Nell’introduzione di Carnera, la montagna che cammina dici che te lo sei immaginato come un piccolo film. Puoi spiegarci cosa intendi?
Io sono uno scrittore di fumetti che disegna, perciò per me la scrittura scritta e quella disegnata non sono così separate. In “Carnera”, in particolare, e un po’ nel modo di fare i miei libri adesso, funziona a scene, nel senso che io mi riempio di una serie di dati, di elementi sui personaggi, di suggestioni che possono essere prese dai libri, dai film e realmente quello che mi capita è sintetizzare tutto in una scena. Nella sequenza iniziale di Carnera, che per me è la più bella di tutto il libro, ci sono tantissimi elementi: la nascita di Superman, l’idea di lui come star, di lui come un diverso, tutte queste cose che erano gli elementi che in realtà volevo raccontare, piano piano.
Quindi scegli di raccontare attraverso delle visioni e delle emozioni?
Sì, anche se penso di avere delle capacità di articolarle in un modo tecnicamente valido. Non parto pero’ dalla parola, parto da una visione, da un’immagine. Tutta la scena iniziale di Carnera dove c’é lui che scende dalla macchina, la sua imponenza fisica, è una scena veramente complessa perché parlo di lui a New York, c’é il Friuli, c’é la storia delle sue scarpe che si narra siano state di un famoso clown del circo Zavatta, che è un po’ l’idea di lui e della sua fisicità come mezzo per un riscatto dalla umile condizione in cui era la sua famiglia. Infatti ad un certo punto l’impresario del circo gli dice: “Tu non hai bisogno di far niente perché sei un fenomeno. Sei un gigante e la gente pagherà per quel che sei.” Insomma, ho cercato di mettere assieme tanti elementi che sono poi diventati l’apertura del libro e viene fuori un po’ come quando ero bambino e, dopo aver visto un film, di notte nel letto mi ripassavo a mente la pellicola completa dall’inizio alla fine. Allo stesso modo, più o meno, faccio i fumetti. Insomma, prima di tutto mi faccio un film in testa.
Credo di avere questa capacità di catturare e assimilare le immagini e le visioni che mi arrivano nel sonno e infatti dormo un casino e più dormo più vedo. Voglio dire che non ho, come per gli scrittori, l’ossessione della scrittura e non è il gesto stesso dello scrivere che mi spinge a raccontare.
Di Pasolini mi incuriosisce la genesi del libro, nato più che altro da una ricerca sulla scrittura. Tu hai fatto uno storyboard, una specie di diario dei tuoi immaginari incontri con Pasolini. Questo modo di pensare e costruire un fumetto l’ho trovato molto interessante.
Anche secondo me. È un modo nuovo, perlomeno per me, di scrivere. Nelle mie storie ho sempre fatto i conti con una mia biografia personale, un mio vissuto. Nel momento in cui ho dovuto immaginarmi un vissuto nuovo, perché svuotato dai sette/otto libri che avevo fatto precedentemente, l’ho dovuto inventare, costruire.
Che rapporto avevi con la figura di Pasolini?
Quello che poteva avere uno che, quando Pasolini è morto, aveva dieci anni e che veniva da un posto geograficamente vicino a dove Pasolini è nato e cresciuto. Una frequentazione tutto sommato abbastanza marginale, pero’ affascinato da questa tensione morale della sua scrittura, che anche nella mia esperienza artistica lo trovo obbligatoria.
Credi quindi che l’artista, e l’arte, abbia una dimensione morale, etica e civile all’interno della società?
Sì, ed è uno degli aspetti che mi ha colpito di più della sua figura. È una questione in cui casco sempre…
E quindi non è un caso che il Pasolini che hai raccontato sia per buona parte quello dello slancio civile piuttosto che il poeta, sempre che si possano scindere le due figure?
Non sono completamente d’accordo con te, nel senso che credo che alla fine quel libro sia diventato un viaggio nella dimensione dello scrittore. La parte centrale è sulla sua dimensione civile, ma in realtà il libro si apre con lui che mi dice che l’essere scrittore fa i conti solo con una dimensione esistenziale e che la parte dell’impegno arriva successivamente. E io riconosco questa cosa come vera: la dimensione morale è veramente seconda, pero’, nel momento in cui c’é, c’é e non ci si può fare niente.
Nella mia recensione del libro dico che il Pasolini che raffiguri è un Pasolini immaginario che in un certo modo è un po’ Pasolini più Toffolo. Cosa ne pensi?
Sono abbastanza d’accordo perché il libro è progettualmente così. Nella prima scena c’é un tipo che mi dice: “Pasolini, Pasolini, tu vieni qui, ti fai i cazzi tuoi e me lo metti nel culo” perché in realtà è l’unica cosa che si può fare relazionandosi con la scrittura di un altro è provando a prendere i suoi elementi e metterli dentro la propria dimensione. Il viaggio che ho fatto con Pasolini è veramente un viaggio nella sua parola, ma è anche un viaggio per capire cosa vuol dire fare lo scrittore. È una meditazione su quello che ho fatto in tutti questi anni. Pero’ è un libro complesso e non so neanche se è il mio libro più riuscito.
E quel pezzo su quella specie di fumetti che Pasolini avrebbe fatto, è reale?
Certo che è reale, quello che è scritto è tutto documentato e non c’é niente di bugiardo. Bugiarda è la costruzione del libro, anche se sono stato veramente un mese e mezzo in giro per l’Italia.
Possiamo definirlo come un viaggio nei luoghi pasoliniani, come ha fatto Moretti in Caro diario?
In parte sì. Nella recensione che c’é su pagine corsare [39] l’autrice del pezzo smonta il mio libro ricostruendo in realtà il processo che mi ha portato a farlo, nel senso che ricompone i pezzi del mio viaggio nel suo pensiero. Certo, la recensione prescindeva dalla conoscenza del linguaggio fumettistico, ma era veramente un pezzo approfondito, che coglieva tutti i riferimenti.
Ho letto una recensione di Daniele Barbieri [40] riguardo Il re bianco nel quale dice che non riesci ad affrancarti dal senso del patetico, o meglio che nell’ultimo libro lo hai fatto un po’ meno. È una considerazione che tra l’altro c’é in una nostra recensione [41]. Insomma l’accusa, se posso interpretare, sarebbe quella di provocare la facile emozione nel lettore.
In fondo sono un rocker e non sono un intellettuale. È vero, il libro del gorilla non ha questo aspetto, come dice Barbieri nella sua recensione. Insomma è così: la mia scrittura, anche quella musicale, produce un’emozione. La gente che è vicina alla mia scrittura lo è in un modo forte: dicono che in ciò che scrivo trovano cose che in altro non trovano. Puo’ essere fastidioso che abbia una dimensione così patetica, come dice lui, ma la mia è una scrittura pura, non progettuale. È una scrittura abbastanza nuda, diciamo così, e mi sento un po’ sotto accusa per queste considerazioni, pero’ non ho armi con cui difendermi. La mia scrittura è questa e ha forse una dimensione patetica o comunque sentimentale…
In realtà questo aspetto del tuo modo di far fumetti, che per quanto mi riguarda mi sembra la cosa forse meno interessante del tuo lavoro, la considero più una qualità. Questo perché la maggior parte delle volte ho l’impressione che l’autore di fumetti, nella consapevolezza delle esigenze del mercato, abbia un approccio un po’ finto, meditato e mediato, mentre Davide Toffolo mi dà l’idea di essere sincero, anche se magari qui e là ingenuo.
Certo, ho anche delle ingenuità, sono d’accordo. Per esempio “Il re bianco” è un libro che avevo bisogno di fare in quel modo molto lirico, ma non credo che faro’ più un libro in questo modo. Insomma, capisco Barbieri, ma secondo me le sue letture a fumetti si sono fermate una decina di anni fa, anche se continua a mantenere una certa eccitazione nel confronto del fumetto. Pero’ lui è un postmoderno, fra virgolette, ed è affascinato da una narrazione complessivamente fredda mentre la mia è una comunicazione calda. Questo non toglie che un’analisi come quella di Barbieria sia interessante per il mio lavoro.
Per me “Il re bianco” ha una lettura facile, semplice. Non ha una grossa complessità, in una prima battuta, pero’, secondo me, ha dentro diversi elementi che possono ritornare in gioco a livelli differenti. Ho cercato di fare una biografia in cui ci fossero elementi linguistici nuovi. Per esempio la parte di finzione è realizzata con un segno che è comico rispetto al resto; c’é l’idea di vedere come un disegnatore costruisce una storia; c’é l’idea del rapporto tra generazioni. E infine i miei elementi biografici: questo è un libro che inseguo da quindici anni, veramente, e nel momento in cui stavo per finirlo nella mia famiglia è successa una tragedia molto grossa: una persona molto vicina è morta di cancro e questa dimensione più reale, in rapporto all’incapacità di capire la morte, è diventata una parte del libro, lì, in diretta, senza che fosse progettata. È una parte dolorosa da leggere e infatti ci sono delle persone che mi hanno detto di aver pianto leggendo il libro e io dico: “Ok, come ho pianto io a fare quella parte del libro. Ma non puoi aver pianto per tutto il libro!”. Pero’ per una parte del libro so che si può piangere perché, nel periodo in cui ho lavorato su quella parte, per me era così. È per questo che ribadisco di essere abbastanza nudo quando faccio i fumetti.
Nel re bianco c’é questo episodio degli occhiali che, ad un certo punto, trovi e ti metti. Cos’é, una metafora per vedere il mondo con gli occhi di qualcun’altro?
In realtà è un omaggio a Italo Calvino [42]. C’é un suo racconto bellissimo sugli occhiali, sulla miopia: questo personaggio è stufo della vita, è annoiato e il fatto di trovare un dottore che gli mette gli occhiali gli dà la possibilità di vedere meglio le cose e di avere un nuovo interesse. Era una cosa che avrei voluto mettere in maggior evidenza dentro il libro, ma è rimasta solo mezza accennata. Pero’ ha colpito tantissimo perché molti mi chiedono se è vero che ho trovato questi occhiali. E invece, dentro il libro, costruito per mezzo di un viaggio un po’ come in “Pasolini”, ci sono alcune cose vere e altre no.
Tu sperimenti la dimensione artistica musicale e hai quindi un contatto diretto con chi usufruisce del tuo prodotto, nel senso meno capitalista del termine. Quindi, differentemente da un fumettista, hai un riscontro nei concerti più immediato e hai un contatto diretto col tuo pubblico. Anche questo ti dà indicazioni sul tuo lavoro di autore di fumetti? Il pubblico che ascolta la tua musica corrisponde a quello che legge le tue opere?
Si sa che sono un disegnatore di fumetti e molte persone che seguono la mia musica leggono anche i fumetti che faccio, ma non c’é una sovrapposizione così forte, anche perché leggere i fumetti ha bisogno di un’altra determinazione. Bisogna aver voglia di farlo!
Penso comunque di avere delle persone che, quando esce il mio libro, non mi lasciano mai con le copie sotto il letto. Anche per Coconino è stata una sorpresa che “Il re bianco” sia andato così bene, esaurito in un tempo così breve.
Da musicista e fumettista come ti rapporti con il mondo dei media?
Ho sempre cercato di tenere una distanza tra il mio lavoro e la stampa specializzata. Non ho mai cercato un rapporto con il mondo giornalistico, né con la musica, né con l’essere un autore di fumetti. Cerco di mantenere un filtro. E in parte penso che sia giusto che ci sia questo filtro tra chi fa le cose e chi ne scrive.
Avevo intuito questo tuo atteggiamento, e mi sembra che questa tua scelta corrisponda a come ti sei mosso in questi dieci/quindici anni. Tant’é vero che come musicista anteponi sempre una maschera per celare il tuo viso… Quindi come mai hai voluto fare quest’intervista?
L’ho accettata perché ho capito che il vostro lavoro è sano. Poi i fumetti hanno un tale debito di comunicazione che domattina andrei anche in TV per parlarne. Mi piacerebbe, per esempio, fare un’intervista nella quale dico perché secondo me musica e fumetti sono le forme d’arte più poetiche e allo stesso tempo le meno strutturate che esistano. Mi spiego: il mercato italiano del fumetto, checché se ne dica, è nei numeri grande, molto grande, pero’ non è riuscito a darsi una vera struttura, un’organizzazione forte. Allora, qualcuno sarà responsabile di ciò? Io saprei anche indicare chi, ma qui non lo dico…
Quali fumetti o autori ti hanno influenzato da ragazzo?
Nasco come lettore affascinato dai super eroi, e il Kirby [43] inchiostrato da Sinnott [44] è quello che preferisco. Poi Magnus, del quale sono stato innamorato per tanto tempo. Poi, all’inizio degli anni ottanta, hanno pubblicato all’interno di Eureka! [45] un Eisner che era inedito (Contratto con Dio, ndi) che per me effettivamente è stata una botta. Un’altra lettura forte è stata Pazienza, come tutto il fumetto frigideriano, Sco’zzari in particolare che era il primo che leggevo quando compravo Frigidaire, se devo essere sincero. Ma Pazienza mi ha segnato, forse anche per la bellezza del suo disegno che non poteva non affascinare e che poi aveva dei riferimenti che conoscevo bene, come Moebius [46] e Magnus.
Oggi sono affascinato molto, come dicevo prima, dagli americani. Penso che siano sempre un po’ più avanti di noi nel rapporto critico con la merce, che per loro diventa poetico. Se l’oggetto libro è una merce questa deve essere pensata in modo complessivo. In questo campo Chris Ware [47] è assolutamente il più grande, quello che concettualizza maggiormente, anche in questo senso, ogni sua opera.
A proposito di Magnus, da un po’ di tempo stai lavorando su un nuovo libro che ruota attorno alla sua figura e la scorsa primavera, al festival BilBolBul [48] a Bologna, hai anche presentato una mostra personale intitolata, appunto, Nelle mani di Magnus. Puoi anticiparci qualcosa di questo progetto? È una biografia oppure è un qualcosa di più e di diverso?
Sarà una specie di biografia. Devo dire che questo lavoro, annunciato e rinviato e ripreso, ogni volta che lo prendo in mano cambia forma. Nasce sulle esperienze di “Pasolini” e de “Il re bianco”. Il titolo di lavorazione è, in realtà, Come rubare un Magnus, che forse fa capire meglio come sto immaginando questo lavoro. E anche la difficoltà di muoversi in un territorio complicato e paludoso qual è quello costituito dalla volontà di indagare, o anche solo di raccontare, la vita di un artista così vicino. Mi piacerebbe raccontare come era il lavoro dei fumettisti negli anni 60-70 e come le ricerche di Magnus abbiano in qualche modo mostrato vie nuove.
Perché un omaggio a Magnus?
Perché penso che la sua modalità di lavoro, la sua ricerca sulle tematiche e sulle possibilità del linguaggio fumettistico, per la sua esperienza nel fumetto cosiddetto popolare così come per la sua produzione più matura, siano state stimolo per molti autori delle generazioni successive. Devo dire che i più generosi nel raccontare aneddoti e storie sul maestro sono stati proprio gli autori. Ognuno ha qualche piccolo ricordo legato a Magnus. La ricerca per il nuovo libro è cominciata a Milano, la città dove i fumetti si fanno. Il mio Virgilio è stato Graziano Origa, che mi ha fatto incontrare Renzo Barbieri [49] che, a sua volta, mi ha raccontato degli anni d’oro dell’editoria a fumetti popolare. Insomma il libro non è solo un omaggio a Magnus, ma è anche una ricerca per capire cos’era il fumetto e cosa non sarà più.
Che impatto hanno, per te, la figura e il lavoro di Magnus all’interno della cultura fumettistica italiana odierna? È un autore ben presente nell’immaginario e nel bagaglio culturale dei nuovi fumettisti?
Penso che i nuovi lettori lo conoscano poco. Eppure si perdono grandi cose leggibili tranquillamente anche ora. Per esempio, quando ho visto il film di Spielgerg [50] Munich, non ho potuto che pensare allo Sconosciuto [51]. In Francia Casterman ha pubblicato Lo sconosciuto nella collana di Graphic Novel. In Italia lo fece Einaudi, a suo tempo. Magari, se lo rifacesse ora, avrebbe un senso completamente nuovo.
Ti sei confrontato con Carnera, Pasolini, il Re bianco e ora con Magnus. C’é un denominatore comune dietro la scelta di raccontare questi personaggi, se vogliamo, ieratici, solitari e imponenti?
Penso che la mia scrittura (sia nella musica che nei fumetti) abbia delle ossessioni ricorrenti, che sono la diversità e il raccontare storie di un’umanità trasformata dai media. La storia di Magnus che prossimamente faro’ non sarà una semplice biografia, come del resto non lo sono gli altri miei libri, a parte Carnera, che invece sono il pretesto per parlare d’altro. Per questo penso di essere un autore editorialmente difficile da ingabbiare: tendo a stufarmi perché, ogni volta che faccio un libro, cerco per esso una forma diversa. Questo su Magnus, infatti, penso sarà un libro sull’essere un disegnatore di fumetti, cosa vuol dire esserlo adesso, e cosa è stato confrontarsi con un’industria editoriale come quella italiana dagli anni sessanta fino ai novanta.
In Carnera, Pasolini e il Re Bianco trovo questo filo conduttore: non tanto il rispecchiarmi in figure solitarie o grandi, ma raccontare questi elementi, quali il diventare personaggi pubblici come solo nel novecento è stato possibile. Questi tipi di personaggi, scrittori che diventano icone, sportivi che diventano miti pubblici, animali che diventano famosi, ragazzi morti che diventano celebri o io che rifiuto di dare la mia faccia al business ridicolo della musica italiana, secondo me possiedono tutti lo stesso filo conduttore.
Alla recente Lucca hai presentato Trés – fumetti per il teatro. Non possiamo non far notare come alcuni significativi passaggi del libro riprendano la storia che nel 2005 hai realizzato all’interno del primo 24hic [52]. Ci spieghi un po’ questa scelta?
L’esperienza della 24 ore, fatta a Milano su vostro invito, per me è stata davvero stimolante. In quell’occasione sono nati tre personaggi interessanti e una modalità creativa che ho capito successivamente. È stata per me una specie di seduta di autoanalisi.
In seguito ho scritto altre due storie con gli stessi personaggi, giocando con la recitazione e anche sulla forma del libro, perché anche questa è una cosa che mi interessa molto in questo momento.
Penso che anche altri autori abbiano percorso questa via o lo stiano facendo tuttora, con grandi risultati. La forma di questi oggetti artistici che sono i fumetti, costituisce un piano creativo a sé stante, tutto da esplorare.
Traspare in queste pagine un’attenzione per l’impegno civile piuttosto marcata, e la scelta di voler raccontare delle piece teatrali immaginarie, oggi ritrovate, sposa con efficacia il ritorno all’attualità e alla popolarità del teatro civile in Italia. Parlandone a Lucca hai accennato alla speranza che qualcuno metta in scena realmente “Trés”. Cosa potrebbe nascere dal teatro reale?
Sai, io sono viziato dalla musica. La musica la fai in un posto chiuso e subito dopo diventa un atto collettivo. A me piacerebbe che anche questo nuovo lavoro avesse questa possibilità. Quando sto seduto a disegnare le mie storie, spesso penso a cosa succederà al fumetto che sto creando. Carnera mi ha portato in America, Pasolini in Francia.
Se qui sei esplicito a mostrare anche la faccia più politica del tuo lavoro, credi che anche le tue opere precedenti possano avere anche la stessa chiave di lettura?
Sicuramente “Pasolini” è un libro poetico, ma certamente politico. Anche “Il Re Bianco” ha un forte carattere politico, anche se non retorico. È come per le canzoni dei Ragazzi morti. È indubbio che dietro questi miei lavori c’é tutto un mondo e che la demolizione di quello che viviamo è un atto politico. Allo stesso tempo è difficile individuare posizioni di vicinanza partitica.
“Trés!” nasce invece in modo più diretto. È quasi una metafora a fumetti della grave condizione che c’é oggi in Italia: la sudditanza dell’arte nei confronti della politica, la violenza del pensiero unico e la sensazione precisa che la politica faccia un uso promozionale dell’arte.
È recente la ristampa di Che [53] di Breccia [54] e Hector Oesthereld [55]. Ci sono alcune interessanti risonanze con “Trés”: la censura, le persecuzioni, l’opera nascosta nel giardino di casa. Per noi è difficile immaginare quale tenaglia si possa chiudere intorno a “semplici” artisti. L’arte è così pericolosa?
Sono contento che abbiate trovato questi collegamenti. “Tres!” è il risultato di un viaggio che feci nel 2002 alla ricerca del fumetto argentino e di una serie di interviste sui modi e i temi del fumetto in Argentina prima della dittatura. Ho risistemato gli elementi in una dimensione narrativa, ma sono quelli di cui parli.
Per quanto riguarda la pericolosità dell’ arte, io direi che l’arte è libera o, almeno, quella che piace a me è libera.
Note e riferimenti:
[39]Pagine Corsare: www.pasolini.net
[40] www.danielebarbieri.it/blog2005.
[41] la nostra recensione
[42] Un sito su Calvino: italocalvino.it
[43] Wikipedia italia su Jack Kirby: it.wikipedia.org/wiki/Jack_Kirby
[44] Wikipedia italia su Joe Sinnott: en.wikipedia.org/wiki/Joe_Sinnott
[45] Eureka! fu la rivista dell’Editoriale Corno che fece da contraltare a Linus della Milano Libri. Uscì per 254 numeri, dal n. 1 (novembre 1967) al 254 (agosto 1984), figliando parallelamente una schiera notevole di supplementi, tra i quali ricordiamo i tascabili “Eureka Pocket”. Dal sito della Fondazione Franco Fossati: www.lfb.it/fff/fumetto/test/e/eureka
[46] Moebius, al secolo Jean Giraud: it.wikipedia.org/wiki/Moebius
[47] Chris Ware, è l’autore di Jimmy Corrigan, the Smartest Kid on Earth, capolavoro del nuovo fumetto americano, datutti osannato, ma non ancora pubblicato in Italia benché più volte annunciato. La pagina su Wikipedia: en.wikipedia.org/wiki/Chris_Ware
La pagina dal sito della Fantagraphic a lui dedicata: www.fantagraphics.com/artist/ware/ware
[48] www.bilbolbul.net
[49] L’editore Renzo Barbieri, scomparso recentemente, ha pubblicato Lo Sconosciuto di Magnus. Al link di seguito troverete un ricordo a cura di Luca Boschi: lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/2007/09/renzo-barbieri
La cronaca dell’ incontro tra Barbieri e Toffolo raccontata dallo stesso Toffolo sul suo blog: www.treallegriragazzimorti.it/archives/ragazze_e_mostri
[50] Wikipedia su Spielberg: http://it.wikipedia.org/wiki/Steven_Spielberg
[51] Lo Sconosciuto, è uno dei fumetti più celebri e più importanti di Magnus. Una paio di articoli interessanti:
www.ultrazine.org/ultrapensieri/losconosciuto/losconosciuto
www.pagine70.com/vmnews/wmview.php?ArtID=431
[52] Qui potete leggere la storia di Toffolo realizzata durante la prima 24hic nel 2005: www.24hic.it/gallery.php?gid=36
[53] Recensione di “Che” tratta dal sito Fumetti di Carta: www.fumettidicarta.it/Archivio/CHE
La pagina della Rizzoli sulla ristampa del volume: www.24sette.it/sclibro.php?isbn=1701847
[54] Su Alberto Breccia segnaliamo la pagina della Fondazione Fossati e un ritratto di Daniele Barbieri:
www.lfb.it/fff/fumetto/aut/b/breccia_alberto
magazine.enel.it/golem/Puntata23
[55] Riguardo a Hector Oesthereld segnaliamo la pagina della Fondazione Fossati: http://www.lfb.it/fff/fumetto/aut/o/oesterheld.htm
Si ringrazia per il prezioso aiuto Mattia Signorini e Guglielmo Nigro