Il mestiere del fumetto: intervista a Sergio Algozzino

Il mestiere del fumetto: intervista a Sergio Algozzino

Sergio Algozzino, apprezzato fumettista siciliano, esplora con lucidità le sfide e le evoluzioni del fumetto.

Durante l’Expo Comics and Games di Palermo tenutosi dal 24 al 27 aprile 2025, abbiamo avuto il piacere di intervistare Sergio Algozzino, autore e fumettista di lunga carriera che ha condiviso il suo punto di vista sull’importanza dei festival per gli artisti. Per Algozzino ogni festival è un’opportunità per entrare in contatto con un pubblico diverso, ma anche per riflettere sull’identità di ciascun evento. Sebbene il suo lavoro non rientri nel mainstream, il suo approccio a questi eventi è sempre caratterizzato dalla ricerca di un’idea forte, un elemento che, secondo lui, deve essere presente in ogni evento per riuscire a lasciare un segno.
Altro tema trattato con l’artista è quello dell’evoluzione del mondo del fumetto, sempre più centrale grazie ai social, alle mostre, ai podcast e alle serie TV, ma anche delle difficoltà che gli autori affrontano in un panorama in cui i dati di vendita stanno cambiando rapidamente. La sua riflessione sulla crescente influenza dei social nel settore, purtroppo confusa dalla sovrabbondanza di contenuti, ci porta a pensare a come il fumetto venga percepito e trattato nel contesto contemporaneo, oltre a considerare come la professione di fumettista sia cambiata e quanto sia importante sapere adattarsi, pur rimanendo fedeli alla propria identità artistica.

Ciao Sergio e grazie per il tuo tempo. Che rapporto hai con il pubblico dei festival? Cosa significa per te partecipare a fiere come questa e cosa ti ha trasmesso in particolare quella di Palermo?
Per me i festival sono come le case editrici, ognuno con le sue politiche editoriali; il rapporto con i festival e il loro pubblico cambia quindi in base al tipo di identità che questo ha. Trovo sbagliato fare liste su quale possa essere il festival migliore, perché a volte sono semplicemente diversi, l’importante è che il festival abbia però un’idea forte, grande o piccolo che sia, non importa.
A livello strettamente personale – nel senso di tipo di pubblico che posso intercettare durante un festival – è chiaro che per il mio tipo produzione sono un po’ limitato nella situazioni più pop.
Ad esempio, non ero ancora mai stato all’Expo Comics and Games di Palermo, anche se ne conosco buona parte degli organizzatori, però vedo un certo tipo di cura e di attenzione per tutta l’area fumetto.

Negli ultimi anni il mondo del fumetto sta vivendo una nuova centralità anche fuori dal contesto editoriale, tra social, mostre, podcast e serie tv. Quanto e come cambia il tuo modo di raccontare e di esserti come autore? È vero, la produzione del fumetto, in Italia, sta vivendo un bellissimo momento, molto eterogeneo, ma al tempo stesso si vende meno, soprattutto per via delle edicole che si stanno ormai estinguendo. Si parla ultimamente spesso delle vendite in libreria ma ci sarebbe anche da riflettere su come quei dati vengano raccolti, perché prima quei dati semplicemente non li avevamo. Dieci anni fa c’erano novantamila edicole, si vendeva di più, oggi in libreria si vendono più fumetti ma sono soprattutto certe mosche bianche a contribuire a queste vendite, non tutti i singoli titoli.

Per quanto riguarda l’aspetto social, come li utilizzi per diffondere i tuoi lavori?
Mi sono sempre mosso su più fronti, un po’ per attitudine personale, un po’ perché nel tempo è diventata anche una scelta professionale. Sono cresciuto in un periodo in cui l’approccio “social” ha iniziato a diventare parte integrante del mestiere di chi fa fumetti. È un cambiamento che ha rivoluzionato completamente il modo in cui lavoriamo. Una volta i disegnatori si limitavano a fare il loro lavoro, anche perché si vendeva di più e non c’era tutta questa necessità di esporsi: non esistevano né tutte queste fiere né quasi il concetto di firmacopie. C’erano autori che semplicemente stavano a casa a disegnare e funzionava.
Oggi le cose sono diverse. Però per quanto ci sia stato un momento in cui avere un profilo social molto seguito poteva fare la differenza, anche in termini di vendite, secondo me oggi quella dinamica si è molto ridimensionata. Le piattaforme sono sature, la quantità di contenuti è enorme e l’efficacia promozionale si è diluita. Anche chi si è adattato più tardi, o continua a usare strumenti come Facebook credendo che abbiano ancora un senso promozionale, si rende a un certo punto conto che spesso non portano a nulla.
La verità è che o hai numeri davvero molto alti – e per “molto alti” intendo almeno 100mila follower – oppure, che tu ne abbia 80mila, 50mila o 10mila, l’impatto concreto in termini di vendite cambia poco o niente. Io sono presente un po’ ovunque: ho anche un canale YouTube con numeri dignitosi, dove parlo costantemente dei miei progetti, eppure una buona parte di quel mio pubblico non sa che faccio fumetti. È come se quell’informazione venisse ignorata, nonostante io la comunichi chiaramente.
Inoltre, c’è una grande confusione su cosa dovrebbe significare definirsi fumettista. Basta guardare Instagram, dove puoi trovare centinaia di profili dove nella biografia sta scritto “fumettista” ma poi scopri che quella persona non ha mai pubblicato nessun fumetto (neanche su Instagram stesso).
Io, per esempio, se facessi dei video con gli amici non mi sognerei mai di scrivere “regista” nella bio del mio profilo. Mi sembrerebbe fuori luogo. Ma oggi basta aprire un profilo, fare qualche post, e il titolo se lo danno da soli.

Pensi che questa tendenza sia dovuta alla volontà di dover di entrare in quella categoria che dà prestigio?
Più che prestigio, penso che l’idea fare fumetti sia presa troppo alla leggera. Ci si lamenta sempre che il fumetto non viene preso sul serio, ma il punto è che molti di quelli che vogliono provare a farlo sono i primi a non saperne nulla, finendo per essere noi stessi la causa di come viene percepito il fumetto.

Il disegno è spesso visto come linguaggio universale. Quanto conta, secondo te, saper raccontare una storia visivamente ancora prima che narrativamente? Quando si parla di fumetto, non ha senso separare disegno e narrazione: vanno di pari passo. È la natura stessa del mezzo. È ovvio che, se un autore non ha dimestichezza con la parte narrativa, può benissimo collaborare con uno sceneggiatore – ed è una cosa assolutamente normale – ma resta il fatto che le due componenti devono funzionare insieme. Saper disegnare molto bene ma ignorare completamente le esigenze narrative non serve a nulla nel contesto del fumetto.
Ed è questo uno dei problemi più frequenti: chi disegna fumetti deve avere ben chiari gli imperativi e le necessità che comporta raccontare per immagini. Si possono incontrare disegnatori tecnicamente straordinari che, però, non sono in grado di costruire una tavola efficace. E al contrario, disegnatori magari più modesti dal punto di vista tecnico possono essere molto più bravi nel fare fumetti. Io stesso, per esempio, mi ritrovo a disegnare una scena anche quindici volte perché, se devo rappresentare due personaggi che parlano in un bar, non posso limitarmi a due figure statiche e ripetitive. Devo trovare un modo per rendere quella scena interessante, coinvolgente, e soprattutto leggibile. E questo è uno degli aspetti più complessi del fumetto: non puoi permetterti di ripetere le stesse pose o le stesse inquadrature, devi far muovere i personaggi, farli recitare.

Quali sono gli stimoli più forti che ricevi dalla scena contemporanea?
Io ricevo continuamente stimoli, perché sono anzitutto un lettore. E dato che non amo fare sempre la stessa cosa, o farla nello stesso modo, cerco costantemente di sovrastimolarmi, mettermi in difficoltà, stressarmi.
Inoltre, durante le fiere o negli incontri a scuola conosco tanti ragazzi, faccio portfolio review, e molti fanno cose davvero molto belle e mi fanno capire che il livello, di generazione in generazione, cambia, si alza, e mi fa dire che devo provare anche io a cambiare, a provare cose nuove.

Sempre parlando di fiere e nuovi autori, credi che queste manifestazioni siano una buona vetrina per sponsorizzare le tue opere o gli artisti emergenti?
Anche in questo caso, dipende: se sai cosa stai facendo allora riesci anche a individuare quali fiere hanno davvero senso per te. Non tutte sono utili allo stesso modo, e non esiste una “democrazia totale” in questo senso—a meno che tu non faccia un tipo di lavoro molto trasversale, che può funzionare più o meno ovunque.
Per questo è fondamentale sviluppare una competenza reale, concreta, su come funziona questo mondo: l’editoria, certo, ma anche l’ecosistema delle fiere. Mi capita spesso – proprio stamattina, ad esempio – che qualcuno mi venga a dire: “Ho questa idea, secondo te a quale casa editrice potrei proporla?” E io ogni volta rispondo allo stesso modo: “Guarda che non è così che funziona”, perché non è solo la storia in sé che determina a quale editore può andare bene, ma anzitutto come la racconti. Se non mi fai vedere nemmeno una pagina, se non so che tono ha, che tipo di narrazione hai scelto, non posso dirti nulla. Una stessa trama può diventare una storia perfetta per Coconino oppure per Bonelli. Cambia tutto a seconda di come decidi di raccontarla, di disegnarla, di trattarla visivamente.
Quindi, quando inizi a lavorare davvero a un progetto, devi essere tu a capire quale casa editrice è più affine alla tua voce, al tuo stile. È un tipo di consapevolezza che si sviluppa solo conoscendo bene il settore. Non puoi basarti solo sulla casualità e pensare che basti “tentare” qua e là. Certo, esistono eccezioni, ci sono storie nate per caso che hanno trovato la loro strada. Ma, appunto, sono eccezioni.
Il problema di fondo è che spesso si sottovaluta cosa comporti davvero voler essere un autore, si sottovaluta quanto sia impegnativa questa professione, quante competenze richieda.

Intervista realizzata dal vivo durante l’Expo Comics and Games il 25 aprile.

Sergio Algozzino

Nato a Palermo nel 1978, è fumettista, sceneggiatore, musicista e youtuber. Collabora con Linus, Disney, Sergio Bonelli Editore, e ha collaborato con Newton Compton, Soleil Edition, Red Whale, Piemme. Nel 2010 ha vinto il premio La Nuit du Livre per Epictete, nel 2015 il premio come miglior fumetto di scuola italiana a Romics per Memorie a 8bit e nel 2017 il premio Boscarato come miglior colorista italiano. Ha pubblicato il saggio Tutt’a un Tratto. Una storia della linea nel fumetto (Tunué, 2005), le graphic novel, Ballata per Fabrizio De Andrè (Beccogiallo, 2008), Pioggia d’Estate (001 Edizioni, 2008), Comix Show (001 Edizioni, 2009), Dieci giorni da Beatle (Tunué, 2012), Memorie a 8 bit (Tunué, 2014), Storie di un’attesa (Tunuè, 2016), Il piccolo Caronte (Tunuè, 2017), la storia Ozzy Osbourne inserita nell’antologia Hellzarockin (Tunué, 2012), Myrna e il tocco della morte (Tunué, 2019), Nelly Bly (Tunué, 2019), La fabbrica onirica del suono (Feltrinelli Comics, 2021). Insegna alla Scuola Internazionale di Comics di Pescara. Nel 2023 esce Crossroad Comics, libro da lui interamente scritto e disegnato, edito da Oblomov Edizioni. Sempre nel 2023, firma il manifesto per Lucca Collezionando, evento primaverile organizzato da Lucca Comics & Games. Dopo alcune sequenze per Dylan Dog Old Boy è appena uscito il Dylan Dog Color Fest scritto da Barbara Baraldi e disegnato e colorato interamente da lui.

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