Stupor mundi è la storia di Annibale, dotto scienziato d’oriente, che si reca assieme a sua figlia e al loro servitore presso la corte di Federico II di Svevia in Puglia, a Castel Del Monte, luogo in cui si concentrarono molte fra le menti più brillanti dell’epoca.
È difficile trovare un punto di partenza nella descrizione di questa opera-mondo che Nejib, autore d’origini tunisine, ha plasmato.
Come ogni grande classico, che merita di esser ricordato nelle antologie, Stupor mundi nasconde una grande attualità dietro la veste di un’ambientazione storica fedele e più o meno remota, un silenzioso thriller medievale che procede sulla scorta delle atmosfere de Il Nome della Rosa di Umberto Eco, con cui peraltro i punti in comune son più d’uno: dalle scene ambientate quasi esclusivamente qui nel castello e là nell’abbazia, alla presenza di ambigue figure monastiche fino alla centralità nella trama di un antico manoscritto.
Partire dal passato per raccontare il presente insomma, è così che l’opera di Nejib, nella sua essenziale ed ermetica semplicità, riesce a trattare in maniera sorprendente i temi dell’oggi. In particolare è centrale la riflessione sulla ricerca scientifica e sulla morale che dovrebbe (o meno) accompagnare lo scienziato, perennemente in bilico fra il sacrificare la propria dignità e quella altrui, pur di raggiungere gli esiti della ricerca, e la necessità di conservare un’integrità che orienti le sue scelte, oltre all’intrinseca ambiguità di ogni scoperta, che è sempre in potenza il migliore dei beni ed assieme il peggiore dei mali.
La storia trova inoltre lo spazio per un breve excursus sulla valenza del linguaggio, interrogandosi se sia il linguaggio a definirci o viceversa: un dubbio millenario che viene esposto con una breve parabola su un “esperimento” condotto da Federico II su tre bambini accuditi da alcune balie senza mai proferir loro parola; episodio che peraltro veniva citato in un contesto simile anche nella Trilogia di New York da Paul Auster.
Altro aspetto determinante del racconto è poi la riflessione sull’essenza della fotografia, arte che l’autore ha molto a cuore, e che rende primo motore immobile da cui tutta la narrazione si sviluppa.
Annibale inventa una proto-macchina fotografica, un apparecchio che appare inutile a tutti i suoi contemporanei, e persino il suo inventore, che ha sempre la parola pronta, resta muto di fronte alle richieste di spiegazione sull’utilità della sua creazione.
Eppure oggi l’immagine fotografica ha un’importanza fondamentale (come la ha in Stupor Mundi) e invade con prepotenza la nostra quotidianità, fra icone pubblicitarie e tutto ciò che freneticamente ci passa davanti su cellulari e computer; ma soprattutto è la funzione documentaristica che fa della fotografia uno dei più potenti strumenti di comunicazione moderni.
L’importanza della tradizione dell’evento umano e naturale nel reportage costituisce un baluardo ormai fondamentale per tutti i sistemi di potere politico ed anche – oggi forse più tristemente – religioso.
Nejib si sofferma in maniera molto raffinata su questo aspetto, mettendo in scena un ancestrale inganno di potere, di cui non è importante la palese non veridicità, vista la grande carica simbolica che esso assume: una sorta di archetipo da cui derivano tutti i mali di una manipolazione scriteriata dell’immagine, che, se intonsa e non menzognera, ha un valore sacrale. La metafora è molto forte, e rimanda ad un evento che santifica involontariamente ciò che è eretico, un diabolico artificio che ha un gusto ironico pari a quello della novella di Ser Ciappelletto di Boccaccio.
Dall’altro lato l’autore ci mostra poi gli aspetti più belli di questa apparentemente inutile invenzione, cioè l’impressione del ricordo, la fotografia come memoriale, una funzione a cui il protagonista è legatissimo e a cui mira morbosamente, una risorsa che suscita sentimenti puri e dona maggior valore all’esistenza, consentendo di tramutarla in un tesoro costituito di piccoli pezzi da custodire.
Nejib confeziona un’opera che fa della estrema semplicità la sua essenza: i dialoghi sono asciuttissimi, viene detto solo il necessario e non esiste praticamente una voce narrante (il che rende la lettura leggera e deliziosa), e del resto anche il tratto è molto essenziale, con pochi segni ed elementi di scena pesati col contagocce, esattamente come i caratteri dei personaggi, delineati alla perfezione con pochi gesti ed espressioni.
Altro valore aggiunto dell’opera è inoltre la colorazione, di cui si fa un uso narrativo, acuendo i forti contrasti di cui si nutrono le vignette fra zone di luce ed ombra assolute, con tonalità perlopiù piatte che vengono smorzate nelle scene di maggior raccoglimento.
I contrasti cromatici sono infatti uno strumento determinante del racconto e vengono spesso utilizzati per delineare il carattere, lo stato d’animo dei protagonisti e la loro distanza di vedute, espediente evidente sin dalla copertina, con un Annibale rappresentato in un piatto rosso acceso, una fiamma che brucia, e l’imperatore e i suoi dignitari in secondo piano con un azzurro che li ingloba e li rende un tutt’uno, a simboleggiare la loro tenace unione d’intenti.
Sono proprio il silenzio e lo spazio vuoto che misura le distanze fra i personaggi a identificare quest’opera: il minuzioso dosaggio di interventi, grafici e narrativi, dell’autore permette al lettore una perfetta immersione nelle ambientazioni medievali, tanto da aver l’impressione di percepire il vuoto rimbombo dei passi negli austeri e bui corridoi del castello, fra le stanze di studio dei più grandi intellettuali dell’epoca, ognuno che segue la propria personale via solitaria; il tutto è poi arricchito da una storia familiare tanto dimessa quanto genuina, una vicenda delicata che ha la forza di commuovere davvero nel profondo.
Stupor mundi deve dunque la sua perfezione alla grandezza delle piccole cose: non ci sono giochi pirotecnici in questa storia, ma una narrazione che elimina il contingente e brilla della bellezza e unicità di una ruvida scaramazza.
Coconino Press, con questa nuova e rinvigorita vita editoriale, presenta al pubblico italiano un’opera imperdibile, in assoluto uno fra i migliori titoli dell’anno.
Abbiamo parlato di:
Stupor Mundi
Nejib
Traduzione di Stefano Sacchitella
Coconino Press, agosto 2017
290 pagine, brossurato, colori – 22,00 €
ISBN: 9788876183706