Di che cosa si scrive quando si scrive di fumetto seriale italiano

Di che cosa si scrive quando si scrive di fumetto seriale italiano

C’è un interrogativo sul quale negli ultimi giorni ho riflettuto molto, da solo e in compagnia: quali sono le caratteristiche che rendono un critico capace ed efficace nello scrivere di fumetto seriale italiano?
Che diventa facilmente: di che cosa si scrive quando si scrive di fumetto seriale italiano?

Da sempre lettore appassionato del genere, mi trovo spesso a scriverne su Lo Spazio Bianco e a discutere con gli altri collaboratori di quale dovrebbe essere il focus da tenere a mente nel momento in cui si prova ad analizzare, per esempio, un fumetto seriale bonelliano.
La questione potrebbe tranquillamente essere allargata anche ad altri prodotti seriali a fumetti: rimanendo in Italia, la grande produzione Disney e un personaggio come Diabolik; allargando gli orizzonti, tutti i prodotti del fumetto supereroistico statunitense. Ma per amore di sintesi, fermiamoci ai fumetti editi dalla casa editrice di Via Buonarroti.

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Permettetemi un iperbole che vuole essere anche una provocazione, che mi è utile per centrare l’obiettivo: parlare di fumetto seriale significa concentrarsi sul personaggio protagonista del fumetto, mentre parlare di graphic novel (è una semplificazione, lo so, concedetemela: avrei potuto usare “fumetto autoriale” ma avrei fatto un torto al precedente fumetto seriale) significa concentrarsi sull’opera (sull’autore?) in quanto tale.

Ma, direte voi, questo significa che gli autori di fumetto seriale non sono importanti per la riuscita o meno di una storia di Tex o di Dylan Dog? Assolutamente no, lo sono eccome. Ma nella misura in cui essi riescono a mettersi al servizio del personaggio e della storia che stanno scrivendo.
Il nodo della questione, almeno personalmente, sta tutto qui.

Quando si fa la recensione di un albo seriale, il testo richiede di concentrarsi sull’analisi dei meccanismi narrativi tipici di quel preciso personaggio e delle sue storie. Si deve provare a capire se, per esempio, lo sceneggiatore ha colto lo spirito del personaggio, se ha saputo renderne con efficacia le caratteristiche tanto psicologiche quanto degli elementi che contraddistinguono le sue avventure e il suo universo narrativo.
Inoltre, si prova ad analizzare l’opera per capire se lo scrittore ha saputo portare qualche tipo di innovazione nel personaggio, un punto di vista diverso o inedito, senza però snaturarlo, senza che la voce dell’autore sovrasti o annulli quella dell’eroe protagonista.

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Il Dylan Dog di Ratigher e Alessandro Baggi

Discorso analogo può essere intrapreso per capire se il disegnatore è stato efficace nel suo lavoro. Analizzare le tavole per vedere se ha saputo restituire i caratteri tipici (per recitazione, aspetto, etc.) dell’eroe, del mondo nel quale si muove, degli antagonisti e dei personaggi di contorno. Se con il suo stile è stato capace di rendere immediatamente riconoscibile ai lettori quel personaggio, se la sua cifra personale è stata in grado di “adattarsi” a quella determinata storia o, viceversa, il segno del disegnatore ha completamente oscurato e stravolto l’eroe facendolo diventare altro.
Allo stesso tempo, l’analisi del recensore ricerca se il disegnatore è anche stato capace di apportare qualche elemento di novità alla restituzione grafica del personaggio e al modo di raccontare le sue avventure.

Si potrebbe obiettare a quanto ho appena scritto, che dunque il “critico seriale” è alla fin fine un custode dell’ortodossia, un guardiano del verbo, arrivando ad affermare che il fumetto seriale lavora principalmente sulla “conferma” dell’esistente (personaggi, storie, situazioni narrative).
Affermazione in parte vera (d’altronde Umberto Eco stesso ha definito in più occasioni “conservatori” i prodotti seriali), ma che chi scrive sul fumetto seriale può allo stesso tempo confutare andando a evidenziare nella propria analisi se un autore riesca a distaccarsi dal canone tradizionale di un personaggio, pur continuando a rispettarlo, nel tentativo di ricerca di quelle qualità che permettono alla serie di perpetrarsi nel tempo.

Porto un esempio che spero chiarificatore di quanto appena esposto, ritagliato nell’ambito del fumetto bonelliano.
Perché ritenere la storia del Tex d’autore di Eleuteri Serpieri la meno riuscita sinora delle quattro avventure uscite nella collana Tex Romanzi d’autore? Perché il ranger tratteggiato da Serpieri non è riconoscibile, né narrativamente né graficamente. Perché la voce del maestro veneziano, il suo stile unico e inconfondibile hanno preso il sopravvento sulla necessità di raccontare una storia di Tex.
Laddove due altri Autori come Magnus e, recentemente, Enrique Breccia sono stati invece capaci di mettere la loro arte al servizio del personaggio, senza snaturarlo ma anche senza snaturarsi.
E non è un caso che tanto Magnus che Breccia siano stati affiancati nei loro due Texoni da due autori come Claudio Nizzi e Tito Faraci, che ben conoscono il linguaggio bonelliano, a differenza di Serpieri che si fa carico tanto dei disegni che della storia. Che non è una storia “sbagliata”, ma non è una storia del Tex (ri)conosciuto dai lettori e le cui avventure sono scritte secondo determinati canoni.

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Questo ci porta, a mio avviso, al livello successivo di analisi che si può applicare al fumetto seriale: l’evoluzione del linguaggio narrativo. Perché è proprio il fumetto seriale che si presta allo studio dell’evoluzione del linguaggio con il quale vengono narrate le storie di un determinato eroe. E, rimanendo nell’ambito del fumetto bonelliano, è proprio con le analisi delle storie di Tex, Dylan Dog, Nathan Never o di prodotti più recenti come Orfani e Dragonero, che si può arrivare a studiare i meccanismi di quel linguaggio bonelliano che, a fronte di elementi simili e invarianti, riscontrabili tanto in una storia di fantascienza dell’Agente Alfa quanto in un racconto horror dell’Indagatore dell’incubo, continua un percorso evolutivo e innovativo da quasi settant’anni.

È attraverso l’analisi critica di prodotti industriali e seriali, che hanno “l’obbligo” di uscire in edicola tutti i mesi, quali sono i fumetti della Bonelli, che è possibile parlare dell’evoluzione del linguaggio del fumetto, o almeno di questa particolare declinazione. La cosa è ben più complessa da fare nell’ambito di analisi di una graphic novel (termine, lo ripeto, usato in modo improprio in questa sede), laddove l’analisi deve vertere sullo stile dell’autore e sulle idee che quella sua particolare opera veicola.

Arrivato alla fine, vorrei chiarire che sono perfettamente consapevole che queste riflessioni siano non esaustive e anche un po’ di parte (dalla parte del fumetto seriale, intendo), ma se per caso questi miei pensieri fermati qui dessero l’abbrivio a una discussione costruttiva, io sarei soddisfatto.

Ah, e chiaramente ben venga qualcuno che provi a raccontare di che cosa, secondo lui, si debba parlare quando si parla di “fumetto d’autore” e di graphic novel (improprio!).