto, ma mancava qualcosa che lo rendesse iconico: così ho pensato di avvolgerlo in questa cappa, cucita con una fibra derivata dalla muffa di Oblivion, che Nathan usa anche per mimetizzarsi e passare inosservato dalle creature di Oblivion.
AL: La prima cosa da cui sono partita per lo studio dei colori è stato il fungo che ricopre la dimensione di Oblivion, sicuramente è l’elemento che ha richiesto più prove ed interazioni con Robert e Lorenzo. Insieme abbiamo cercato di capire quale combinazione funzionasse meglio. Deciso quello, per il resto del lavoro mi è sempre stata data molta libertà, non ho mai avuto indicazioni specifiche del colore di ambienti o animali. Con Lorenzo abbiamo collaborato di più, come mi è sempre successo per ogni lavoro precedente, voglio che il disegnatore sia contento del lavoro che faccio sui suoi disegni, quindi nella scelta definitiva dei colori di flora, fauna e personaggi ho sempre voluto una sua approvazione finale.
Da dove nascono le idee per gli esseri mostruosi presenti nel fumetto?
LDF: Per il design delle creature ho cercato di seguire una logica evoluzionistica che partisse dall’ambiente in cui vivono. La loro anatomia è pensata in funzione della struttura di Oblivion: la presenza di arti lunghi, numerosi e pluriarticolati, permette alle creature di destreggiarsi nella giungla di Oblivion, la grande quantità – o totale assenza – di occhi gli permette di orientarsi nel groviglio di liane.
La tua costruzione della tavola si basa su molte vignette orizzontali e campi lunghi, anche nelle scene di dialogo dove il focus si sposta su espressioni e volti. Quali effetti ti permette di raggiungere questa scelta stilistica e narrativa?
LDF: Quando scelgo le inquadrature lo faccio sempre in funzione della comprensibilità del racconto e del ritmo della narrazione. Non amo moltissimo le scene di dialogo con solo primi piani, se posso – e se non rallenta la lettura o toglie troppo il focus dalla recitazione – evito.
Lorenzo, nei tuoi lavori precedenti sei stato impegnato soprattutto come colorista o hai comunque sempre colorato da solo i tuoi lavori. Come è stato per te lasciare il compito a qualcun altro?
LDF: Inizialmente difficile anche perché per me disegno e colore sono sempre stati indivisibili. Lasciare a qualcun altro il compito di “finire” i miei disegni è stato traumatico, per fortuna il compito è ricaduto su Annalisa che è una colorista straordinaria (e molto paziente). Sono molto felice di quello che stiamo facendo e sento di aver imparato tantissimo in questi ultimi anni di lavoro in bianco e nero su Oblivion Song.
Che tipo di sceneggiatore è Kirkman? Interviene molto sulle scelte registiche e di composizione della tavola o lascia libertà di interpretazione?
LDF: Di solito Robert mi dà delle indicazioni di massima, procedendo comunque vignetta per vignetta. Se per qualche vignetta ha in mente delle indicazioni precise me le fornisce, altrimenti mi lascia abbastanza libero.
Annalisa, come è stato lavorare con un disegnatore che spesso è anche colorista?
AL: È stato impegnativo. Lorenzo ha sempre colorato da solo i suoi lavori, il che lo ha abituato a utilizzare il colore come parte integrante del disegno. In Oblivion Song ha dovuto fermarsi prima, al bianco e nero, e affidarsi a qualcun altro (in questo caso a me) e non è stato facile per lui, come non è stato facile per me riuscire a realizzare una colorazione che soddisfacesse sia il mio che il suo gusto, avendo gusti ed idee a volte molto diversi. Comunque con il passare dei numeri ci siamo sintonizzati sempre meglio, sia sulle idee che sulla realizzazione delle tavole, abbiamo capito quali “angoli” smussare e come far filare liscia la collaborazione.
Ci racconti il processo di selezione della palette di colori? Per esempio, incontrando le creature aliene si può notare come le scelte cromatiche giochino un ruolo decisivo anche a livello narrativo, restituendo una minaccia ora più subdola, ora più esplicita.
AL: Come dicevo sopra, la prima cosa che ho studiato è stato il fungo, scelti i suoi colori ho potuto decidere le palette del resto del mondo di Oblivion. Sapere il colore di questo organismo infestante non era solo fondamentale per capire la gamma cromatica del cielo, del terreno e di ogni creatura, ma è servito per strutturare le scene in cui Nathan si muove nel mondo alieno. Il protagonista infatti indossa questo mantello che serve per mimetizzarsi , il quale è composto da un tessuto derivante dal fungo. Perché Nathan vuole passare inosservato, non vuole combattere e distruggere Oblivion. C’è una scelta che apprezzo molto da parte di Robert, un modo di vedere l’altra dimensione che Lorenzo ha riportato con il disegno e che io ho cercato di rispettare con i colori: questa dimensione alternativa non è un inferno, non è una dimensione nata per distruggerci, è solo un mondo diverso dal nostro, nettamente diverso e solo per questo ostile, quindi la mia intenzione con il colore non era quella di rendere la flora nemica o gli animali dei “mostri”, ma semplicemente diversi. Ogni cosa, ogni pianta, ogni creatura è sviluppata in un certo modo per un motivo diciamo evolutivo che abbiamo voluto costruire nelle nostre teste e non semplicemente per mettere paura. La stessa atmosfera di Oblivion è composta di questi colori così estranianti solo perché doveva distinguersi nettamente dalla nostra, anche per esigenze narrative, cioè per rendere il passaggio da una dimensione ad un’altra, da una scena ad un’altra chiaro al primo colpo d’occhio.
Ringraziamo Annalisa e Lorenzo per la disponibilità, e Jacopo Masini di saldaPress per la collaborazione fornita.
Intervista condotta via e-mail nel marzo 2018.