Generazioni eccentriche: Le bizzarre avventure di  JoJo

Generazioni eccentriche: Le bizzarre avventure di JoJo

Le bizzarre avventure di JoJo di Hirohiko Araki: una lunga saga generazionale, tra citazionismo, poteri sovrannaturali e personaggi "bizzarri".

Jojo no kimyo na boken di Hirohiko Araki è il più longevo shonen manga di combattimento pubblicato in Italia. La caratteristica più vistosa di questa serie, che le ha dato un posto di rilievo nella cultura popolare e ha influenzato i mangaka delle successive generazioni, sono i combattimenti bizzarri e visionari, basati su due tecniche in grado di deformare e giocare con la realtà e gli stessi corpi dei protagonisti (le Onde Concentriche e il potere degli Stand) nonché la forte componente strategica di ogni duello, in cui spesso le tecniche di illusionismo, la capacità di giocare d’astuzia e distrarre l’avversario ribaltano completamente l’esito di uno scontro, in una girandola ricca di colpi di scena.

Più che la supremazia di un personaggio, o l’ottenimento di un potere in grado di incrementarla (come accade in tantissimi altri manga di combattimento), Araki esalta e pone al centro delle sue storie l’abilità di osservazione della realtà, che consente di trarre vantaggio dal più piccolo dettaglio, e la versatilità nell’uso delle proprie caratteristiche, per intrappolare gli avversari in situazioni senza uscita, anche a discapito di poteri poco spettacolari o distruttivi.

Tuttavia il vero espediente che ha consentito di proseguire, quasi senza interruzioni, dalla fine degli anni Ottanta a oggi, è quello della saga generazionale: la storia è infatti divisa in cicli, ambientati ciascuno in un periodo storico diverso, e ha come protagonisti i vari discendenti della famiglia Joestar (ognuno caratterizzato dallo stesso nomignolo, Jojo), coinvolti in una lotta plurisecolare contro il malvagio Dio Brando, o con le conseguenze delle sue azioni.

Questo filo conduttore in realtà permette all’autore di giocare costantemente a cambiare personaggi, ambientazioni, e anche idee e contenuti di ogni ciclo, che mantiene una forte autonomia di base e rimane leggibile a sé stante.

Quest’ultima cosa si nota soprattutto a partire dalla quarta serie in avanti, in cui la saga inizia a diventare un laboratorio di costante sperimentazione, nel quale Araki si diverte a raccontare storie sempre diverse, infilandoci dentro le influenze culturali più disparate: cinema, musica, curiosità scientifiche, storia dell’arte, aneddoti provenienti da mezzo mondo.

Nelle mani dell’autore ogni lato della realtà, osservato nei suoi aspetti più inconsueti, diviene stimolo per risvolti surreali nelle trame e nei combattimenti.

La prima serie: Jonathan Joestar

Nella prima serie, dopo una tenebrosa introduzione a base di vampirismo e sacrifici rituali ancestrali, sono già presenti l’idea di una “resa dei conti” tra la fonte di un male invincibile e le varie generazioni che si tramandano, di padre in figlio, il compito di fermarlo. Araki stesso in un’intervista ammette di aver concepito l’idea di una trilogia con un protagonista sempre diverso guardando alla saga del Padrino di Francis Ford Coppola e La Valle dell’Eden di Elia Kazan.

JoJoPhantomBloodLa storia, inserita in una cornice storica precisa (l’Inghilterra della Rivoluzione Industriale) ci racconta prima di tutto l’origine della rivalità tra l’eroe e l’antagonista della vicenda, in un gioco di crudeltà e sopraffazione inizialmente soprattutto psicologica tra due adolescenti. Solo più tardi, con la crescita di entrambi, esploderanno le prime scazzottate.
La figura dell’antagonista, Dio Brando, si evolve da ambizioso torturatore psicologico con un’enorme sete di potere in un essere sempre più oscuro e ultraterreno, e la rivalità tra due fratellastri si amplia in una partita per la salvezza del mondo intero. Araki gioca bene con le cupe ambientazioni vittoriane, inserisce figure come Jack lo squartatore, fantasmi dimenticati di cavalieri dei borghi medioevali, intrighi sanguinari della Corona Inglese, senza approfondire più di tanto, e prendendosi molte licenze, sempre nell’intento di stupire il lettore con minacce sempre più raccapriccianti e mutazioni mostruose.

L’horror splatter era un genere parecchio in voga negli anni Ottanta, e nemmeno Araki ne sembra immune, a giudicare dalle strizzatine d’occhio che inserisce tra una vignetta e l’altra (nomi come Cronenberg stampati sulle bottiglie di vino e la maschera dell’Elephant Man di David Lynch indossata da un nemico). La mutazione corporea in chiave horror-splatter era il perno anche di altri lavori di Araki, Gorgeous Irene e Baoh, e infatti il tratto dei primi episodi della saga non si discosta molto dallo stile usato anche in quei due lavori: personaggi di primo piano robusti e massicci, i rilievi di muscoli e volto messi in risalto con tratteggi sempre più meticolosi, distorsioni prospettiche e zoomate tese ad ingigantire il movimento dei pugni e dei calci, e colpi segreti dagli effetti deturpanti, in maniera simile a quanto proponevano i manga di successo su Shonen Jump a quei tempi, soprattutto l’Hokuto no Ken di Tetsuo Hara.

Nonostante la bizzarra ambientazione, la trama segue le classiche impostazioni delle storie di vendetta: allenamento/ricerca del cattivo/scontro finale. C’è però l’inserimento della tecnica delle onde concentriche, un’idea che inizia a spostare il centro dell’interesse di Araki verso la componente strategica. Le onde non sono dissimili da altre forme di energie interiori viste in altre storie d’avventura e fantasia. La differenza principale sta nel fatto che si basano su una trasmissione di energia, con effetti imprevedibili e pseudo-scientifici sulla materia circostante. Ciò rende possibile eseguire tattiche complesse, con l’uso di materiali conduttori sempre più inusuali: può capitare che un distinto gentleman combatta utilizzando dell’ottimo vino versato in un bicchiere.

Iniziano quasi subito a fioccare le citazioni musicali, vera e propria ossessione di Araki: ogni personaggio della serie ha quasi sempre un nome che richiama gruppi o cantanti famosi, a partire dal Jojo del titolo, che sembrerebbe derivare dai versi iniziali della canzone “Get Back” dei Beatles, oppure il santone tibetano che prende il nome da Tom Petty, i nomi dei componenti dei Led Zeppelin affibbiati a una squadra di zombie e lo stesso nome del complesso usato sul personaggio dell’eccentrico Barone Zeppelie. Si fatica a capire i gusti musicali di Araki, eccentrico e variegato nella scelta delle citazioni musicali almeno quanto i suoi manga. Si passa con disinvoltura dagli anni settanta dei Doobie Brothers agli anni ottanta dei Dire Straits, senza però dimenticare di citare icone facilotte della pop-new wave più commerciale, come i Wang Chung.
Dio Brando invece sintetizza i due amori di Araki, cinema e musica, poiché il suo nome è la fusione tra il cantante heavy metal Ronnie James Dio e l’attore Marlon Brando.

Seconda serie: Joseph Joestar

La seconda parte della storia continua a farsi sorreggere da una cornice storica ben precisa, gli anni della Seconda Guerra Mondiale. La citazione del dramma del nazismo e le persecuzioni razziali negli Stati Uniti forniscono un quadro sorprendentemente accurato per una storia che tutto sommato è imperniata sui combattimenti. L’inserimento dei nazisti in un’atmosfera a base di viaggi esotici e avventure alla ricerca di manufatti archeologici non può che ricordare i film di Indiana Jones, anche se Araki rifiuta di cadere nel cliché dei nazisti come cattivi della storia, mostrando alcuni di loro addirittura come ragazzi semplici, amici, alleati dei protagonisti. Inizia a far capolino un altro interesse di Araki, ovvero le città italiane.

La Roma e Venezia degli anni quaranta vengono viste come luoghi pieni di arte antica e segreti ancestrali misteriosi e pieni di pericolo. Si tratta di un’interesse soprattutto estetico: è proprio da questa parte in avanti infatti che le grottesche e mostruose mutazioni corporee si alternano a pose sempre più contorte, con muscolature esasperate, che sembrano richiamare i capolavori della scultura rinascimentale. Per quanto invece riguarda i combattimenti è qui che le bizzarrie narrative di Araki iniziano a prendere una direzione sempre più iconoclasta: innanzitutto il protagonista è meno buono, più smaliziato e furbo del precedente, e Araki si diverte a fargli usare in combattimento gli stessi trucchi da illusionista di cui va matto. In questo modo gli scontri si arricchiscono di colpi di scena.

Come se non bastasse, lo stile marziale usato dai personaggi, “la tecnica delle onde concentriche” inizia a dotare i personaggi di veri e propri poteri bizzarri, ad esempio la capacità di “caricare” oggetti come armi, dando luogo ad esilaranti battaglie in cui viene usato di tutto, perfino un piatto di spaghetti. Il carattere iconoclasta della storia spinge l’autore a ironizzare perfino su certi cliché narrativi, e si vede come la tecnica preferita dal protagonista nei momenti di estremo pericolo non sia altro che la fuga. Altro aspetto degno di nota è l’approfondimento psicologico. I momenti drammatici vengono sottolineati con una sensibilità e una cura spesso assente in altri manga da combattimento, e i personaggi sembrano divenire sempre più palpabili, reali.

Le citazioni musicali nei nomi dei personaggi continuano a spaziare dagli anni Settanta agli Ottanta Il metal degli AC/DC si mescola alla new wave dei Cars, al jazz di Smokey Robinson, al cognome del chitarrista Carlos Santana richiamato nel nome di un vento caldo del Messico, e perfino la stella glam rock Suzie Quatro. Anche quelle cinematografiche mostrano una versatilità che va dal comandante nazista col nome che omaggia l’aristocratico e altero regista Von Stroheim, all’attore Jean Gabin.

Terza serie: Jotaro Kujo

Ma è nel terzo capitolo che Araki compie la decisiva maturazione. Innanzitutto il tratto esaspera le pose dinoccolate, l’amore per i dettagli, per l’architettura e la scultura, ma il tutto con una pulizia sempre maggiore, e l’evoluzione verso forme più rotondeggianti.

L’impostazione comica di certe parti si concede frequenti divagazioni nel caricaturale, e addirittura nelle sperimentazioni di stili diversi, come mostrano i disegni del libro di Thot posseduto da uno dei nemici, o il design dei tarocchi. La vicenda di base è ancora debitrice di Indiana Jones ma è ambientata nel presente. I vari paesi visitati sono trattati con maggiore approfondimento. L’autore trasferisce le esperienze maturate nei suoi stessi viaggi per descrivere usanze, cibi, monumenti, costumi, spesso tramite esilaranti gag che ironizzano sull’idiozia del tipico turista.

Anche i combattimenti si evolvono verso direzioni narrative ancora più folli.Le onde concentriche lasciano il posto all’intuizione più fortunata di Araki, la creazione degli Stand, una concretizzazione solida dell’energia spirituale. Inizialmente gli Stand si presentano con un aspetto antropomorfo, e il tutto sembra incentrato su bizzarre metamorfosi, come i nemici delle precedenti serie. Ma progressivamente l’autore inserisce stand dalle forme più variegate, come veicoli od oggetti, ed inizia ad incrementare l’aspetto strategico. Ogni potere stand si basa su un espediente in grado di vanificare gli attacchi dell’avversario. Questo porta ad avere scontri “fisici” e pieni di bizzarrie e altri invece più “sedentari” e pieni di tensione, in cui i nemici di turno sfidano i personaggi a poker, o perfino ai videogiochi, dando quindi al manga una connotazione avventurosa sempre diversa, dal thriller alle storie sul gioco d’azzardo, d’inseguimento, l’horror…

Il protagonista di questo capitolo, Jotaro Kujo, rappresenta un’ulteriore evoluzione: la furbizia del predecessore diviene in Jotaro un acume degno di Sherlock Holmes. Il suo cognome sembrerebbe derivare dal cane Cujo dell’omonimo romanzo di Stephen King, e le atmosfere di questo scrittore ricordano parecchio certe situazioni del manga, come personaggi che sfondano la porta in modo simile al Nicholson di Shining, uno stand che ricorda Christine la macchina infernale o un’altro che sembra preso dal racconto “Campo di Battaglia”.
Jotaro ha l’aspetto di un massiccio ragazzone ma possiede il cervello e la freddezza di un vero genio.
Contrariamente all’apparente connotazione “fisica” dei poteri del suo stand è capace di utilizzarne pregi e difetti al meglio, spesso smascherando le trappole degli avversari usando unicamente il suo spirito di osservazione. Grande spazio viene dato ai coprotagonisti della storia, che agiscono in gruppo o in avventure solitarie, rubando spesso la scena a Jotaro. Araki esalta l’umanità di questi personaggi e l’amicizia che si consolida nel gruppo con una delicatezza e un senso del dramma che difficilmente lascia indifferenti.

Le citazioni di questa serie sono ancor più molteplici e variegate. A parte i nomi dei personaggi, ognuno basato su un gruppo o un musicista differente nello sterminato panorama anni settanta-ottanta (I Devo, Iggy Pop, Paula Abdul, Terence Trent D’Arby, perfino i Pet Shop Boys e Vanilla Ice!) le citazioni arrivano a influenzare parecchio anche il contesto narrativo.

Araki aveva inteso fin dall’inizio Jojo come e propria trilogia in cui, malgrado la leggibilità delle singole parti, c’era comunque un cerchio da chiudere tra l’inizio del conflitto con Dio Brando e la resa dei conti con quest’ultimo e gli eredi della famiglia Joestar. Con la fine della terza serie inizia una prospettiva totalmente diversa, e più libera da vincoli, in cui le conseguenze di certe azioni di Dio Brando diventano un mero pretesto narrativo per continuare a raccontare storie con dentro gli stand.

Quarta serie: Josuke Higashikata

La quarta serie si prende una pausa dal viaggio e preferisce concentrarsi sull’esplorazione della routine di una tranquilla cittadina, rappresentata con precisione nelle sue consuetudini e nei suoi stravaganti abitanti.
È il capitolo più sperimentale della saga, e non possiede neppure un vero e proprio protagonista, visto che il Jojo titolare della serie, in attesa dello scontro finale con il misterioso nemico che muove le fila della vicenda, lascerà spesso e volentieri le luci della ribalta agli altri comprimari, coinvolti nelle loro avventure e in relazioni interpersonali che rendono ancora più realistico il concetto di “città” come centro di destini e interessi incrociati. Morio (questo è il nome della cittadina) è rappresentato verosimilmente come piccolo nucleo di problemi ma soprattutto di vantaggi, piccoli piaceri irrinunciabili all’ombra di un bel sole o in giro a gustare pietanze locali. Un luogo pulsante, vivo, capace di influenzare interessi e destini incrociati.

Non è un caso infatti che lo scontro bene-male in questa serie, diventa un discorso di conservazione di vantaggi privati, egoistici, contrapposto alla difesa del bene collettivo. Infatti la ricchezza che le opposte fazioni si contendono, negli scontri all’ultimo sangue, non è più un obiettivo fantascientifico come la conquista del mondo o la salvezza dello stesso, ma, in modo molto più terra terra, la difesa della tranquillità e del benessere che la dolce cittadina può offrire.L’umorismo, la drammaticità, la profondità psicologica iniziano a imporsi sulla semplice esigenza di mostrare scontri e poteri sempre diversi. Un pranzo al ristorante, una passeggiata in giro per la città, un flirt con una compagna di scuola, o l’incontro con personalità celebri che abitano a un passo da casa possono diventare il pretesto per avvenimenti bizzarri e inconsueti.
Tra i personaggi di questa serie c’è il fumettista Rohan Kishibe, nato per ironizzare sul mestiere del mangaka giapponese. Sebbene talvolta Kishibe sembri un pazzo fanatico, ci svela nei suoi dialoghi alcuni dei criteri di lavoro che hanno determinato il successo della serie, tra cui la rigorosa documentazione e la curiosità verso fonti di ispirazione sempre diverse.

Lo stile di disegno inizia ad abbandonare le anatomie muscolose, e devia sempre più verso forme aggraziate e rotondeggianti. La versatilità narrativa arriva al suo apice: ci sono episodi comici e altri che deviano verso atmosfere horror o thriller. Ci sono gare di intelligenza, partite a dadi, battute di caccia e perfino episodi sentimentali.
La città di Morio e il fatto di giocare con diversi personaggi danno ad Araki la libertà di raccontare tutte le mini-storie che preferisce, in attesa del confronto finale.

Da questa serie in poi le citazioni musicali iniziano a diventare parte integrante anche del nome degli stand. Tra i tanti: Red Hot Chili Peppers, i Queen, i Pink Floyd di Echoes, l’amore di Araki per Prince (visibile anche nelle decorazioni dell’uniforme di Josuke).
I riferimenti a personaggi del cinema (come Ridley Scott) e della cultura popolare si fanno più frequenti, trattandosi di uno scenario vicino a quello contemporaneo. Si possono trovare citazioni dei manga e degli anime giapponesi, come Rocky Joe, Paaman, Dragonball, miste ad altre decisamente più colte, come l’arte di Escher o Salvador Dalì che diventa ispirazione per gli stand e i loro poteri.
Iniziano a fare capolino i nomi degli stilisti famosi che verranno citati massicciamente nella sesta serie. Sempre a proposito di moda, è proprio qui che Araki incomincia a sperimentare parecchio sull’abbigliamento e le capigliature dei propri personaggi, pescando parecchie idee dalle bizzarre creazioni delle sfilate di tutto il mondo. Quindi la citazione diventa sempre di più metodo di creazione e ispirazione piuttosto che giochetto fine a sé stesso. Jojo inizia sempre più ad assomigliare un manga-collage, in cui le diverse influenze della cultura pop vengono assemblate in qualcosa di nuovo.

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Quinta serie: Giorno Giovanna

Purtroppo nei successivi capitoli l’espediente degli stand inizia a mostrare il segno, e malgrado Araki si sforzi di trovare poteri sempre più originali la struttura narrativa tornerà un po’ più rigida e meno sperimentale. Il tratto nel frattempo diventa sempre più rotondeggiante e incline a disegnare personaggi efebici.

Nella quinta serie ritorna il tema del viaggio, ma per i lettori italiani quest’ultimo avrà comunque un sapore particolare, poiché è ambientata completamente nel nostro paese e compiuto quasi tutto in treno, passando da una città all’altra, con monumenti e siti d’interesse archeologico o turistico riprodotti in modo minuzioso.

I personaggi principali appartengono a un’organizzazione mafiosa. Tuttavia l’autore non è interessato a dare della mafia un ritratto realistico, la usa come mero pretesto per riproporre uno dei suoi archetipi narrativi preferiti: il ribelle dalle mille risorse (poco importa se avventuriero, uomo comune, malvivente) che persegue il proprio istinto di sopravvivenza a discapito di qualsiasi difficoltà… perfino della morte.

Una sopravvivenza, nel pieno stile di Jojo, intesa non solo come voglia di vivere ma volontà di preservare la propria “eredità”, i propri sogni e le proprie speranze. I protagonisti sono tutti malviventi dal cuore nobile, che in qualche modo cercano di sfruttare la propria condizione come elemento di riscatto per vite passate povere o poco onorevoli, e che addirittura sognano di usare il potere mafioso come strumento per assicurare giustizia e stabilità.

Ci sono alcune scelte che lasciano però perplessi, come i nomi dei personaggi ricavati da piatti tipici della cucina italiana, il ritorno di alcuni personaggi storici in chiave parecchio deludente, la necessità di dare una sorta di origine dei poteri stand di cui non si sentiva il bisogno.

JoJoVentoAureo

Sesta serie: Jolyne Kujo

Il sesto arco narrativo della saga inizialmente aveva un titolo diverso: “Part 6 Kujo Jolyne: Stone Ocean” , tanto che nei primi episodi non era chiaro se fosse davvero la sesta parte della saga o uno spin-off , con protagonista la figlia dell’eroe della terza serie, tant’è che perfino la presenza dei primi stand tardava a manifestarsi.

In seguito ritornarono tutti i temi tipici delle altre serie, e fu ufficializzata come sesta serie di Jojo. In omaggio a “Stone Ocean” ognuna delle precedenti cinque parti venne rinominata con un sottotitolo aggiuntivo: Phantom blood per il primo ciclo , Battle Tendency per il secondo, Stardust Crusaders per il terzo, Diamond is unbreakable per il quarto, Vento Aureo per il quinto.

L’ambientazione si rivela coraggiosa e originale: un carcere femminile americano. Purtroppo però Araki non riesce ancora a disegnare personaggi femminili interessanti e capaci di diversificarsi dalle controparti maschili, anch’esse tendenti all’efebico. Anche a livello psicologico, nonostante il buon approfondimento della protagonista, le altre sembrano quasi tutte maschietti travestiti. Nonostante le premesse decisamente più intriganti della prima serie, si è rivelato il capitolo più debole, contorto dal punto di vista narrativo e graficamente confuso, nonostante le diverse fonti di ispirazione, anche cinematografiche, per i poteri degli stand, come Fight Club e il film Memento. Si riflette sui concetti di tempo, Aldilà, e raggiungimento della felicità suprema.

Il finale è atipico rispetto alle parti precedenti, quasi apocalittico-catastrofico, e ciò che vi avviene sembra aver “resettato” in qualche modo la continuity di Jojo, come se l’autore cercasse un nuovo punto zero da cui ripartire, o forse rigenerarsi.

Settima serie: Johnny Joestar

Tutto ciò ci porta a Steel Ball Run, il settimo ciclo. L’ambientazione torna indietro sino al periodo storico della prima serie, quasi come se l’intera saga fosse ripartita in una dimensione parallela. Ci ritroviamo quindi nel 1890, stavolta lungo i sentieri selvaggi degli Stati Uniti, per seguire una folle corsa di cavallo tra portatori di stand a caccia delle parti di una santa reliquia.

Come in una sorta di Wacky Races “alla Araki”, vediamo concorrenti che hanno gli stessi nomi dei protagonisti delle precedenti serie, ma caratteri e storie di vita totalmente differenti.
In quanto a cambi di prospettiva e tematiche è certamente la più stravagante di tutte, continuando ad esplorare i discorsi su Aldilà, Gravità, Tempo e Spazio e finendo per contaminarsi con la storia dell’arte, la teoria del rettangolo aureo, e rivelazioni che sembrano uscite dal Codice da Vinci di Dan Brown.

Il disegno migliora decisamente, l’uso dei tratteggi e dei primi piani altamente espressivi nobilita le tavole e i personaggi femminili si caricano di fascino e attrattiva.

A livello narrativo la serie cambia più volte direzione, alcuni personaggi che sembravano protagonisti scompaiono, gli obbiettivi di altri cambiano, e perfino gli assunti iniziali si spostano verso tematiche diverse. Se inizialmente la storia sembra procedere sui binari cari alla moda dei thriller-esoterici, addentrandosi nel vivo del racconto ci si accorge che ciò che Araki propone è una sua personale visione dell’esistenza e che, ancora una volta, il tema centrale è l’indipendenza dell’uomo e la sua lotta per il libero arbitrio.

L’approfondimento psicologico e i flashback sui protagonisti sono tra i migliori mai realizzati dall’autore, spesso pieni di riflessioni amare e nostalgiche, e sopperiscono alla puntuale presenza di stand e scontri non più esaltanti come un tempo.

In realtà, rileggendo Steel Ball Run come un’opera completa, ovviando così alle interruzioni dovute alla serializzazione, sembra quasi che le battaglie e i poteri stand non siano più al centro del fumetto ma siano anzi il corollario ad un’indagine più matura dello spettro umano e delle sue inclinazioni. Vista dall’alto, l’immensa mole de Le bizzare avventure di Jojo, dalla prima alla settima serie, riflette il processo evolutivo della pensiero del suo autore con una scelta stilistica e di contenuto difficilmente riscontrabile in altri lavori pluridecennali. Ci sono certamente state molte incertezze e passi falsi nel cammino ma, con sorprendente padronanza della narrazione, Araki sembra averle sempre rigirate a vantaggio della qualità della sua opera.

Anche il finale di questa serie, così come la precedente, stupisce per atipicità e “bizzarria”. Il confine fra buoni e cattivi, vincitori e sconfitti, non è più individuabile con chiarezza e questo permette alle impressioni ricevute dalla lettura di evolversi in riflessioni e stati d’animo molto realistici.

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Ottava serie: Josuke Higashikata

Jojolion (questo il nome dell’ottavo capitolo) continua ad esplorare l’universo sviluppatosi di conseguenza al finale della sesta serie, Stone Ocean: un po’ reboot, un po’ virtuosismo narrativo, l’interesse si è comunque rinnovato e la freschezza delle storie ne guadagna.

Volume_107Questa volta ritorniamo a Morio-Cho, città giapponese immaginaria già ambientazione della quarta serie (Diamond is Unbrekable), ritrovando anche qui nomi e situazioni simili ma diverse rispetto al passato. Siamo negli stessi anni in cui il fumetto viene scritto (2013-2014 circa) e a causa di un violento terremoto sulla costa della città si sono sviluppati dei rigonfiamenti montuosi chiamati “Muri di occhi”.
Qui, Yasuho Hirose, una giovane ragazza, trova un ragazzo nudo e senza memoria, con una voglia a forma di stella sul collo, quattro testicoli e un potere stand: Soft&Wet. Costui, una volta adottato dalla misteriosa e bizzarra famiglia Higashikata, acquisirà il nome di Josuke Higashikata (proprio come il protagonista della quarta serie).

Nei volumi pubblicati fin’ora in Italia, la storia si sviluppa dipanando l’enigma della provenienza del ragazzo e tutta una serie di altri inquietanti misteri legati a una malattia ereditaria della famiglia Higashikata che si svelano di numero in numero continuando a cambiare la direzione tematica della serie. Purtroppo, fin’ora, la struttura narrativa sembra essere un po’ più stanca rispetto a Steel Bell Run, alternando quasi sistematicamente tre-quattro episodi di combattimenti stand e uno di rivelazioni-scoperte, non riuscendo a imprimere al racconto la stessa spiazzante meraviglia della settima serie.

Anche i contenuti non hanno la stessa potenza indagatrice e il disegno sembra essere ritornato al livello di passate prove (Vento Aureo, Stone Ocean), sempre d’impatto ma forse meno incisivo. Comunque la serie è ancora alle prime battute e ci sarà quindi tempo per farsene un’idea complessiva più appropriata.
Da segnalare la presenza inedita della storia d’amore fra i due protagonisti, tema fin’ora mai esplorato da Araki e la sensazione di una sceneggiatura “di ferro”, già definita prima della partenza,  che prende le mosse proprio dalla serie precedente, creando una continuity molto serrata fra Steel Ball Run e Jojolion.

Fa qui la sua apparizione poi uno degli stand più interessanti dell’intera saga: Paisley Park di Yasuho Hirose, stand legato allo smartphone della protagonista che, come un navigatore satellitare del destino, le suggerisce la direzione giusta da prendere nelle situazioni.

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