Giancarlo Berardi, ideatore del personaggio di Julia Kendall, ha tenuto nel pomeriggio di sabato 2 maggio un incontro celebrativo per i 200 numeri della serie regolare dedicata alla criminologa. La conferenza è stata anche un’occasione per rivelare alcuni retroscena sia sulla serie che sul proprio modo di lavorare e pensare.
L’autore genovese ha introdotto l’incontro con una nota personale, dicendosi contento di essere stato coinvolto dagli organizzatori del Napoli Comicon, poiché tornare a Napoli è per lui sempre motivo di gioia. Berardi afferma infatti di essere cresciuto guardando le commedie di Edoardo De Filippo, leggendo le poesie di Salvatore di Giacomo e ascoltando alla radio canzoni napoletane. Il suo personale legame con il capoluogo campano ha avuto anche risvolti lavorativi grazie al rapporto con amici e colleghi come Attilio Micheluzzi, e alcuni disegnatori di Julia come Antonio Marinetti, Steve Boraley e Luigi Siniscalchi (il quale però attualmente non fa più parte del team di artisti al lavoro su Julia).
Berardi ha proseguito affermando che parte della sua preparazione come sceneggiatore deriva dal teatro e dagli attori napoletani: molto importanti nella sua scrittura sono stati autori napoletani come Totò e le sue pause teatrali, che gli hanno dato modo di imparare l’importanza dei ritmi e dei silenzi nel contesto della narrazione. Insomma, una scuola di vita e professionale. Tale legame si ripercuoterà prossimamente su uno degli episodi di Julia in preparazione, in cui la protagonista tornerà in Italia a trovare il proprio fidanzato, Ettore. Quest’ultimo vive a Genova ma sua madre è napoletana: ciò offrirà a Berardi l’occasione di ambientare un albo nella città partenopea che, come detto, considera come una seconda casa.
Per Berardi, questo tipo di incontri rappresenta un’occasione unica per interfacciarsi con il pubblico, dato che, passando dieci ore al giorno in studio, ha poche possibilità di avere un confronti diretto con i destinatari del suo lavoro. Essendo l’unico autore presente sul palco, Berardi ha lasciato presto il posto alle domande dal pubblico.
La prima ha riguardato le vicissitudini sentimentali di Julia, le eventuali svolte future ed evoluzioni. L’autore ha risposto affermando di poter intervenire fino a un certo punto, perché quando il personaggio è ben costruito non si può fargli fare ciò che si vuole: non è più un personaggio ma una persona a tutti gli effetti, con il proprio carattere. Inserita all’interno di una vicenda, ha un suo modo di agire quasi indipendente. «Io sono il papà, poi la figlia decide da sé con chi fidanzarsi, autonomamente», ha spiegato. Tra l’altro lo sceneggiatore ha scherzato sulla scelta di Ettore, il poliziotto genovese, come compagno per Julia, dicendo: «anch’io, come tanti, parteggiavo invece per Webb».
Un’altra domanda dal pubblico ha riguardato le emozioni nell’arrivare al numero 200. Berardi ha dichiarato che l’emozione predominante è stata lo stupore. Quando ha iniziato a scrivere Julia, nel 1995-1996, era un momento in cui Ken Parker perdeva lettori mese dopo mese e Sergio Bonelli glielo ricordava di frequente, lasciandogli però la libertà di mantenere in vita la serie di Lungo Fucile anche se fosse andata in perdita economica. Berardi però, seguendo il consiglio più o meno esplicito dell’editore, in quegli stessi mesi iniziò a pensare a un personaggio nuovo e per tre o quattro anni ha frequentato un corso universitario di criminologia per documentarsi e prepararsi adeguatamente. Non aveva poi motivo di realizzare una storia troppo celebrativa o eclatante per l’occorrenza del numero 200. Berardi si definisce infatti un “narratore della realtà”, che non avverte il bisogno di aumentare il tasso di sorpresa nelle storie.
Ken Parker era un testimone della propria epoca e non un vero e proprio protagonista, con Julia Berardi ha operato in maniera differente: la criminologa agisce in una città odierna, un contesto caotico e c’è necessità che la sua voce emerga maggiormente dalla confusione circostante. Per questo, i pensieri della protagonista sono una presenza costante delle sue avventure, mentre in Ken Parker, negli anni ’70, Berardi eliminò le didascalie e i balloon dei pensieri, lasciando molto spazio alle immagini, facendo parlare le praterie e gli spazi sterminati.
Ken Parker viene citato in un’altra domanda del pubblico, volta a paragonarlo a Julia e a far emergere le differenze sostanziali fra i due personaggi. Lungo Fucile era costantemente dalla parte degli ultimi, che fossero gli indiani o gli operai. Julia, invece, di estrazione borghese, ha molti amici e affetti sia in polizia che in procura e non si oppone quotidianamente all’ordine costituito. Si aggiunge a questo tassello il fatto che nell’ultima storia di Ken Parker (“Fin dove arriva il mattino”) pare non esserci spazio per la speranza. La domanda è quindi se il Berardi del terzo millennio vuole far passare il messaggio che l’unica speranza al giorno d’oggi è omologarsi, rinunciare alla protesta.
«La mia generazione voleva, con la ribellione tipica dell’adolescenza, cambiare qualcosa», ha affermato Berardi, mentre «i ragazzi di oggi non hanno sogni, non vogliono cambiare nulla». Questo confronto generazionale si ripercuote sul modo di agire dei personaggi. Ken Parker viveva in un’epoca senza legge, e doveva fare affidamento unicamente ai propri valori: rispetto dell’altro, senso della democrazia e della libertà. Julia nasce vent’anni dopo, quando i movimenti di protesta erano scomparsi o si identificavano con i Black Block: l’atteggiamento di chi distrugge perché non sa costruire. Suggerisce Berardi: «Julia nasce in una condizione “borghese”, ma non per questo non ha meno valori di una persona nata in un quartiere operaio: Julia in ogni episodio si dedica alle persone che hanno avuto meno dalla vita, cercando di capire le ragioni profonde della violenza, senza mai giudicare».
Tornando a Ken Parker e al suo lungo corso, l’autore ha ricordato che l’arco narrativo ha abbracciato un periodo che va dal 1974 fino al 2015. Come Julia, anche Ken è una persona, non un personaggio, e ha sempre agito come uno specchio per Berardi: ha la sua stessa età, i suoi stessi dubbi, le sue stesse “piccolissime certezze”, insieme alla curiosità della ricerca, l’interesse nel conoscere gli altri e l’amore per la gente.
Nell’episodio finale, “Fin dove arriva il mattino”, uscito alcune settimane fa, Ken Parker ha 65 anni, come lo stesso Berardi. È un uomo anziano, con i suoi limiti: chi si aspettava di vederlo galoppare e saltare sicuramente è rimasto deluso. In lui c’è il pensiero della morte che quell’età arriva a bussare. Durante la storia, capisce che di non poter sopraffare i delinquenti e di non averne la forza. La storia poi è profondamente legata al presente: quei delinquenti hanno qualcosa a che vedere con l’oggi, così come la ragazzina che scambia la delinquenza con virilità è una ragazzina molto attuale e la sua mamma, così preoccupata e inerte nei suoi confronti, rispecchia i genitori di oggi.
Riallacciandosi alle considerazioni riguardo i giovani d’oggi, un ragazzo presente in sala ha ammesso di non aver mai letto la serie, ma essendosi interessato all’incontro chiede quali siano i consigli dell’autore per i giovani d’oggi. Il consiglio di Berardi è uno solo: leggere di più, guardarsi intorno, capire perché si è arrivati nella situazione attuale, cosa c’è alle spalle da parte delle generazioni precedenti. «La mia generazione forse ha sbagliato, educando i giovani al consumismo, che aiuta spesso a non fermarsi a pensare. Per questo la nuova ribellione è quella del pensiero e della libertà di pensiero, che nessuno può toglierci. Legge è importante, è una delle cose più straordinarie che possano capitare nella vita: permette di entrare nella mente di un autore e conoscere un nuovo pezzo di umanità»
Un’altra domanda dal pubblico verte su Tex, chiedendo a Berardi se scriverà ancora per Aquila della notte. L’autore si è commosso pensando a Sergio Bonelli e affermando che Ken Parker non sarebbe mai nato senza Tex. Soprattutto nei primi numeri: «Tex era veramente straordinario, rivoluzionario. Quando ho avuto l’occasione di scrivere Oklahoma, è stato per me un momento importante. Ho letto circa 150 episodi, ho provato a dare una versione che fosse il più possibile vicina alla versione di GianLuigi Bonelli». La storia fu realizzata insieme a Guglielmo Letteri, che Sergio Bonelli pensò di mettere accanto a Berardi anche per «stemperare alcune mie eventuali intemperanze». Berardi rivela poi che un paio di scene furono censurate.
Tornando alla domanda, lo sceneggiatore non prevede a breve di tornare su Tex, ma cerca di seguire sempre il proprio motto di “mai dire mai”.
Un altro lettore ha preso poi la parola, suggerendo di aver trovato qualcosa di Edoardo De Filippo in Julia #200, in un passaggio in cui c’è la spiegazione di come si prepara un caffè. Berardi si è detto onorato da tale accostamento ed è passato a parlare dell’ampia documentazione che precede la stesura di una sceneggiatura e che gli prende sempre un 30% del tempo: sapere dove si svolge un’azione e avere una cartina sotto mano sono per l’autore momenti fondamentali.
Sempre sul proprio metodo di scrittura, Berardi ha affermato di essere attualmente al lavoro su circa quattordici sceneggiature di Julia: «So come cominciano le storie ma come procede non lo so fino a una ventina di pagine dalla fine, quando scelgo uno dei tre o quattro personaggi che fino a quel momento potrebbero essere i colpevoli».
Le ultime due domande sono giunte da una lettrice. La prima, classica, è sulla scelta di Audrey Hepburn come fonte di ispirazione grafica. Berardi ha risposto con una nuova nota personale, ricordando di aver conosciuto Audrey Hepburn a 5 o 6 anni, andando al cinema. L’attrice poi aveva i denti un po’ storti come la madre dello scrittore, elemento di cui Berardi si è accorto solo anni dopo aver ideato i personaggi. Come protagonista della serie, Berardi scelse una donna in quanto sono proprio le donne, a suo parere, le protagoniste della nostra epoca. E quando si è trattato di scegliere una figura femminile che avesse sensibilità, capacità di ascolto e di intuizione, che non fosse solo “delle misure”, lei è sembrata quella giusta. «Scoprii subito dalle lettere che c’era tutto un mondo di ragazze che amano in maniera viscerale quest’attrice. Ho scoperto il suo ruolo nell’Unicef e anche che era stata in Africa. Poi, ho scoperto che i figli di Audrey Hepburn sono lettori di Julia».
La domanda finale è stata sul legame tra l’autore e i libri letti da Julia durante le storie. Berardi ha risposto che, sin da quando ha iniziato a scrivere, ha sempre dato dei suggerimenti, cercando di passare cultura, coinvolgere i lettori consigliando un libro, un film, una poesia. A loro volta, i lettori fanno lo stesso inviando lettere all’autore. Una sorta di club, con uno scambio indispensabile per far sentire all’autore che il suo lavoro è davvero utile a qualcuno, per sapere di lasciare un segnale del proprio passaggio sul mondo.
Prima di congedarsi, Berardi ha citato una poesia di Totò (“‘A cunzegna”):
“‘A sera quanno ‘o sole se nne trase
e dà ‘a cunzegna a luna p’ ‘a nuttata,
lle dice dinto ‘a recchia- “I’ vaco ‘a casa:
t’arraccumanno tutt’ ‘e nnammurate.”