In occasione dell’uscita dell’atteso numero 2, che potete già preordinare qui, pubblichiamo una serie di pillole dedicate a Čapek: rivista aperiodica di fumetti, reportage, interviste, stranezze e vita campestre. Nata da un’associazione editoriale a delinquere tra cinque note realtà indipendenti, con storie diverse, che decidono di incontrarsi e fecondarsi: Strade Bianche, l’ultima reincarnazione della storica Stampa Alternativa di Marcello Baraghini; la rivista underground “Puck!” fondata dal fumettista Hurricane; la rivista e casa editrice di reportage narrativo CTRL magazine; il collettivo maceratese Uomini Nudi Che Corrono; e il festival di autoproduzioni AFA – Autoproduzioni Fichissime Andergraund.
I Residents e Sergio Ponchione ospiti speciali del prossimo numero di Čapek
Uno dei contenuti più attesi del secondo numero della rivista Čapek è “The Teds”, una inquietante storia a fumetti scritta dal leggendario gruppo musicale “The Residents” e disegnata da Sergio Ponchione, l’autore italiano artisticamente più vicino all’universo visionario della band californiana che non ha mai rivelato la propria identità.
Dopo numerosi tentativi di contatto (già provati per il numero #1) la redazione è riuscita a coinvolgere la misteriosa Cryptic Corporation e la persona di Homer Flynn, che ha accettato di far partecipare la band donando una sceneggiatura inedita, precedentemente scritta per un cortometraggio da realizzare con il regista David Lynch.
La storia è diventata un fumetto di sette pagine, introdotto da un articolo inedito dell’artista e cultore musicale Vittore Baroni illustrato da Massimo Giacon. Quella che segue è un’intervista a Sergio Ponchione sui retroscena della storia e sui suoi rapporti con la band.
Intervista all’autore de L’Obliquomo
Ciao, Sergio… quindi è tutto vero!? Hai disegnato una storia scritta niente di meno che dai Residents?
In risposta alle fake news di gran moda ora: vero, verissimo, talmente vero che non ci credo ancora neanch’io.
Com’è nata la tua passione per il loro immaginario e la loro musica? Ricordi esattamente il momento e la modalità con cui li hai scoperti e che cosa di loro ti ha subito stregato?
Li ho scoperti tramite una delle mie band preferite da ragazzo, i Primus. Nel 1994 comprai il loro ep Miscellaneous Debris, uscito un paio d’anni prima, dove fra cover di XTC, Peter Gabriel e Pink Floyd, c’era anche “Sinister Exaggerator” accreditato a The Residents. Il brano, scomodo e appunto sinistro non mi colpì subito, ma quel tanto da indagare comunque su chi fossero gli autori. Mica facile. Un amico musicofilo li conosceva di nome ma non li aveva mai ascoltati. I dischi non si trovavano e internet non c’era. Su qualche rivista musicale vidi una foto che li ritraeva mascherati da bulbi oculari in frac. Nessuno sapeva la loro identità. Sembravano dei supercriminali usciti dalla quarta dimensione di un fumetto Marvel. Persi immediatamente la testa. Che musica poteva mai fare un gruppo del genere? Molto probabilmente la mia. Dovevo scoprirlo al più presto. In un giorno del 1995 scovai Gingerbread Man, il loro nuovo album. In copertina, una bambina tiene in mano un biscotto a forma di Resident con alle sue spalle il gruppo in un’infernale cripta rosso fluorescente. Misi il cd nel lettore, varcai quella cripta e ne rimasi prigioniero per sempre. La musica era inquietante, enigmatica e oscura, ma anche ironica e cartoonesca. Rendeva perfettamente l’elemento che mi ha sempre reso schiavo: il mistero. Un nuovo nebuloso universo pieno di interrogativi mi si dischiuse innanzi e impavido mi avventurai oltre. Incontrai poi Commercial Album, uno dei loro capolavori, e il libro dei testi curato da Vittore Baroni per Stampa Alternativa, che mi indottrinò nel loro culto. Ormai battezzato, mi nutrivo avidamente di continue eucarestie. Intendiamoci, la loro musica è bizzarra, sperimentale, generosa di eccentricità sonore e vocali. Non proprio per tutti. Una poetica da brividi narrata con un ghigno e un organetto sghembo che risuona da chissà dove. Ma se vi tocca e smuove nel profondo fino a ritrovarvi riflessi nel suo specchio deformante, non avete scampo.
In che modo la band ha contribuito alla creazione del tuo “mondo obliquo”, influenzando le tue scelte grafiche e stilistiche? Ci sono degli esempi precisi di storie e personaggi, nel tuo percorso editoriale, che consideri debitori di quel tipo di estetica? O forse entrambi, tu e i Residents, avete attinto dalle stesse fonti?
Tutto il loro immaginario, comprensivo di suoni, testi e artwork dei dischi, per un lungo periodo ha avuto una fortissima influenza sulla mia creatività. Per anni ho cercato, quando possibile, di istillare nel mio disegno il mood delle grafiche non solo loro, ma di gran parte delle produzioni Ralph Records, l’etichetta sovrana delle bizzarrie sonore nata con la band. Molte di queste grafiche, firmate con lo pseudonimo cangiante di Pore Know Graphics, Pornographics, Pour No Graffix e cosi via, sono risultate poi opera di Homer Flynn, portavoce della band, geniale disegnatore e creatore grafico. Nella loro dirompente cripticità mi hanno letteralmente ossessionato, cercandovi indizi segreti che rivelassero verità nascoste e notizie sul gruppo. Nei miei lavori, la prima incursione nel loro mondo è un’ingenua ma seminale storia breve del 1997 intitolata Sinistro Esageratore, proprio come il loro brano. In un incubo da b-movie horror, con ambienti debitori di Vileness Fats (film incompleto della band, per me una delle cose ancora oggi più folli mai viste), si muove un oscuro anfitrione alla dottor Caligari che snocciola gli enigmatici testi della band come imperscrutabili verità al malcapitato protagonista. Seminale perchè quel figuro è il timido prototipo di quel che sarà poi l’Obliquomo. Poi tocca al Fantasma del Dito di Serpente, altro breve fumetto omaggio a Snakefinger, chitarrista e solista, storico collaboratore dei Residents scomparso purtroppo nel 1987. Qui aumenta la mia metabolizzazione residente e il risultato inizia a farsi più personale. Appare per la prima volta in un mio racconto l’Obliquomo, nato in un dipinto nel 1997. Signore di tutto ciò che è obliquo, incarnazione suprema di tante mie passioni giovanili, per fortuna non ancora sedate. L’espressionismo tedesco, l’horror classico (anche di serie b) nel cinema e fumetti, il pop, il surrealismo, la metafisica e la patafisica di Alfred Jarry. Ingredienti che cucinerò ancor più nei successivi racconti a lui dedicati, e di cui credo i Residents si siano nutriti ben prima di me. La tavola Ma… chi era N. Senada? è interamente dedicata al loro misterioso ispiratore e musicologo bavarese N. Senada, forse mai esistito, autore della Teoria dell’Oscurità: l’artista deve creare solo per sè stesso, senza intrusioni e senza mostrare a nessuno le proprie opere. L’Obliquomo genera poi Grotesque, miniserie di quattro albi di cui due titoli, La Città Criptica e Domande Sconosciute, sono un dichiarato omaggio alla Cryptic Corporation e al brano Never Know Questions. Fra le sue pagine sfilano una parata di personaggi e idee impossibili germogliate da fertile humus residente sedimentato nella mia mente.
I Residents possono considerarsi la colonna sonora di alcuni tuoi lavori?
Non solo, direi che per Obliquomo e Grotesque sono la soundtrack ufficiale. Li ho realizzati ascoltando i Residents parecchio, fondendoli nelle mie visioni spesso a tarda sera, verso il cuore della notte dove le ombre assumono forme sconosciute e l’irreale striscia negli angoli bui. Dopo averli sognati e immaginati per anni come presenze arcane, quasi sovrannaturali, nel 1999 li vidi la prima volta dal vivo ad Arezzo Wave. Era lo show di Wormwood, la loro interpretazione di alcuni curiosi episodi della Bibbia. Quando si alzò il sipario sul palco e incredibilmente apparvero davvero dei bulbi oculari in abiti talari, per qualche secondo urlai ed ebbi la certezza che il sovrannaturale esisteva veramente. Aggiungo anche che nel 2017 camminando a San Francisco incrociai per caso Sycamore Street, la strada del primo leggendario studio dei nostri, proprio dove nacquero Vileness Fats e i primi album. Ero con amici e un pò di fretta e purtroppo non la percorsi. Solo tornato a casa e confrontando una mia foto con un video d’epoca dello studio, scoprii che l’edificio originale c’era ancora ed era a due passi da dove ero passato…
Di cosa parla la storia “The Teds” e come è nata questa collaborazione?
The Teds sono Theodore & Teddy, due opposti complementari. Alto, grande e tonto il primo tanto quanto piccolo, scaltro e perfido il secondo. Dalla loro insana unione nasce una coppia assetata di potere e comando, pronta a guidare la setta razzista dello Scudo d’Argento contro la feccia immigrata degli Yippers, tra tradimenti e oscure perversioni, fino al tragico finale. L’impossibile collaborazione è nata grazie a Hurricane Ivan, che ancora non so bene come abbia avuto il contatto con la band. Ma oscuri sono i sentieri che portano ai sotterranei di San Francisco, quindi meglio non indagare. Ivan riesce a coinvolgere anche i sassi, quindi non avrei dovuto stupirmi, ma invece sì. Porca pupazza, i Residents! Mi inoltrò un messaggio di Homer Flynn, diceva che la band non rilasciava interviste (l’iniziale richiesta) ma che era disponibile per un contributo a Capek. Conoscendo la mia passione oculare, Ivan voleva arruolarmi. Ero basito. Flynn concesse un lungo testo scritto dalla band per un progetto incompiuto, The Teds appunto, e Ivan gli propose quindi un adattamento a fumetti facendogli il mio nome e mostrandogli alcuni miei lavori obliqui. Homer e la band ne furono entusiasti. Non vi dico il sottoscritto. Dopo diversi anni, The Teds è stata l’occasione dorata per riprendere il cammino sulla sbilenca strada tracciata da Obliquomo e Grotesque. E guarda caso l’ho realizzata applicando proprio la teoria dell’oscurità, senza mostrare la lavorazione a nessuno.
Vittore Baroni cita un EP della band che avrebbe anticipato le gesta di questi due personaggi. Si intitola “Prelude to the Teds”. Lo conosci?
Sì, sono quattro brani del 1993 poi inclusi nel 1997 anche nel loro cofanetto per i 25 anni di attività (https://www.youtube.com/watch?v=IrWbFagICd4). Li ascoltavo lì, ma confesso che me ne ero dimenticato. The Teds non mi suonava nuovo, ma è stato l’articolo introduttivo di Baroni a farmeli ricordare. Furono preparati per il progetto originale, su cui riporto quanto mi ha rivelato il disponibilissimo Flynn: “I Residents originariamente presero contatto con David Lynch durante il CD-Rom di Bad Day on the Midway. David battezzò Bad Day come un potenziale seguito per Twin Peaks ma sfortunatamente, anche se ne ha detenuto i diritti per un anno, non è stato in grado di escogitare un modo per creare una serie attorno alla trama del CD-Rom e i personaggi… peccato. Ma hanno avuto alcuni incontri e l’idea di fare un film in stop motion, con David come produttore esecutivo, Henry Selick come regista e i Residents come sceneggiatori/colonna sonora, che presentarono The Teds come possibile idea per la sceneggiatura. Purtroppo, come tante cose a Hollywood, non è mai andato da nessuna parte. Ancora una volta… peccato. Ma i Residents hanno sempre avuto un buon feeling con la storia e i personaggi ed erano felici di resuscitarla”.
Come è stato lavorare alla sceneggiatura e riadattarla in sole sette pagine? Quali sono state le parti più difficili e quelle con cui ti sei trovato meglio?
Il testo originale era di circa nove cartelle, e volendo ne sarebbe potuto uscire un racconto a fumetti di diverse decine di pagine, cosa che per altri impegni non potevo permettermi. Alcune sequenze erano molto descrittive, specie sulla parte politico/razziale e sui torbidi rapporti fra i personaggi, ma mi è parso subito che si prestassero anche ad essere “asciugate” senza perdere efficacia. Ho stilato quindi una grezza suddivisione del testo in possibili tavole, tagliando qualche scena che non comprometteva la storia. Poi ho elaborato gli storyboard. Tutti i testi sono fedeli trasposizioni “concentrate” di quelli originali. Solo per l’ultima vignettona mi sono permesso di scrivere un testo mio. Essendo una sceneggiatura ipotetica e quindi probabilmente soggetta ancora a possibilie modifiche, trovavo infatti che la vicenda si concludesse senza una frase d’effetto nel finale, che tirasse le fila del racconto e facesse riflettere. Cosa a cui mi avevano abituato i Residents e in cui sono maestri, come quella che riassume l’intero album Freak Show: “Tutti vengono al Freak Show per ridere dei mostri e dei reietti, ma nessuno ride quando se ne va”.
Per la caratterizzazione dei personaggi hai avuto subito le giuste intuizioni o ci sono stati diversi tentativi prima di arrivare alla realizzazione grafica di Teddy, Theodore e Conway?
Mi sono venuti quasi subito. La loro precisa descrizione mi ha aiutato molto. Per i Teds ho attinto al mio campionario obliquo, sempre pronto all’occasione. Forse non si nota troppo, ma quando Teddy é sulle spalle di Theo le loro teste triangolari formano una clessidra. Mi serviva per la mia chiusa finale. Per Conway ho pensato invece ai bellimbusti mascelloni disegnati da Richard Corben.
Da grande conoscitore della band americana, come si colloca questa storia nella produzione del gruppo? Ci sono tematiche ricorrenti in altre loro opere?
Ci sono elementi ricorrenti nel loro immaginario come la natura grottesca e tormentata dei personaggi, o la deformità da freak spesso accompagnata da attrazioni morbose o vere deviazioni oblique, ma direi che è abbastanza atipica soprattutto per la tematiche sociali e razziali di cui sopra. Mi aspettavo scenari espressionisti e surreali alla Vileness Fats (https://www.youtube.com/watch?v=9Phcm2l-dsc&t=94s) mentre il racconto scorre su binari nel complesso piuttosto realistici, ma va detto che l’ambientazione è meno definita del resto e si presta a interpretazioni più libere. Ne ho approfittato quindi per calare la vicenda in un mondo simile alla Città Criptica apparsa in Grotesque, debitrice come detto della loro influenza e più che mai adatta ora a ospitare una loro creazione.
Da questa prima collaborazione nascerà qualcosa di più corposo? Sappiamo che hai fatto un patto infernale con Homer Flynn, uno scambio mistico di roba preziosa…
Non ne ho idea ma naturalmente sarebbe fantastico. Per ora sono felicissimo che un sogno (o un incubo?) sia diventato realtà. E sì, con Homer abbiamo battezzato la collaborazione con un sacro baratto oculare. Io ho regalato alla band le tavole originali della storia e lui mi ha promesso in cambio un loro prezioso cofanetto in legno intagliato con una copia originale di Santa Dog, l’esordio su doppio 45 giri della band datato 1972. Ne furono stampate solo 500 copie, di cui 400 distribuite o spedite in omaggio (a Frank Zappa e Richard Nixon tra gli altri, pare) e 100 trattenute per un errore di stampa sulla copertina. Di queste, dopo quasi 50 anni la Cryptic Corporation ne conserva ancora 17 copie, riconfezionate all’occasione in speciali scrigni da collezione.
Infine: ora che già hai collaborato con la tua band preferita con quale altro artista irraggiungibile ti piacerebbe collaborare?
Se fossero ancora fra noi, senza dubbio Frank Zappa e Snakefinger. Ma avrò magari modo di farlo nell’aldilà. Rimanendo in questa valle di lacrime, per chiudere il cerchio, anzi l’occhio, direi proprio i Primus, o in generale con il loro leader Les Claypool e i suoi progetti paralleli, sempre molto fumettistici e grotteschi.