Per lo Speciale dedicato ai trent’anni di vita editoriale di Dylan Dog, abbiamo chiesto ad alcuni autori di scrivere una serie di articoli e approfondimenti dedicati all’Indagatore dell’incubo. Stefano Fantelli ci propone un viaggio a tema sul mostro, il diverso e il “meraviglioso” in Dylan Dog.
Dalla parte del mostro
“Ho sempre saputo cosa significa essere diverso. Per tutta la vita mi hanno fatto sentire diverso. Capisco cosa significa vivere nella società senza essere come tutti gli altri.” (Il professore paralizzato nel film Phenomena)
Nel 1986 usciva Should The World Fail To Fall Apart, il primo album da solista di Peter Murphy, già cantante del gruppo goth Bauhaus. Nella terza traccia del disco, Confessions, Murphy cantava “Parole dirette che possono trasformare le menti perdute, verso qualche seme di mostro”. Io ero solo un bambino e venivo operato d’urgenza di appendicite in un piccolo ospedale nella campagna emiliana, solare e tenebrosa come le pellicole di Pupi Avati.
Sono sempre stato un divoratore di fumetti, prima ancora di saper leggere avevo iniziato a sfogliarli guardando le figure e immaginandomi (a volte inventandomi) le storie. Il mio primo vero amore è stato Zagor, ma quel giorno di ottobre del 1986, al risveglio dopo l’intervento, accadde qualcosa che avrebbe segnato profondamente tutta la mia vita di uomo e di autore. Quando aprii gli occhi vidi mio fratello, molto più grande di me, che leggeva un fumetto mentre aspettava che io mi svegliassi. La prima cosa che vidi fu quindi la copertina, che copriva anche il volto di mio fratello immerso nella lettura.
I morti risorgevano (come nei miei adorati film di George Romero) e stavano per afferrare quel tizio in jeans e camicia rossa e giacca nera, armato solo di una vecchia rivoltella. Quell’albo era ovviamente il primo numero di Dylan Dog, l’Indagatore dell’Incubo, creato dalla mente geniale di Tiziano Sclavi.
Dylan, accompagnato dal fido Groucho (comprimario tra i più potenti mai creati, capace di rubare la scena al protagonista con estrema nonchalance) è uno che ha a che fare con i mostri ogni giorno. C’è un’ormai famosa intervista a Sclavi in cui lui, alla domanda “Tu chi sei? Sei Dylan o sei Groucho?”, risponde: “Né l’uno né l’altro, io sono i mostri”.
Ma attenzione, il mostro in Dylan Dog ha sempre avuto una connotazione che va oltre quel che i benpensanti potrebbero mal pensare. Oltre alla canonica visione del mostro in tutte le sue forme strettamente legata all’immaginario di tutti noi (dal Babau di antica memoria ai serial killer dei giorni nostri, passando dai mostri classici e sacri della letteratura e del cinema e della mitologia), Sclavi ha riportato la definizione del concetto anche al suo significato originario e più vero, ovvero dal latino monstrum: “portento”, “prodigio”, “meraviglioso”.
E a prescindere dalle deformità anatomiche che li contraddistinguono, Dylan Dog è sempre dalla loro parte. Non importa che si tratti di ospiti del manicomio di Harlech o di creature che si nutrono di incubi o di una splendida ragazza bionda e morta oppure di un omosessuale spinto a prostituirsi, Dylan è sempre comunque dalla parte del “diverso”, di coloro che la società costringe ai margini perché considerati un orrore (ma ancora peggio un errore), quando sono invece proprio i meccanismi della società a rendere mostruose le persone.
Sempre nell’album Should The World Fail To Fall Apart (traccia 9: Final solution) Peter Murphy canta “Sembra che io sia vittima della selezione naturale”. Ecco è questo uno dei principali motivi per cui Dylan si schiera, spesso purtroppo in modo vano (perché la storia del mondo e del diverso si ripete, sempre, da sempre), in difesa del freak, dei “fenomeni da baraccone”, andandosi a schiantare contro i mulini a vento, spiaccicandosi (e non è mai indolore tutto questo, ma qualcuno deve pur farlo) contro il buio che arriva dopo la morte di una bellissima falena che lo ha attratto.
Perché anche l’amore in Dylan Dog a volte è un mostro meraviglioso e devastante, che ti allaga le vene. È una creatura aggrappata con le unghie al suo petto, che gli divora il cuore, che aspetta che gli ricresca e poi glielo divora di nuovo, in un dolore infinito e alla fine familiare, come fosse imprigionato in un limbo spazio-temporale in cui le giornate si ripetono tutte uguali eppure ogni volta diverse. E lo sa sempre, Dylan, che finirà così, ma continua a lottare per cambiare eventi inesorabili, ghigliottine che calano su di lui e sui mostri con la voracità di un falco. C’è una cosa che è bravissimo a fare Dylan, ovvero gettarsi nel fuoco per le persone che ama.
Questa cosa lo fa stare bene, anche solo per un attimo, un puntino nell’eternità. In fondo, a chi non piace, almeno ogni tanto, lasciarsi illudere su qualcosa?
O come dice Murphy (traccia 5: Never Man): “Salta attraverso il calore più nero… sogni di giorni migliori arriveranno”.