Gli immortali Iron Fist è una miniserie in sei capitoli che costituisce la continuazione della storia Iron Fist: l’arma vivente, scritta, disegnata e colorata da Kaare Andrews. Per il sequel l’autore si concentra sulle copertine e sulla sceneggiatura, cedendo ad Afu Chan le matite e a Shelly Chen i pennelli. Per comprendere le vicende nella loro totalità, quindi, si rende necessaria la lettura del primo volume, edito come questo secondo da Panini Comics.
Un’ulteriore precisazione è doverosa, prima di passare al tentativo di analisi dell’opera: Andrews ha creato un sorta di continuity a sé stante e i suoi lavori percorrono una strada diversa da quella imboccata dai colleghi David Walker prima, Ed Brisson poi.
La maggiore differenza riscontrabile rispetto alla saga che precede queste nuove avventure di Danny Rand riguarda i disegni. Mentre Andrews ha assimilato la lezione del Frank Miller de Il ritorno del Cavaliere Oscuro e la ripropone spesso fedelmente, Afu Chan possiede un tratto molto diverso, più dolce e talvolta comico. Egli punta sull’espressività più buffa dei personaggi, calcando la mano soprattutto sulle bocche spalancate o stiracchiate ai limiti della caricatura.
Quando vanno a comporre i volti degli adolescenti, le linee sono curve e morbide, mentre si fanno spezzate e spigolose quando ricreano i tratti di Pugno d’acciaio. La fisionomia dell’eroe è l’unica che lascia davvero a desiderare: quasi irriconoscibile, Daniel non trasmette il fascino del guerriero risoluto né del ricco seduttore.
Al contrario, la giovane coprotagonista e il suo animale domestico, un amichevole draghetto viola, si imprimono nella mente dei lettori. Chan riesce a disegnare entrambe le anime della ragazzina, evidenziando attraverso la mimica facciale e il linguaggio del corpo sia la curiosità e versatilità fanciullesche che l’indole combattiva.
Proprio nelle sequenze d’azione l’artista si dimostra adatto a una serie che prevede la risoluzione dei conflitti a colpi di kung-fu. Con uno stratagemma simile a quello scelto da Carmine Infantino e Gene Colan (vi rimando all’esaustiva analisi di Andrea Gagliardi) ricrea il movimento dei lottatori, riuscendo però a evitare il rallentamento provocato dall’espediente delle immagini addizionali moltiplicate. Senza limitarsi a replicare più volte in una serie di figure consecutive un unico personaggio in azione, dispone nella tavola gli elementi di contorno e un soggetto centrale attorno al quale fa spostare l’esecutore delle mosse di arti marziali. Il risultato è una composizione vivace, in grado di trasmettere la sensazione di dinamismo senza sacrificare la chiarezza descrittiva.
L’avventura raccontata da Andrews è ambientata prevalentemente in una scuola superiore americana. Protagonista delle scene che ricordano quelle viste in tanti film statunitensi, da Mai stata baciata a Mean girls, è una ragazzina proveniente dalla città mistica di K’un-Lun, allieva di Danny Rand. Pei, questo il suo nome, si trova a percorrere la classica parabola da liceale, passando da essere sbeffeggiata dalle compagne più ricche e popolari a diventare l’idolo delle stesse, con grave smacco per le amiche nerd che l’avevano subito accolta. Fortunatamente, non di solo studio vive un’apprendista destinata a proteggere una delle sette capitali del Paradiso e insieme all’immortale Iron Fist combatte alcuni demoni dalle cattive intenzioni.
Il fumettista canadese, puntando su un ritmo elevato e su dialoghi scorrevoli, è bravo a cucire insieme le due trame mantenendo un’atmosfera scanzonata, dalla quale emergono momenti drammatici ed emozionanti. Non manca neppure l’attenzione per le questioni sociali e attuali, in particolare per il disagio provato dalle vittime di bullismo. Il volume si apre proprio con una scena in cui a subire un’ingiustizia è Pei stessa, scambiata per una cinese e accusata di essere strana. Si tratta, quindi, di bullismo condito di razzismo, il risultato più evidente di una serie di comportamenti passivo-aggressivi degli adolescenti più in vista, cui assistiamo lungo tutta la storia.
Il secondo aspetto richiama una sottotrama presente anche nel Daredevil di Charles Soule. Mentre nella testata dedicata a Matt Murdock, l’eroe di recente creazione Blindspot rischia di essere rimpatriato perché è un cinese giunto negli USA in clandestinità, ne Gli immortali Iron Fist Daniel Rand viene accusato dai servizi sociali di costringere una minorenne straniera a vivere nella spazzatura. Il rischio, ovviamente, è di perdere questa sorta di affidamento voluto dal fato, con il conseguente allontanamento della straniera.
Infine, il terzo tema, toccato con grande delicatezza, riguarda la sessualità di una delle compagne di Pei, attratta sia dalla nuova arrivata che dalla migliore amica.
Se gli argomenti affrontati arrivano al pubblico con immediatezza, la chiarezza narrativa, invece, viene meno in un passaggio della sceneggiatura, quando, in linea con i cliché dei licei statunitensi, scocca l’ora del ballo scolastico e dell’elezione della reginetta della serata. Nel giro di poche pagine la personalità della coprotagonista cambia varie volte, l’esito delle votazioni viene truccato da più persone, si verifica un colpo di scena inaspettato ma dalle conseguenze confuse e, in generale, tutti gli attori recitano a singhiozzo e di fretta. Si ha quasi l’impressione che lo stesso Andrews per qualche istante si sia assentato dalla cabina di regia.
All’interno dei canoni imposti dall’ambientazione, che lo sceneggiatore non si arrischia a sovvertire se non per l’inserimento del kung-fu e del soprannaturale, c’è comunque spazio per personaggi ben caratterizzati, coinvolti in interazioni spontanee e brillanti. Dopo la discesa all’inferno fisica e psicologica narrata in Iron Fist: l’arma vivente, Danny torna a essere il ragazzo solare delle origini, un mentore che non fugge dalle responsabilità, ma che le affronta con il sorriso sulle labbra e la battuta pronta. Non è facile per lui gestire il processo di inserimento e di crescita della sua nuova allieva, sebbene in passato sia stato il maestro di una scuola di arti marziali.
Pei stessa diventa punto di riferimento per qualsiasi ragazzo che debba affrontare una situazione del tutto nuova: magari non si tratterà di imparare a trattenere i pugni magici, ma di apprendere il più velocemente possibile una lingua diversa e un modo di vivere distante anni luce da quello familiare.
Tra i comprimari svetta la signora assunta da Rand per occuparsi della sua studentessa. Madame Yeoh si propone come una guida spirituale che ha abbracciato uno stile di vita zen, sempre pronta a consolare e a mostrare la via, senza risparmiare ironia e sarcasmo.
Completano un fumetto sicuramente consigliabile a chi brama un nuovo episodio della saga di Karate Kid le tinte pastello adoperate da Shelly Chen. Con i colori tenui, dalla luminosità cangiante, viene esaltata la cura profusa dal disegnatore nel raffigurare i dettagli degli ambienti e degli abiti, mentre grazie alla scarsa saturazione, la volontà di stemperare anche le sequenze più violente è resa evidente ed efficace.
Abbiamo parlato di:
Gli immortali Iron Fist
Kaare Andrews, Afu Chan
Traduzione di Fabio Gamberini
Panini Comics, aprile 2018
136 pagine, cartonato, colori – 16,00 €
ISBN: 9788891237569