Venezia è un pesce, Celestia è una poesia

Venezia è un pesce, Celestia è una poesia

La seconda parte di Celestia, la nuova opera di Manuele Fior, va a concludere, tra follia e speranza, la saga di Dora e Pierrot. Una lettura contro la peste.

Il secondo volume di Celestia di Manuele Fior è uscito per Oblomov alla fine di febbraio: appena in tempo per essere assurdamente contemporaneo, ancor più che profetico.

Ciò che rende preziosi e indispensabili gli artisti (qualità oggi quasi completamente dimenticata o sottovalutata) è proprio la loro dimensione sciamanica che dalla notte dei tempi offre alla visione comune un più ampio spettro di intendimento. Le loro antenne alzate e in contatto con il campo invisibile della vita ci permettono di affrontarla e approfondirla, attraverso le loro opere, in modi inaspettati e spesso salvifici, magari anche al di là delle intenzioni coscienti dell’autore stesso. L’artista è un canale attraverso il quale fluiscono impressioni e verità dedicate all’intuito e alla coscienza profonda.

Celestia 1

Fior nel primo volume di questa sua nuova opera (nuova per davvero), aveva cominciato a parlarci di una “grande invasione” che, venuta dal mare, ha decimato in non si sa bene quale modo la civiltà pregressa, costringendo i superstiti a rifugiarsi in visionari castelli sulla terraferma (che il fumettista illustra come grandi opere mai realizzate di architettura moderna), mentre alcuni, soprattutto giovani, si sono barricati a Celestia, la Venezia fantastica e visionaria del titolo.

L’affinità con la situazione che stiamo vivendo oggi (marzo 2020) è notevole e dona al libro un’aura molto particolare. Addirittura Fior, ben prima che l’emergenza sanitaria si paventasse, ha deciso di inserire all’inizio di questa seconda parte del racconto una citazione da Profezia di Pier Paolo Pasolini:

“(…) e prima di giungere a Parigi/ per insegnare la gioia di vivere,/ prima di giungere a Londra/ per insegnare ad essere liberi,/ prima di giungere a New York/ per insegnare come si è fratelli/ – distruggeranno Roma/ e sulle sue rovine/ deporranno il germe/ della Storia Antica.”

La poesia, come ogni profezia appunto, è oscura e apocalittica, ma tremendamente azzeccata. La grande invasione che fa da sfondo mai mostrato all’intero Celestia non è certo l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo oggi ma, volenti o nolenti qualcosa di essa, leggendone le pagine, risuona e fa sì che quest’opera sia ammantata di una piacevole quanto inquietante sincronicità.

Anche fuori da Celestia la gente sta chiusa in casa. Alla fine del primo volume, Pierrot e Dora (i due protagonisti) fuggono dalla città lagunare per ritrovarsi immersi in un entroterra deserto e abbandonato dove sorgono moderni castelli abitati da bambini iper-coscienti e adulti, al contrario, preda della smemoratezza e dell’apatia. In questo secondo volume è proprio l’esplorazione di questa terra addormentata a essere centrale, rimandando l’atteso ritorno a Celestia per il gran finale.

Celestia 2

Nel suo articolo sul primo volume, Cristiano Fighera ha già ampiamente e approfonditamente parlato del lavoro di Fior e dell’eccezionalità di quest’opera, sia all’interno della produzione dell’autore, sia nel fumetto contemporaneo, e per quanto riguarda lo stile e la narrazione questo secondo volume non si distacca troppo dal precedente. Mi limiterò allora a sottolineare alcune impressioni che la lettura di questi libri ha scaturito in me e la prima, la più forte e radicata, riguarda la delicatezza poetica e insieme selvaggia che permea i disegni e la narrazione di Fior, qualcosa che appartiene a un tempo remoto e che raramente viene “riscoperto” nel fumetto odierno. E aggiungerei anche nel cinema.

Mentre mi immergevo nelle calli di Celestia e nelle sue paradisiache desolazioni lagunari, non potevo fermare il flusso di ricordi e assonanze. Fellini e i suoi Casanova e Satyricon, Kubrick e l’Arancia Meccanica e l’Odissea nello spazio, Antonioni nel Deserto rosso, Marco Ferreri e Il seme dell’uomo. Pierrot, maschera tragica e caotica, a metà fra il Dave Hemmings di Blow Up e il Terence Stamp del Teorema di Pasolini, e  quindi gli archetipi della commedia dell’arte: i drughi Mister, Mona, Arlecchino (ovvero la Confraternita dei Mutanti Malvagi di Fior), usciti dritti dritti, oltre che dal teatro, anche da quel capolavoro indiscusso del gotico italiano che è Pinocchio, con i suoi personaggi pazzi, doppi e inquietanti, così come i forsennati antagonisti di Pierrot e Dora.

Raramente (o forse mai) mi era capitato di trovarmi di fronte a un’opera che riuscisse non a citare ma a catturare l’essenza di un sentimento (come quelli che animano i film sopra citati) e la trasponesse sulla carta in maniera del tutto personale, ricreando una mitologia per le nuove generazioni. Fra le pagine di Celestia soffia un vento nuovo, una narrazione fresca e ritmica, con echi, ombre e melodie che dal passato ci parlano ancora.

E muovendoci nell’ambito del fumetto, ritroviamo qui, ben vive, le lezioni dei decani e dei maestri, da Windsor McCay e Will Eisner a Hugo Pratt e Vittorio Giardino, per arrivare alle influenze che gente come Andrea Pazienza, Stefano Tamburini e lo stesso Igort (direttore editoriale di Oblomov) hanno gettato sul fumetto contemporaneo.

Celestia 3

Lo stile di Fior – dal disegno, ai testi, alla colorazione (quest’ultima, immaginifica e fondante, risalta sul tutto) – sembra essere perfettamente in bilico fra il grande passato della Nona arte e le contingenze più attuali che la stanno animando.

L’autore, architetto in forza al fumetto, pacato e sempre un po’ al di fuori della mischia, centellina i suoi lavori con il contagocce e ogni volta che uno di questi finalmente vede la luce, sposta la traiettoria della sua ricerca e propone a lettori e professionisti un nuovo punto di vista. Leggendolo, oltre alla straordinarietà della sua tecnica, balza all’occhio la facilità con cui utilizza il medium. Facilità, mi immagino, solo apparente, e frutto invece di molte ore di lavoro, ma che mantiene quella leggerezza e quella intensità che rapiscono completamente il lettore.

Immergendosi in Celestia, infine, l’impressione è quella di avere a che fare con una grande narrazione, epica e intima allo stesso tempo, come nella sintesi propria della poesia. Mi pare che, insieme a La terra dei figli di Gipi, Celestia apra le porte ad una narrazione italiana moderna, carica di suggestioni remote ma lanciata verso il divenire. Non a caso, entrambe le opere, ripongono nei bambini e nelle donne il loro seme di speranza.   

Abbiamo parlato di:
Celestia vol. 2
Manuele Fior
Oblomov, febbraio 2020
146 pagine, brossurato, colore – 18,00 €
ISBN: 9788831459006

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