Siamo nella Shangai del 1937. Il Giappone, che ha appena dichiarato guerra alla Cina, bombarda la città e l’evento drammatico porta due bambini molto diversi tra loro a incrociare le proprie strade.
YaYa viene da una famiglia agiata che sta per lasciare la città dopo la dichiarazione di guerra. Appassionata pianista, la bambina si allontana dai genitori per poter partecipare ad un prestigioso concorso, perdendosi nel caos del bombardamento.
Tuduo è un fanciullo di strada che si guadagna da vivere esibendosi in acrobazie, sfruttato e vessato da Zhu, un uomo si serve di orfani e ragazzi di strada per fare soldi. Quando i due bambini si incontrano, Tuduo decide di farsi carico della sicurezza di YaYa, promettendole di farle rincontrare i propri genitori.
Il fumetto, che in totale conta nove volumi, ha diverse caratteristiche che lo rendono piuttosto atipico. Oltre all’ambientazione, anche l’estetica della storia, realizzata dall’esordiente Golo Zhao, è decisamente orientale, con un tratto e un’impronta che richiamano da vicino l’animazione giapponese. In particolare è immediata una reminiscenza verso i lavori del premio Oscar Hayao Miyazaki.
I testi sono opera di un gruppo di autori francesi, Jean-Marie Ormont, Patrick Marty e Charlotte Girard. La commistione tra bedé e oriente non è una novità assoluta o un evento raro, come ad esempio testimonia Patrick Marty, che ha realizzato la serie de Il Giudice Bao con i disegni di Chongrui Nie. Resta comunque una sorta di mash up creativo meno canonico. Infine il formato, orizzontale, per volumi piuttosto piccoli, con molte splash page e poche vignette e disegni, e con colori che erompono riempiendo le tavole fin quasi a far sparire ogni traccia del bianco della carta, ci consegnano una serie di albi che esulano dal canonico bianco e nero tipico dei manga o dalla classica ligne claire francese.
Il tono della storia alterna umorismo e dramma in modo piuttosto equilibrato. La storia presenta anche alcuni elementi fantastici, legati all’animale che accompagna YaYa, il bizzarro uccello Pipo.
Pipo parla, ma se all’interno della storia solo la sua padroncina capisce le sue parole, l’animale sfonda la quarta parete e si rivolge spesso al lettore trasformandosi nel narratore stesso della storia. Un effetto che ci riporta a un certo tipo di letteratura classica dell’infanzia, anche se il personaggio risulta a tratti un poco infantile rispetto al resto della narrazione.
Ancora una volta, l’alternarsi di dramma e umorismo e l’animale compagno della protagonista ci orientano verso un certo tipo di prodotto animato.
Il racconto scorre veloce, anche per il numero limitato di vignette. Il disegno, se nelle figure umane ha la pulizia e la semplificazione tipica del tratto orientale, è invece estremamente dettagliato nelle scenografie, negli oggetti, nei veicoli e nei vestiti che si dipanano sulle tavole.
Non esiste una sola vignetta priva di sfondo o in cui questo sia risolto con qualche escamotage: l’ambiente è una presenza molto densa in questo fumetto. Se è vero dunque che la lettura è piuttosto rapida, altrettanto lo è il fatto che ci si trova spesso ad attardarsi su questa estrema ricchezza di dettagli.
Abbiamo parlato di:
YaYa #1 La fuga/#1 Prigioniera
Jean Marie Ormont, Patrick Marty, Charlotte Girard e Golo Zhao
Renoir, 2016
96 pagine, brossurati, colori – 7,90 € cad.
ISBN: 9788867901876 / 9788865671023