Dopo la ricca e feconda esperienza di BilBolBul, che per alcuni giorni trasformava Bologna nella capitale del fumetto internazionale contemporaneo con ospiti di grandissimo rilievo, dal 2023 la città ha iniziato a ospitare un nuovo festival, sempre organizzato dall’associazione culturale Hamelin: A occhi aperti, un evento che partendo da un tema centrale e attuale per la contemporaneità lo esplora attraverso il linguaggio dell’illustrazione e del fumetto (e infatti il sottotitolo del festival è proprio “Disegnare il contemporaneo”). Se la prima edizione, dal titolo Qui? Come abitare oggi?, era dedicata al concetto di casa e di abitare un luogo, esplorato con ospiti quali Erik Svetoft, Marjpol, Sammy Stein, Laurent Bruel, Lisa Mouchet, Gabriella Giandelli e altrɜ, quest’anno il tema è il rapporto tra corpo e paesaggio, tra essere umano e quello che lo circonda, tema quantomai attuale ed esplorato da moltɜ fumettistɜ come punto focale della propria ricerca artistica.
Abbiamo parlato del programma della nuova edizione, delle mostre, degli highlights e degli ospiti (tra questi, Dominique Goblet, Joe Kessler e Gwénola Carrère) con gli organizzatori del festival, che si svolge a Bologna dal 13 al 17 novembre principalmente al DAS ‘ Dispositivo Arti Sperimentali, ma anche all’Accademia di Belle Arti, in vari bookshop e altri luoghi della città (tutte le informazioni si trovano qui).
Il festival A occhi aperti con quest’anno arriva alla sua seconda edizione, dopo l’esperienza quindicennale del BilBOlbul. Qual è l’obiettivo di questo nuovo progetto rispetto a quello che avete portato avanti negli scorsi anni? E come si è sviluppato negli ultimi due anni?
A occhi aperti nasce dall’eredità accumulata e donata, non solo a Bologna, da BilBOlbul. Dopo 15 anni di Festival Internazionale del fumetto abbiamo assistito a una grande trasformazione del panorama editoriale, dei pubblici e del linguaggio stesso. Il fumetto si è via via affermato nel mercato e nei gusti di lettori e lettrici superando e ampliando la sua nicchia d’origine, ha trovato spazio nelle librerie, la forma narrativa del graphic novel si è fortemente consolidata, sono nati corsi nelle accademie e fuori, molti nuovi festival e momenti dedicati. Era arrivato quindi il momento di prendersi una pausa, riflettere e cambiare. A occhi aperti nasce quindi con l’obiettivo di interrogarsi su quali trasformazioni può vivere ancora il mondo del fumetto e come queste trasformazioni si relazionano con il nostro presente, con il nostro mondo. Molte buone abitudini di BilBOLbul sono rimaste e si sono sviluppate: le mostre, gli incontri, il bookshop che torna quest’anno, le collaborazioni con la città, l’incontro con altre forme di espressione artistica (cinema, animazione, letteratura). Quello che maggiormente contraddistingue il nostro nuovo progetto da quello concluso è che ogni edizione si muove attorno ad una domanda (Come abitare oggi? Qual è/esiste l’equilibrio tra il paesaggio e noi?) le cui risposte impossibili sono evocate attraverso i disegni degli artisti e delle artiste che di anno in anno invitiamo a partecipare.
Quest’anno il tema del festival è “Corpo a corpo”, un modo per provare a riflettere, attraverso i linguaggi del fumetto e dell’illustrazione, sul nostro rapporto con il paesaggio, un’interazione tra due corpi oggi sempre più complessa e a tratti problematica. Quali sono gli aspetti più salienti di questo tema su cui volete proporre delle riflessioni? E in che modo il fumetto può contribuire all’interno di questo discorso?
Il tema di A occhi aperti di quest’anno è nato come “conseguenza” e prolungamento di quello dello scorso anno, quando ci siamo concentrati sull’abitare. Anche in quel caso c’era un confronto tra noi e lo spazio attorno, il “fuori di noi”, ma si trattava di riflettere sul luogo, sulla possibilità o meno di avere ancora un rapporto identitario con esso. Il tema del paesaggio ci interroga in modo diverso, perché si tratta di una contrattazione con l‘esterno che va al di là di una nostra casa e va a interessare un’esigenza che ci accompagna sempre, quella di provare una sintonia con ciò che ci è attorno, perché abbiamo sempre bisogno di sentirci accolti, di far parte di un sistema di relazioni più esteso. Ma si tratta sempre di una contrattazione instabile perché ciò che è fuori di noi non per forza risponde alle nostre esigenze, non ha le nostre logiche, e ci costringe a una costante relativizzazione. Se l’instabilità è caratteristica permanente del nostro rapporto con il paesaggio, del fatto che lo attraversiamo sempre e ne siamo noi stessi parte, ci sembra che oggi essa abbia delle nuove specificità e ci lanci nuove richieste: da una parte le condizioni climatiche hanno effetti evidenti sul nostro vivere quotidiano e ci interrogano sulle nostre responsabilità, provocando ansie, arroccamenti difensivi, paranoie, purtroppo poche azioni politiche; d’altra parte cominciamo a comprendere che la visione antropocentrica che è stata la colonna portante della nostra cultura, almeno quella occidentale, ha ormai fatto il suo tempo, ma è molto difficile per tutti noi uscire da questo approccio sia per eredità culturale sia perché abbiamo bisogno di sentirci soggetti capaci di agire e intervenire sull’esterno.
Il fumetto, come tutte le arti e le espressioni del nostro immaginario, sta partecipando al tentativo di trovare nuove forme di contrattazione tra noi e il fuori di noi.
Dall’altra parte avete evidenziato come, se il fumetto può proporre delle riflessioni originali rispetto al rapporto tra corpo e paesaggio, vale anche il contrario: questo terreno di riflessione, così complesso e stratificato, porta il fumetto a cercare nuove strade espressive per esplorarlo. In che modo le artiste e gli artisti che avete scelto lavorano in questa direzione?
Sicuramente questo è uno degli aspetti che più ci interessano: il fumetto, l’illustrazione, il disegno sono arti visive e quindi non possono limitarsi a produrre concetti, devono trovare soluzioni concrete che “si vedono”. La scelta delle autrici e degli autori che nel programma del festival abbiamo scelto in rappresentanza della nostra riflessione si deve proprio alla varietà e originalità delle soluzioni: se Gwénola Carrère con il suo Extra-Végétalia mette in scena un altrove in cui il rapporto tra figura umana e ambiente esterno è costantemente in dialogo e metamorfico, negando un vero confine tra l’uno e l’altro ma anche tra singola vignetta e tavola, Dominique Goblet con Ostende si mette, e ci mette, di fronte al paesaggio del mare del Nord e, pagina dopo pagina, inscena un dialogo instabile tra la nostra necessità di trovare indizi e riflessi di noi che ci rassicurano e l’indifferenza di un procedere inarrestabile, onda dopo onda. D’altra parte Andrea Bruno con Cinema Zenit costruisce paesaggi che sembrano concretissimi nella materialità delle loro rovine ma si rivelano anche pura rappresentazione, scenografie più che realtà. Andrea De Franco con La caverna degli abbracci inscena una vera e propria dissoluzione del corpo, che non ha nulla di catastrofico ma è invece disponibilità a un’apertura, a lasciarsi andare a un flusso che è materiale e immateriale insieme, un flusso che è sonoro, verbale e visivo. Infine, Joe Kessler con The Gull Yettin mette in scena l’infanzia che è il primo momento in cui cerchiamo e costruiamo un’accordatura con l’esterno ma attraverso una logica diversa da quella dell’adulto, perché c’è la capacità di lasciarsi andare a un puro presente con cui cavalcare le metamorfosi, accettare il mistero di ciò che è fuori di noi, una capacità resa magistralmente dalla gestualità e apparente naiveté del suo segno e dalla violenza primaria dei suoi colori.
Quello che distingue il vostro festival da altre manifestazioni del settore è un occhio attento a una scena contemporanea che potremmo definire meno mainstream, più di nicchia rispetto ad altri ambiti del variegato mondo del fumetto. Un’attenzione che già si poteva ravvisare nel festival BilBOlbul. Si tratta di una prospettiva che certo è figlia anche di una stretta collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Bologna. A che pubblico si rivolge A occhi aperti? E quali scelte e quali strategie avete adottato per coinvolgerlo?
Spesso ci facciamo anche noi questa domanda mentre lavoriamo al programma: chi verrà a questo festival? Ce lo chiediamo non con preoccupazione ma con curiosità: ci rendiamo conto che la nostra proposta si discosta da quelle di altre manifestazioni legate al fumetto – e questo non è un vanto né un giudizio rispetto al lavoro di altre realtà, naturalmente. Uno degli aspetti su cui vogliamo lavorare è la contaminazione tra linguaggi e discipline, che si traduce poi nella collaborazione con le istituzioni e le realtà culturali del nostro territorio – l’Accademia di Belle Arti senza dubbio, ma non solo. Abbiamo iniziato mettendo la parola “disegno” accanto a “fumetto” per aprire ad altre forme di narrazione disegnata e ad artiste e artisti che sono a loro agio con i confini porosi di questo linguaggio: persone come Sammy Stein e Dominique Goblet, che si possono considerare artisti visivi a tutto tondo.
Nel programma poi sono coinvolte personalità che vengono da mondi esterni al fumetto: letteratura, antropologia, filosofia; quest’anno abbiamo invitato a introdurre il tema del festival Ilaria Bussoni, una filosofa che è anche tra le fondatrici di una scuola di agricoltura e scienze umanistiche ambientali… Insomma, l’idea è di contaminare anche il pubblico, aprire più porte possibili (in questo senso la scelta di un tema è utile) da cui poter entrare all’interno di una riflessione che si muove intorno al fumetto.
Un valore aggiunto del festival è infatti la presenza di altre arti all’interno della manifestazione, che coinvolge anche realtà e spazi diffusi in tutta la città di Bologna. È prevista una rassegna cinematografica al cinema Modernissimo con una selezione di film condotta da Dominique Goblet, oltre che alla proiezione di corti, lezioni in Accademia, portfolio reviews, live paintings. Come vi siete rapportati alle altre arti e agli spazi della città di Bologna?
A occhi aperti nasce per guardare e far emergere le sperimentazioni possibili del linguaggio del fumetto ed è quindi naturale in questo contesto mettere in relazione il disegno con altri linguaggi e con altre arti. In quest’ottica, Bologna rappresenta un contesto davvero privilegiato: solo per la cornice temporale in cui è collocato, il festival è connesso con Archivio Aperto, Gender Bender, 24 Frame Future Film Fest, festival che hanno in comune con il nostro la grande attenzione per le forme sperimentali della creatività contemporanea e uno sguardo critico sul presente. Quest’anno, questa connessione sarà vissuta oltre che con alcune collaborazioni nei rispettivi programmi anche grazie a uno spazio fisico, l’ex Chiesa di San Mattia, che ha già ospitato performance e incontri degli altri festival e ospiterà la mostra di Dominique Goblet. La collaborazione con i Musei Nazionali di Bologna si aggiunge quindi al rapporto già consolidato con le istituzioni della città, l’Accademia, la Cineteca di Bologna, il Settore Biblioteche e Welfare Culturale: vogliamo dialogare e far dialogare artisti e artiste provenienti da tutta Europa con il patrimonio culturale e architettonico bolognese. A occhi aperti non inizia e non si conclude nei giorni del festival, ma si propone come un’occasione trasformativa per la città. Dominique Goblet, a esempio, l’abbiamo già invitata a trascorrere da noi alcuni giorni a giugno, lontano dalla frenesia del festival, per osservare gli spazi culturali di Bologna, per poter interagire con essi. La stessa Goblet e altri fumettisti sono stati invitati a incontrare gli studenti dell’Accademia. L’idea di base è che il festival debba essere un’opportunità per la città che non si limiti al singolo incontro, deve essere generativo.
Uno dei punti di forza del festival sono le mostre: cosa potete raccontarci di esse?
Esporre narrazioni per immagini è sempre una sfida: c’è il mostrare la fisicità del disegno – quando non digitale – con lo stupore che questo comporta, e c’è l’istanza del raccontare. Il festival ha sempre giocato fra queste due tensioni, cercando di creare di volta in volta incontri con luoghi o realtà che possano far risuonare un’opera, inventando allestimenti che traducano la lettura in un’esperienza, del disegno e dello spazio.
Le mostre di questa edizione hanno tipologie diverse; alcune sono indagini verticali su libri che dialogano con il tema del festival: The Gull Yettin (L’Association) di Joe Kessler, storia di un bambino e di una strana creatura (protettrice o persecutrice?) al confine fra racconto di formazione e fiaba; Extra-Végétalia (Super Loto) di Gwénola Carrère, in cui attraverso un disegno lussureggiante l’artista narra di una utopica ibridazione fra umano femminile e natura e dell’arrivo dell’uomo a perturbare un equilibrio quasi raggiunto; Tutto il corpo risuona che ha per focus La caverna degli abbracci (Canicola) di Andrea De Franco, avventura del segno che trascrive l’esperienza di un corpo la cui sensibilità annulla i confini tra dentro e fuori da sé.
La mostra del progetto speciale dedicato a Dominique Goblet, Costellazioni, mostra l’opera di un artista a 360 gradi; la dimensione “panoramica” nel caso di Goblet sembra giusta per dar conto dell’importanza di questa artista ancora sconosciuta nel nostro paese ma fondamentale per capire le evoluzioni del fumetto contemporaneo. Da un nucleo centrale costituito dagli ultimi lavori dell’artista, Forêts sombres e Ostende, si dirama un percorso per costellazioni che tocca esiti diversi del percorso della disegnatrice mettendone in evidenza la libertà ad un approccio stilistico e narrativo sperimentale, mai fermo.
La mostra Per sparire. La ricerca di Bianca Bagnarelli costruisce un altro tipo di percorso: qui al centro non è l’opera ma è il metodo di Bianca Bagnarelli per capire cosa avviene nella “fabbrica” di una disegnatrice, il movimento che sta sotto alla superficie della pagina o dell’illustrazione finita.
Non tutte le mostre del festival sono curate da Hamelin: alcune realtà che si occupano di ricerca sul fumetto e il disegno contemporaneo portano a A occhi aperti le loro proposte: Inuit con Naked Line di Pizzilli/Martoz; Canicola con In tenera difesa di Postbellica aka Liza de Nardi; Titivil, che ospita Rosa masticato di Elsa Klée, Lucile Ourvouai, Karla Paloma e Martina Sarritzu, nata dall’incontro tra le quattro fumettiste.
Dominique Goblet è il nome più rilevante di questa edizione, un’artista che ha fatto la storia del fumetto indipendente franco-belga di cui, fino ad ora, non era stato tradotto nulla in italia. In questo senso il vostro festival riempie due vuoti: quello di organizzare la prima mostra personale dell’artista in Italia e quello di pubblicare una sua opera grazie alla collaborazione con l’editore Sigaretten. Come siete arrivati alla scelta di Dominique Goblet per questa edizione del festival e come è stato lavorare con lei a fronte di un contesto, quello italiano, che conosce poco o per nulla la sua opera?
Era da tempo che volevamo collaborare con Dominique Goblet: il nostro lavoro è prima di tutto fare educazione alla lettura, e portare in Italia artiste e artisti che riteniamo fondamentali e che qui sono ancora inediti o poco conosciuti rientra pienamente in questa missione. Goblet è un’autrice importantissima, è stata una vera pioniera del fumetto indipendente che ha sempre saputo intuire prima del tempo tante delle mutazioni che il linguaggio ha attraversato negli ultimi decenni. Ma la sua importanza va oltre, perché da sempre ha sperimentato con altre forme espressive, aprendo la strada a contaminazioni tra il fumetto e altri linguaggi. Siamo entrati in contatto con lei nel 2022 grazie al nostro progetto Invisible Lines; da lì è nato un rapporto che ha portato al progetto speciale di questa edizione di AOA.
Non si tratta semplicemente di mettere in luce una grande maestra, perché Goblet è ancora attiva e la sua opera rimane assolutamente contemporanea e in grado di parlare a lettrici e lettori di oggi. In mostra, infatti, ci saranno diversi lavori ancora inediti anche in Francia e in Belgio, che si potranno vedere in anteprima esclusiva.
Ogni tassello del progetto è stato discusso con Goblet e con tutte le realtà culturali bolognesi che abbiamo voluto coinvolgere: in primis i Musei Nazionali e in particolare la ex Chiesa di San Mattia, sede della mostra Costellazioni con cui l’artista ha avuto fin da subito una sintonia fortissima; la Cineteca che ospiterà una rassegna di film scelti da lei per rappresentare il suo immaginario e la sua poetica; l’Accademia di Belle Arti, dove incontrerà studenti e studentesse in una serie di incontri di formazione a loro dedicati. E poi naturalmente Sigaretten, che pubblica Paesaggi di carne, un libro nato insieme al progetto stesso: si tratta infatti di una lunga intervista che abbiamo fatto a Goblet nel corso di una residenza a Bologna, dove ha trascorso una settimana a giugno di quest’anno in preparazione della mostra. Insieme all’intervista ci sono immagini inedite dai suoi carnet e da alcune delle sue ultime pubblicazioni, come Ostende. Possiamo pensarlo come un volume introduttivo per farla conoscere al pubblico italiano, un primo passo che speriamo possa aprire alla possibilità di tradurre finalmente i suoi libri anche qui.
Quali sono i punti salienti del programma e come sono stati scelti gli altri ospiti, personalità importanti soprattutto del mondo del fumetto indipendente europeo quali Joe Kessler, María Medem, Karla Paloma solo per citarne qualcuno?
Al centro del festival c’è la volontà di mettere in dialogo gli artisti ospiti con mondi non immediatamente riconducibili al disegno, guardando al fumetto come possibile indagine sulla realtà. La volontà è quella di un dialogo aperto che possa far crescere e alimentare i temi e le contraddizioni che viviamo, quindi al pari delle mostre, sono cardine gli incontri presenti nel programma di A occhi aperti.
Fra i molti Gwénola Carrère sarà in dialogo con Ilaria Bussoni, protagonista anche di una Lectio Magistralis in cui proverà a definire il concetto di paesaggio, cosa ha significato nella storia dell’arte e come è cambiato il nostro sguardo su di esso. Maria Nadotti, saggista e curatrice italiana dell’opera di John Berger invece si confronterà con Joe Kessler sulla sua opera, prendendo in esame la dimensione dell’infanzia in The Gull Yettin, parleranno del rapporto fra la dimensione selvaggia del mondo oltre il domestico; sempre Maria Nadotti sarà in dialogo con alcune delle autrici di Hairspray, un progetto di editoria indipendente, curato da Karla Paloma, ispirato e dedicato ad Aline Kominsky-Crumb, che vuole proseguire la tradizione delle fanzine autobiografiche underground femministe e LGBTQIA+.
Altri incontri da non perdere saranno quello tra l’etnoantropologa Patrizia Cirino e Dominique Goblet e l’incontro fra lo scrittore Giorgio Vasta e Andrea Bruno. Infine domenica ci sarà una tavola rotonda che metterà in dialogo Dominique Goblet, Gwénola Carrère e Joe Kessler sul loro rapporto con il disegno.
La scelta degli artisti è nata in modo molto naturale, la prima fase di ideazione per il festival è consistito nel confrontarsi sulle reciproche letture, i nomi presi in considerazione sono stati molti, e il confronto è servito per trovare delle risonanze, dei fili rossi tra questi artisti, sia che fossero per vicinanza che per contrasto, ma che insieme costruissero un discorso, sfaccettato, anche contraddittorio, ma vivo.
Curiosamente sono tutti autori che si interrogano intorno alla produzione, che lavorano non solo come autori e in circuiti spesso diversi da quelli delle librerie. Questo crediamo sia un punto del festival: se il fumetto in libreria è in difficoltà, sia creativamente che produttivamente, come e dove può trovare nuovi spazi espressivi?
Quali sono le vostre aspettative rispetto a questa seconda edizione del festival e quali sono i vostri progetti a lungo termine?
La prima aspettativa che abbiamo è quella di vedere come reagisce il pubblico di fronte a una proposta che, ne siamo consapevoli, non è immediata e si scosta dalla maggior parte di quelle di altre manifestazioni legate al fumetto. L’edizione dello scorso anno è stata un primo esperimento, ma ora i nostri obiettivi sono maturati e più focalizzati e quindi è più importante capire se effettivamente abbiamo un destinatario curioso e desideroso di accogliere ciò che presentiamo in programma. Perché il progetto che abbiamo con A occhi aperti, al di là dei singoli temi e delle singole edizioni, è proprio quello di continuare un “ragionamento” sul fumetto contemporaneo in relazione ai tempi che viviamo che vada al di là della semplice proposta di opere, autori e autrici, per quanto meritevoli possano essere. Non manca questo nelle tante manifestazioni che esistono in Italia, né tanto meno a Bologna: quello di cui c’è bisogno è un discorso che sia da una parte più ampio, dall’altra più verticale. Questo è il nostro desiderio e il nostro tentativo.
Intervista realizzata via mail tra il 10 e il 13 novembre 2024