Alexander è un ex-soldato, traumatizzato per quanto visto durante una missione in Iraq, cacciato dall’esercito per aver denunciato i soprusi dei suoi superiori. Preda dei suoi fantasmi e del suo senso di colpa, trova rifugio nella fede affidandosi completamente alla preghiera. Per questo infervorato attaccamento a Dio e per la sua esperienza militare viene assoldato dai Confessori, una setta di guerrieri al servizio della Chiesa Cattolica che affronta con armi e poteri sacri le Bestemmie, creature demoniache che si annidano nell’uomo.
I figli del silenzio è un’opera che dietro l’evocativa copertina di Mattia Surroz nasconde per buona parte il proprio messaggio, partendo da uno spunto che potremmo tranquillamente definire trash – non necessariamente in senso negativo – per ribaltare poi la propria prospettiva in un finale diviso tra orrore e una morale decisamente esplicita.
Al termine della lettura si apprezza la professionalità dei testi di Andrea Garagiola, con una scansione delle scene mediamente efficace, anche se certi passaggi narrativi risultano però troppo bruschi e le risoluzioni dei conflitti appaiono semplicistiche; specie i flashback che dovrebbero ampliare lo scenario e spiegare le motivazioni risultano affrettati e non svolgono il loro compito. I dialoghi sono sostanzialmente efficaci anche se ampollosi e banali, e il ritmo risulta sempre alto cercando di gestire la quantità di informazioni veicolate nello spazio a disposizione senza tergiversare e senza approfondire comprimari e motivazioni.
I disegni di Cristian Di Clemente mostrano ben amalgamate influenze sudamericane e statunitensi, un segno realistico che alterna linee piene a tratti più nervosi e meno definiti, immerso in bianco e nero deciso ed evocativo e che si mostra attraverso una gabbia molto varia e l’uso frequente di inquadrature storte per aumentare il senso di straniamento; le scene d’azione risultano meno efficaci e maggiormente confuse.
Prendendo come riferimento un autore italiano, il tratto fa pensare a Riccardo Burchielli, per esempio nella resa dei personaggi, con quella venatura di caricaturale per i visi e le espressioni. Sul design dei costumi da battaglia dei Confessori o sulla resa delle Bestemmie si rivela invece una certa mancanza di originalità che sfocia in una costante sensazione di già visto.
Si avverte la mancanza di un qualsiasi accenno di autoironia, di consapevolezza di quella componente trash di cui parlavamo all’inizio: il racconto d’altra parte vuol essere un atto d’accusa, anche pesante e senza traccia di assoluzione, per il potere che hanno le religioni sull’uomo.
Questa seriosità in certi frangenti sfocia nell’involontariamente ridicolo, laddove le premesse stesse del racconto e gli scontri tra Confessori e Bestemmie avrebbero giovato di un approccio più contemporaneo e leggero. Questo avrebbe permesso di sottolineare maggiormente il finale, soffocante e angosciante, nel quale fanno irruzione la miseria dell’animo umano e la sua rappresentazione fantastica sotto forma di un mostrone lovercraftiano.
La scelta di rappresentare i mali della Chiesa sotto forma mostruosa merita una riflessione a parte: fermo restando la posizione che emerge (e che possiamo dare per assodato sia quella degli autori), la presenza di un dio corruttore e tentacolare visto quindi come un male esterno all’uomo e alla sua natura sembra arrivare quasi come assoluzione per gli atti osceni e immorali di cui si accusano i suoi rappresentanti.
Una visione che possiamo trovare troppo semplicistica e manichea nell’indicare cause e origine del male nel mondo. Anche trattandola come ingombrante metafora, in questo piuttosto goffa, la resa non risulta ottimale e resta un messaggio di fondo che sembra cercare di essere iconoclasta ma si rivela piuttosto conformista e inefficace.
Abbiamo parlato di:
I figli del silenzio
Andrea Garagiola, Cristian Di Clemente
Edizioni Inkiostro, 2018
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 12,00 €
ISBN: 9788899413866