Texas Cowboys: il West di Trondheim e Bonhomme

Texas Cowboys: il West di Trondheim e Bonhomme

In due volumi, Renoir raccoglie “Texas Cowboys”, la serie di Lewis Trondheim e Matthieu Bonhomme ambientata nelle terre di frontiera americana di fine ‘800.

Harvey Drinkwater è un giornalista di Boston nella fine dell’Ottocento che, per realizzare un servizio per il proprio quotidiano, viene mandato a Fort Worth, cittadina del Texas situata nel cosiddetto “mezzo acro d’inferno”, così definito per la vita particolarmente movimentata che si vi si rintraccia. È l’inizio di una serie di avventure che cambiano molto il carattere del giovane, grazie alla conoscenza e amicizia con il vecchio cowboy Ivy, che gli fa da mentore per la sopravvivenza in quella zona, e a una serie di esperienze che lo fanno maturare in fretta.

Texas_Cowboys_1Con Texas Cowboys, Lewis Trondheim realizza prima di tutto un omaggio al vecchio West: l’opera è infatti infarcita di tutti quegli elementi che hanno caratterizzato la narrativa di genere, in particolare al cinema: dai saloon come luogo fondamentale di incontri e passaggio obbligato per lo sviluppo di trama a personaggi che rappresentano archetipi tipici.
Cowboy, indiani, fuorilegge, sceriffi, allevatori, bari, donne di facili costumi, sono tutte figure di primo piano nel fumetto, ciascuna con le sue peculiarità e la propria storyline, tutte che concorrono a definire in maniera precisa la storia: i lettori seguono infatti le vicende raccontate non solo attraverso l’ottica del protagonista, ma secondo il punto di vista di quasi tutti i comprimari in azione.

Pur attingendo a piene mani dalla letteratura della grande frontiera americana, lo sceneggiatore riesce a trattare la materia con un approccio peculiare: non limitandosi a fare il verso al genere western, né a riproporre in maniera pedissequa i punti forti di questo tipo di avventure, Trondheim mette in scena un Texas quasi idealizzato, concedendosi alcuni accorgimenti narrativi maggiormente raffinati.
In prima battuta la non linearità del racconto: in più occasioni vengono infatti mostrate scene non facilmente comprensibili in quanto flashforward di fatti che sarebbero avvenuti solo successivamente, e che assumono quindi pienamente significato nel momento in cui la continuità della storia si riunisce a quanto anticipato nelle pagine precedenti. Uno stratagemma non certo rivoluzionario, nemmeno in questo ambito specifico, ma che risulta ben giocato e riesce a vivacizzare il ritmo del racconto.

Texas_Cowboys_3È interessante notare anche l’attenzione verso una caratterizzazione ambigua di alcuni personaggi: un buon esempio di questa affermazione si rintraccia nello studioso che si reca da una tribù indiana per conoscere i segreti custoditi dal loro sciamano, una sottotrama che non trova una vera e propria parabola compiuta ma si limita a mostrare alcune esperienze extrasensoriali intellegibili solo in parte dal lettore.
Anche il background di Betsy Marone, astuta giocatrice di poker e “regina” del saloon, appare di tavola in tavola più interessante, andando a svelare un trauma del suo passato che la porta a compiere determinate azioni; altro filone, peraltro, destinato a rimanere senza una vera e propria risoluzione.

L’impressione è che l’autore abbia cercato di rendere il più possibile “vivo” lo scenario creato, partendo dall’assunto per cui nella realtà non sempre quello che accade trova uno sbocco o una conclusione che riunisca i fili sospesi. Solitamente applicare un approccio di questo tipo a un’opera di finzione è rischioso, ma in questo caso funziona: avere un cast allargato e una cittadina come scenario unitario permette di accettare di buon grado e senza stonature questo andamento, che non comunica un senso di incompiutezza ma anzi di realismo.

Texas_Cowboys_6La qualità della scrittura è tale da far sì che anche un vero e proprio cliché come la coppia di protagonisti formata dal giovane ingenuo proveniente dalla città e dal cowboy veterano che si occupa di svezzarlo non suoni come qualcosa di vecchio e prevedibile, ma anzi assuma nuovo vigore grazie alla caratterizzazione vincente delle due figure: Harvey conosce infatti un’evoluzione repentina ma credibile, perché si innesta su un carattere solo apparentemente sommesso che in realtà nascondeva un animo smaliziato e in grado di far fronte alle avversità con un certo humour, mentre Ivy si arricchisce di sfumature man mano che la storia procede. Sicuramente tra i due è il personaggio con più debiti verso il western classico, ma il suo tenere il piede in due scarpe, l’ambiguità di fondo, un senso tutto particolare di amicizia e le sue priorità lo rendono quantomeno un caratterista dal quale è difficile sapere cosa aspettarsi da una pagina all’altra.

A livello formale, i due volumi raccolgono diversi capitoletti, introdotti ciascuno da una locandina che richiama palesemente le copertine delle riviste pulp che venivano pubblicate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e che raccontavano proprio versioni romanzate di quanto avveniva nella vita di frontiera.
Il primo albo racconta in particolare della banda di fuorilegge capeggiata da Sam Bass, alla quale Harvey vuole aggregarsi per fare esperienza e per cercare di incassare la taglia sopra la testa del furfante, mentre il secondo vede il ritorno del protagonista a Fort Worth – dopo il suo rientro a Boston, avvenuto fuori scena – per aiutare Ivy in una faccenda che riguarda l’amico.
Dei due quello che appare meglio gestito è proprio quest’ultimo, per una maggiore unitarietà nel racconto che, pur senza rinunciare alla pluralità di volti che assumono di volta in volta centralità sulla scena, riesce a far emergere una trama principale in mezzo alle altre vicende mostrate; tra le quali, peraltro, compaiono trovate molto interessanti, come il tizio senza un braccio che per un bicchiere è disposto a raccontare la storia di come ha perso il proprio arto, salvo cambiare versione ogni volta, e un attaccabrighe di professione che lega presto con i protagonisti.
Il primo volume, di contro, paga un po’ troppo l’eccesso di filoni e la discontinuità narrativa, risultando meno apprezzabile.

Texas_Cowboys_11I disegni di Matthieu Bonhomme sono eleganti e minuziosi, soprattutto nel modo di ritrarre i personaggi: gli abiti appaiono sempre curati nei loro particolari, che siano completi eleganti, vestiti da pistoleri o indumenti da donna.
I volti trasmettono i segni scavati dalla fatica, dal sole e dai rischiosi imprevisti verso cui andavano incontro uomini di legge e briganti, e sono spesso incorniciati da generosi baffi e da cappellacci a tesa larga.
Gli sfondi non sono da meno: il saloon, anche in virtù del suo ruolo chiave nelle varie vicende, è caratterizzato da moltissimi dettagli nella sua struttura, che lo rendono credibile e lo inquadrano perfettamente in tutti i suoi ambienti.
Buona parte della riuscita di questo affresco è data dalla colorazione dello stesso Bonhomme, che negli ambienti chiusi privilegia toni caldi, con prevalenza di un rosso borgogna che si presta particolarmente alle atmosfere vaporose e soffuse del bar.
I flashback e le scene in notturna assumono invece piacevoli e inquiete sfumature bluastre, mentre quanto avviene di giorno all’aria aperta abbraccia diverse gradazioni di giallo restituendo ottimamente le sensazioni delle brulle distese americane.

Interessante osservare come, per rendere le ombre, l’artista scelga di optare per un effetto puntinato piuttosto sobrio ed elegante, efficace nel richiamare l’estetica di quelle vecchie riviste dell’epoca a cui si alludeva poco sopra.

Texas_Cowboys_5Per quanto attiene alla gabbia, Bonhomme segue una scansione decisamente regolare: la maggior parte delle tavole ha infatti una scansione di 6 vignette per pagina con i riquadri tutti delle stesse dimensioni, senza concessioni neppure a una leggera asimmetria.
Ad alternare il ritmo narrativo notiamo solo alcune doppie ogni tanto e qualche ancor più rara quadrupla: una struttura che in realtà ben si presta al tipo di sceneggiatura, anche se in alcune occasioni una maggior libertà avrebbe forse giovato alla scena.

Texas Cowboys si rivela un fumetto che non ha nessuna intenzione né di stravolgere il genere in cui si inscrive, né di spiccare al suo interno; ambisce con tutta evidenza a essere una buona avventura western, con qualche piccolo escamotage postmoderno nella scrittura che nel complesso punta a intrigare il lettore tramite personaggi molto forti che reggono sulle proprie spalle buona parte dell’opera.

Abbiamo parlato di:
Texas Cowboys – voll. 1-2
Lewis Trondheim, Matthieu Bonhomme
Traduzione di Francesco Larocca
Renoir, 2014
144 pagine cadauno, cartonati, colori – 15,90 € cadauno
ISBN: 9788865670569 – 9788895671047

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