di Garth Ennis e William Simpson
RCS quotidiani/Panini Comics, 2006 – 168 pagg. col. bros.
6,99euro + il prezzo del quotidiano
Qual è la cosa più spaventosa della nostra esistenza di uomini? Certamente la morte.
I demoni, la magia nera, l’inferno, sono solo una faccia comprensibile e trattenuta dell’angoscia della fine dell’esistenza. La morte fa così paura che per un tipico meccanismo perverso, a qualcuno piace accarezzarla, sedurla, immaginarla e anticiparla in percorsi autodistruttivi. Abuso di alcool, di droghe, sette demoniache, comportamenti violenti e al limite. Abitudini pericolose, nella speranza che anticipare la fine sia un modo per esorcizzarla.
Garth Ennis ha piena consapevolezza di tutto ciò, non sappiamo se per esperienza personale (diretta o indiretta) o per sensibilità. Coadiuvato dal tratto nervoso e scomposto di William Simpson, non sempre efficace o all’altezza della carica espressiva della storia, lo sceneggiatore irlandese ci sbatte in faccia le angosce di John Constantine e le sue malsane abitudini in quello che ha rappresentato il suo esordio USA nel 1991 e il suo primo ciclo della fortunata e lunga permanenza su Hellblazer della Vertigo.
La narrazione procede incalzante e alcolica attraverso i monologhi interiori del protagonista. L’Inghilterra che ne è il contesto è un luogo malsano e umido, dove tutto può accadere. John Constantine, allo stato terminale del cancro ai polmoni, corre verso la morte in una ricerca spasmodica di un trucco, un inganno magico per salvare corpo e anima; ma è al contempo una ricerca di un senso per tanta sofferenza e, in ultimo, del significato della vita stessa. Potenti e vivi i personaggi di contorno, che restano indelebili al termine della lettura grazie alla loro umanità.
Non tutto è perfetto in questa storia. Ennis è a tratti eccessivamente verboso e naif; il disegno di Simpson, come accennato, è a volte fragile e poco evocativo. Eppure, si respira una freschezza e un’intensità emotiva che è sempre più raro trovare nei fumetti Vertigo (sempre più cervello, sempre meno cuore); una chiarezza narrativa che svela in un attimo l’abilità vera, non illusoria del grandissimo talento di Garth Ennis. (Guglielmo Nigro)