Carmine Di Giandomenico, classe 1973, è considerato uno tra gli autori di punta del panorama fumettistico italiano contemporaneo. Attualmente, oltre a collaborare con le più prestigiose case editrici, sia italiane (su tutte Sergio Bonelli Editore) che estere (tra cui Marvel Comics), insegna anatomia in movimento presso la Scuola del Fumetto di Pescara.
Di Giandomenico è stato ospite di Grafite, la scuola pugliese di grafica e fumetto, durante il BGeek, tenutosi a Bari il 27 e 28 giugno 2015. Lo abbiamo incontrato sabato 27 per fargli alcune domande.
Quando si parla di Carmine Di Giandomenico è impossibile non citare storie come Magneto: Testament, Battlin’ Jack Murdock e Spider-Man Noir, connotate dall’approccio più intimo ai personaggi. Come ti accosti a questi protagonisti del fumetto internazionale e alla trattazione di tematiche di tale spessore?
Bella domanda questa! Ti rispondo: “In maniera istintiva”. Prima di iniziare a disegnare queste storie, molto particolari e un po’ al di fuori dello standard classico del fumetto supereroistico e per cui ringrazio la Marvel, ho cercato in prima battuta di fare più letture della sceneggiatura per capire cosa si volesse raccontare. Nel caso di Magneto: Testament e della sceneggiatura di Greg Pak, volevo avere chiara l’emotività che doveva vivere Magneto. Dopo queste varie letture ho cercato di adottare una sorta di metodo Stanislavskij, per usare un termine da prendere molto con le pinze, Nel senso: “Sono un ragazzino di dieci, dodici anni e devo vivere l’Olocausto. Come faccio a rendere ciò che posso vivere in quel momento? Come lo posso vivere io?”.
Diciamo poi che su Magneto sono stato molto avvantaggiato anche dalla documentazione che Greg mi inviava. Lui si è laureato sul tema dell’Olocausto, ci ha scritto una tesi di laurea con delle registrazioni fatte a dei superstiti di Auschwitz, e devo dire che mi ha passato del materiale fotografico veramente devastante. Sono foto che difficilmente si trovano sui libri di storia a cui siamo abituati.
Dover affrontare quella tematica ha scatenato in me l’esigenza di fare anche delle scelte. Per quanto riguarda Magneto: Testament ho dato una chiave di lettura più italiana, senza vignette sovrapposte ma con una gabbia molto più ordinata, proprio per dare quel senso di claustrofobia che raccontava la storia. Non che la gabbia bonelliana sia un qualcosa che blocca la narrazione fumettistica… è un linguaggio molto più complesso e molto più difficile rispetto a quello americano.
In Battlin’ Jack, invece, ho avuto la fortuna di scrivere la storia e quando ho presentato il progetto avevo già ‘storyboardato’ e sceneggiato tutti e quattro i numeri. Mandando il tutto a Joe Quesada l’idea è piaciuta, solo che per questioni di mercato (ero in Marvel da neanche un anno e mezzo) mi hanno affiancato Zeb Wells, in quanto l’editor dell’epoca aveva notato che la mia trama, per come era stata struttura, chiudeva troppo il cerchio, non lasciando spiragli per altri inserimenti e altre storie. In Battlin Jack, infatti, ho voluto raccontare il vissuto di un padre che cerca di conoscere il proprio figlio, e fra l’altro in una situazione delicata come quella dell’avere un figlio affetto da cecità: ho provato insomma a proiettare quel lato umano di Battlin Jack che non era stato ancora raccontato. Allo stesso tempo però ho cercato anche di accorpare tutti quei frammenti del puzzle che Frank Miller, Joseph Loeb e Roger McKenzie avevano lasciato. Ciò di cui mi sono rammaricato sono gli elementi ì modificati in maniera drastica rispetto alla storia originale, nella quale è stato scelto di dare un’evoluzione completamente diversa da Battlin’ Jack Murdock: nella mia trama si faceva cenno al fatto che lui nascesse come un wrestler e non come un pugile, mentre nella storia originale lui era conosciuto in Hell’s Kitchen come un lottatore di lotta libera mascherato da diavolo.
Comunque, diciamo che la Marvel mi ha affidato delle storie molto importanti e di questo gliene sarò sempre grato, perché non è cosa di tutti giorni riscrivere e disegnare le origini di un personaggio importante come Magneto. Poi il nostro rapporto è continuato: ho disegnato anche la risurrezione di Johnny Storm dei Fantastic Four! Quindi sì, sono molto grato della fiducia che la Marvel mi ha dato. Speriamo di continuare.
Uno dei tuoi lavori più recenti è quello che ti vede alle matite di X-Tinction Agenda, scritto da Marc Guggenheim. Puoi dirci qualcosa di questa storia e del tuo apporto nella sua realizzazione?
Per quanto riguarda la storia non ho fatto nulla. È tutto merito di Marc Guggenheim, tutta farina del suo sacco! L’unica cosa che ho fatto è stato il restyling dei personaggi – alcuni dei quali sto scoprendo adesso per la prima volta, perché purtroppo non si può seguire qualsiasi uscita.
Non posso fare spoiler, ma posso dire che la storia è molto divertente, molto ben struttura e che, soprattutto, mi sto divertendo molto anche nell’ultimo periodo con X-factor di Peter David nel cercare di ritornare a quel montaggio un po’ anni novanta, con quelle vignette sovrapposte in modo particolare, per rendere ancor meglio la narrazione.
Veniamo a Cronache dal pianeta dei morti. Qual è il tuo personale rapporto con l’Indagatore dell’incubo e cosa ha rappresentato per te tornare in Italia lavorando proprio su questo personaggio?
Beh, su questo devo ringraziare la Bonelli che ha creduto in me, e in particolare l’editor dell’epoca che era Giovanni Gualdoni per aver raccolto la proposta dello sceneggiatore Alessandro Bilotta e avermi dato la possibilità di rappresentare Dylan in questo modo futuristico. In poche parole è stato un onore, perché ho iniziato a leggere Dylan Dog da ragazzo ed è stato il mio primo fumetto italiano. Tramite Dylan, poi, ho conosciuto Attilio Micheluzzi e tanti altri autori ed è stato incredibile. È come se oggi mi chiamasse la DC Comics per disegnare Superman: chi non impazzirebbe?
La cosa interessante di Cronache dal pianeta dei morti è che c’è un restyling del personaggio che è stato molto divertente, perché ho cercato di dare un’impronta diversa al personaggio, che era invecchiato rispetto a quello classico. Anche il restyling dei vestiti, come per il cappotto, è stato molto divertente.
Nella sceneggiatura di Alessandro, poi, c’erano molte cose interessanti: gli zombie ad esempio dovevano avere delle museruole per non poter mordere e ho ideato così queste museruole che ricordassero un po’ i caschi dei giocatori di football e che si potessero aprire, eventualmente, per lasciar mordere. Di solito in effetti cerco di reinterpretare ciò che c’è scritto nella sceneggiatura per giustificarlo nel modo più fattibile nella realtà.
Nel mondo futuribile delle Cronache troviamo un Dylan Dog molto diverso da quello cui siamo abituati. Ci dici com’è avvenuto lo studio del personaggio, della sua caratterizzazione fisica e se avevi in mente soluzioni alternative che sono poi state scartate in corso d’opera, e perché?
Ne sono state scartate almeno una dozzina! Avevo pensato a un Dylan Dog ingrassato, invecchiato, pelato o coi capelli corti. Il cappotto che avevo pensato inizialmente era un omaggio al cappotto di Capitan Harlock, nero e con i risvolti rossi nel colletto per riprendere la camicia classica, ma non fu accettato, mentre invece fu scelto il cappotto color beige per ricordare il trench del commissario Bloch.
Per la Bonelli, però, è stato comunque un primo passo, perché ha dimostrato una grande apertura al mercato e oggi Roberto Recchioni l’ha dimostrato con Orfani, che è una prima produzione a colori, e con il rilancio di Dylan Dog, sul quale adesso sono tornato.
Per il cinema hai realizzato gli storyboard per gli effetti speciali digitalizzati di alcune scene di Gangs of New York di Scorsese e di Double Team di Tsui Hark. Hai avuto modo di applicare quell’esperienza al tuo lavoro nel fumetto e in che modo?
È stata un’esperienza fondamentale, perché mi ha fatto capire molte cose sulla narrazione. Sia lo storyboard che il fumetto sono due linguaggi molto simili, seppure con differenze nell’impaginazione e nelle finalità.
Per quanto riguarda il senso narrativo, però, mi ha dato davvero tanto. Infatti quando leggo una sceneggiatura la penso quasi sempre come uno storyboard per un film e poi la trasformo in varie vignette per la tavola, che ha un bilanciamento e una narrazione comunque differente da un frame, sai… Ma non vorrei utilizzare una terminologia troppo tecnica! Sicuramente c’è molto lavoro dietro a questo tipo di cose.
Una domanda personale, adesso: supereroe Marvel preferito?
Daredevil!
E cosa ci dici di Iron Man?
Beh, che Iron Man è Iron Man! E ormai il suo personaggio è legato a doppio filo con l’interpretazione che Robert Downey Jr ne ha dato al cinema… e chi non è innamorato di RDJ? Infatti penso piangerò quando non ci sarà più lui!
A questo proposito, che idea hai del prossimo Civil War? C’è da temere possa non rendere giustizia al fumetto.
Marvel ha intenzione di produrre personaggi specifici da legare nelle varie saghe e i fan devono capire che il mondo del cinema è un universo a sé stante: c’è la Terra Ultimate, c’è la Terra normale e poi c’è la Terra cinematografica, e tutte e tre non si devono contaminare. Nel senso che per esempio io non posso disegnare Iron Man con il volto di RDJ, perché mi beccherei una denuncia dal settore cinematografico. In America purtroppo c’è questa strana cosa dei diritti iconografici, che è molto settorializzata e molto fiscale. Delle volte, infatti, anche lo stesso personaggio che appare con più interpretazioni ha il suo personale copyright… nonostante io stia disegnando lo stesso personaggio, a conti fatti! Allora come mai non posso disegnare Iron Man come RDJ? O Wolverine come Hugh Jackman? È un paradosso, secondo me, e anche un po’ esagerato.
In Italia è l’inverso, puoi fare praticamente quello che ti pare. Che è ironico, ma a me questo settore piace proprio perché è così vario. Sono cresciuto con i fumetti e sono felice di essere riuscito a farne parte, al di là dei personaggi che vado a disegnare ed è bello già per il semplice fatto di poter sfogare un’esigenza personale. Io, poi, non mi sento tanto un disegnatore, quanto più un narratore: spesso mi piace più raccontare le storie che disegnarle.
Per esempio?
Per esempio per Battlin’ Jack Murdock ricordo una serata a Lucca dove placcai letteralmente Mario Uzzeo, sceneggiatore di Orfani, e gli raccontai tutta la storia che avevo in mente per BJM e sì, eravamo brilli tutti e due, mentre passeggiavamo per la città. Anni dopo Mario mi ha raccontato che quella sera non aveva avuto il coraggio di bloccarmi, perché aveva paura di dirmi che “Ok, capisco l’entusiasmo, Carmine, ma non ce la farai mai a fare una storia del genere!”… Due settimane dopo, quando ha visto che la storia era andata, è impazzito!
Questo mi porta a voler specificare un’altra cosa, anche per chi poi leggerà l’intervista. Molto spesso mi sento in imbarazzo quando mi chiedono come ho fatto a lavorare in Marvel e di solito mi capitano queste domande, ma io sono davvero l’unico esempio in Italia da non dover seguire: sono stato fortunato, perché ho mandato una semplice e-mail che ha ricevuto risposta, ma non è questo l’iter da seguire. È vero che avevo alle spalle già delle pubblicazioni, ed è per questo che hanno dato retta a quella e-mail, ma in realtà bisogna prendere un appuntamento e quant’altro… Diciamo pure che ho vinto il mio Superenalotto! E che non ci gioco più!
Ultima domanda. Anticipazioni per progetti futuri?
Beh, come è già stato annunciato da Roberto poco tempo fa, sto lavorando al remake de Il lungo addio, scritto da Paola Barbato. In più ci sarà qualche altra piccola cosa su Dylan Dog, proprio una toccata e fuga, ma capirete meglio verso la fine di luglio… Dopo X-Tinction non saprei, invece. Mentre a settembre avrò una riunione per cominciare a organizzare il lavoro per il primo numero della quarta stagione di Orfani e mi incontrerò con Emiliano Mammuccari, Roberto e gli altri.
Al di là di tutto, però, vorrei anche portare avanti un’avventura che ho iniziato: ho aperto un’associazione nella mia città per organizzare eventi sul fumetto e sto elaborando varie idee. Inoltre mi piacerebbe fare una storia mia, come tutti: ho un paio di sogni del cassetto, di cui uno riguardo un personaggio di una storia a cui sono particolarmente legato dall’infanzia e che ho completamente ideato da me. Spero solo di poter trovare il tempo necessario per realizzarlo!
Ringraziamo Carmine Di Giandomenico per il suo tempo e per la lunga intervista che ci ha rilasciato.
Intervista realizzata dal vivo il 27 giugno 2015.