“In un certo modo, l’interpretazione che io do di una cosa o di un’altra è soltanto una proiezione di me stesso.”
Le parole di Eugène Ionesco catapultano il lettore di Otto. L’uomo riscritto in una zona grigia dell’ermeneutica da cui è difficile venire fuori senza cedere ad ampi compromessi.
Marc-Antoine Mathieu, l’autore di questo fumetto francese (meritoriamente) tradotto in Italia da Coconino Press, inserisce le parole di Ionesco al centro del libro, fra gli appunti e le foto del protagonista.
Otto Spiegel è un performer, un artista di successo impegnato a indagare attraverso le sue azioni il tema del doppio, del riflesso, della conoscenza di sé, aiutato spesso da un grande specchio. Ma le performance lo spingono verso un cul-de-sac espressivo: lo specchio simbolicamente si rompe, svuotando l’artista di ogni possibilità di avanzamento ulteriore. Intanto i genitori, che “se n’erano andati come avevano vissuto: fianco a fianco”, gli lasciano in eredità una grande cassa chiusa, piena zeppa di documenti, foto, hard disk e oggetti che lo riguardano: una sorta di archivio compresso in cui – complice un programma di ricerca sperimentale a cui hanno aderito i genitori – sono conservati materialmente i suoi primi sette anni di vita.
Da questo momento Otto slaccia ogni legame col mondo reale per immergersi nella riscoperta di questo bagaglio personale inevitabilmente obliato dall’età adulta.
Una chiara venatura distopica serpeggia fra le pagine del libro: Otto si chiede se è possibile rivivere ciò che c’è stato, mentre nel lettore si insinua il sospetto che la conoscenza possa e debba avere dei limiti. Man mano che ricuce a ritroso la sua prima parentesi biografica, dal settimo anno di vita e indietro fino al concepimento, il protagonista riscopre chiaramente il legame profondo che esiste tra ciò che è – le scelte, le idiosincrasie, i sogni ricorrenti – e ciò che ha vissuto nell’infanzia, pagando inevitabilmente il conto di questa morbosa autoanalisi.
Sono molti i rimandi possibili in questa profonda riflessione di Mathieu: alcuni dichiarati – Baruch Spinoza posto in apertura del libro, la mitologia antica, una evidente matrice kafkiana, gli “attrattori strani” di Edward Lorenz, oltre al già citato Ionesco – altri più sottili. Di Platone, probabilmente, ritorna in sottotraccia la tesi dell’apprendimento come ricordo di ciò che si è obliato.
Ma altri agganci chiamano in causa le arti visive: quegli specchi maneggiati dall’Otto performer (il cui cognome, Spiegel, significa proprio “specchio” in tedesco) riportano alla mente diversi esempi, altrettanto profondi, nella storia dell’arte più o meno recente, dagli Sky Mirror di Anish Kapoor – enormi specchi metallici di forma circolare che, rivolti verso il cielo, catturano ogni minimo movimento riflesso sulla superficie – ai Quadri specchianti realizzati a partire dai primi anni ’60 da Michelangelo Pistoletto. Per quest’ultimo caso l’analogia non è solo formale:
“Lo specchio riflette te stesso ed esiste perché ti rifletti in esso. Solo l’esercizio del pensiero fa funzionare lo specchio. […] Lo specchio è una protesi ottica che il cervello usa per interrogarsi e conoscersi. […] Lo specchio apre davanti a noi l’estensione dello spazio in un continuo presente e, contemporaneamente, riflette noi stessi con tutto ciò che sta alle nostre spalle. Così, siamo anche portati a riflettere la memoria che ci segue.”
[M. Pistoletto, Ominiteismo e Demopraxia, chiarelettere 2017]
Riflessione e memoria sono infatti i due poli entro cui sia Pistoletto che Mathieu inseriscono la propria ricerca insieme visiva e narrativa.
Mathieu, nella specificità del fumetto, compone un racconto sostenuto da scelte espressive altrettanto funzionali. La vicenda di Otto è perfettamente “riscritta” attraverso una scala di grigi e un segno volutamente spoglio, chirurgico. Ampi spazi vuoti, di un bianco perfetto, chiaroscuri netti e precisi tagli di luce fanno sì che la ricostruzione della vicenda non distragga con possibili divagazioni grafiche ma sposi il racconto infarcendolo di ulteriori chiavi di lettura. Siamo spinti a interpretare così, ad esempio, le scelte compositive: innanzitutto il formato orizzontale, che ingabbia le tavole in una successione quasi ferrea di pagine a doppia vignetta quadrata, con didascalie esplicative e solo pochi balloon a contenere gli scarni dialoghi presenti.
Ma ancor più significativa è la scelta di restituire le scene che raccontano la ricerca del passato compiuta da Otto nel suo grande loft “alla periferia di una [ignota] città fuori mano” mediante tagli assonometrici. Niente prospettiva o punti di fuga a scorciare in lontananza pareti, finestre, tavoli e oggetti, ma delle scatole in assonometria viste, o meglio, spiate dall’alto. Otto diventa dunque una cavia da laboratorio, una sorta di criceto perdutamente preso dal movimento vano della ruota, affaticato con le sue zampette, come a restituire lo sforzo vano di ricordare istante dopo istante il passato dimenticato. E il lettore allora, in questa metafora, sarebbe lo scienziato un po’ folle che osserva la cavia, ne studia i comportamenti, sperando forse di non cadere anch’egli nello spazio asettico di quella gabbia autoimposta.
Abbiamo parlato di:
Otto. L’uomo riscritto
Marc-Antoine Mathieu
Traduzione di Emanuelle Caillat
Coconino press, 2019
88 pagine, cartonato, bianco e nero – 20,00 €
ISBN: 9788876184000