Iniziamo da Civil War, che è in corso di pubblicazione in Italia in questi mesi. Ho letto in un’intervista realizzata con Max Brighel che l’idea di Civil War è di Straczinsky e tua, giusto?
No. L’idea è completamente di Mark (Millar, n.d.t.). Quando è stata presentata eravamo presenti in tanti alla Marvel: io, Jeph Lob, Straczinsky, Quesada… e ognuno ha messo dentro delle idee, ma è stato Mark a venire con l’idea di base già definita.
La cosa divertente è che solo ieri ho scoperto che il primo numero di Civil War era appena stato pubblicato e stavo per raccontare il finale a un ragazzo. Mi sono bloccato di colpo. Sai in America è già terminata. Ma non preoccuparti, non svelero’ nulla!
Francesco Meo: in realtà è stato Dan DiDio (Editor in Chief della DC Comics) a rivelare tutto a New York. Davvero! (Risate)
Non abbiamo ancora letto la storia, ma quello che è arrivato dagli USA è la forte risonanza mediatica che la serie ha avuto al momento della sua uscita, probabilmente dovuta al contesto socio-politico che si respira oggi da voi e al modo in cui esso è trattato in Civil War.
È vero. L’idea alla base della storia ha avuto un grosso riscontro nei media. Ed è molto importante per il fumetto mainstream, soprattutto perché i riscontri erano positivi. Il tema centrale è il contrasto tra libertà da una parte e sicurezza dall’altra. In America è un tema centrale e molto discusso in questo periodo. Ma, naturalmente, quello che è veramente importante per la storia è l’equilibrio e le amicizie tra i personaggi del Marvel Universe. Il concetto politico c’é, è lì per essere discusso, ma l’essenza è il rapporto tra i personaggi e per quale idea si è disposti a combattere e morire.
Quindi siete partiti dall’idea politica alla base o la storia è nata da qualcos’altro?
La storia nasce dall’idea di voler dividere i supereroi dall’interno, separarli in due parti su posizioni distinte. Eravamo interessati a vedere come si sarebbe comportato Capitan America in conflitto e opposizione con i Vendicatori. Capire cosa significava per i supereroi il rapporto tra libertà e sicurezza. In Powers, uno dei miei libri, ho seguito una strada simile. Tutti i supereroi in quell’universo sono registrati. Tutti hanno concordato nel farlo e si comportano come se facessero parte di un programma per la protezione dei testimoni. Per cui a nessun supereroe è più concesso di utilizzare liberamente i propri poteri. è illegale. Solo i cattivi non si sono registrati. Hanno detto: che diavolo, sono un cattivo, non mi registro! (Risate)
Nel Marvel Universe invece abbiamo analizzato il comportamento di ogni supereroe. Per cui Capitan America si è comportato in un modo, Iron Man in un altro, Spider-Man in un altro ancora…
Il riscontro che ha avuto la storia è la conferma che quella dei supereroi è una metafora che ancora funziona, quindi?
Si. Certamente. Ne è stata senza dubbio la prova. Era una metafora chiara, ha avuto vendite alte per molti mesi, le persone ne hanno parlato. è quello che speravamo di ottenere.
Penso che la generazione di autori di cui fai parte ha messo molto più in luce il realismo nelle storie di supereroi. Cosa ne pensi?
Può essere. I bambini si sono innamorati delle storie di Stan Lee e Jack Kirby che hanno saputo inventare le magie del Marvel Universe ponendo pero’ l’attenzione sui problemi dei personaggi. Cosa che non veniva fatta nel DC Universe, per esempio. Spider-Man vive a New York. Un ragazzino poteva immaginare di alzare gli occhi al cielo e vedere L’Uomo Ragno volteggiare tra i grattacieli. è in questo modo che tutto è iniziato. Peter Parker doveva lavare il costume, non aveva i soldi per il fluido delle ragnatele.
Erano dei semi.
Esatto. Erano i semi che hanno aperto la strada ad autori come Alan Moore, Frank Miller e Howard Chaykin, che hanno portato il fumetto verso la maturità. Hanno creato un mondo dove i supereroi esistevano veramente, dove vedevi l’impatto reale dei loro poteri, erano delle celebrità. La mia generazione è cresciuta leggendo questi fumetti. Ero un ragazzino quando uscì Watchmen. Siamo cresciuti e siamo stati ispirati a un livello folle da questi lavori. Cerchiamo di trasferire le idee alla base di fumetti come Watchmen nelle storie di Spider-Man, di Capitan America.
Pero’ credo che quello che mantiene interessanti le nostre storie è il divertimento, la capacità di evadere dalla quotidianità. Se fossero solo realismo sarebbero noiose. È una forma di escapismo nel quale mi posso identificare, perché vi ritrovo problemi che vivo tutti i giorni. è la ragione per cui amo Peter Parker, perché io sono Peter Parker. è per questo che è così facile da scrivere per me. è l’insieme di queste cose. Il realismo, l’evasione, la possibilità di identificarsi. è l’equilibrio tra le parti. Se ci fosse troppo di una o dell’altra sarebbe noioso.
Ma se ci pensi è come la vita vera. Nella tua vita ci sono momenti divertenti, tristi, di rabbia…
In questo senso credo che Ultimate Spider-Man sia il miglior esempio di quello che stai dicendo.
Grazie.
C’è proprio quel tipo di mix.
In Ultimate Spider-Man ci sono due elementi essenziali che guidano la narrazione. Il primo è che quando hai 15 anni tutto è terribilmente drammatico, intenso. è la prima volta che ti innamori, la prima volta che scopri il sesso, che capisci che ci sono persone terribili nel mondo che riescono a farla franca. Si vive tutto con estrema passione e per me è molto facile ricordare questo aspetto e scriverne. Il secondo elemento è che proprio perché è così giovane, Peter Parker può commettere un sacco di errori per la prima volta. è il massimo! Quando hai trent’anni non puoi farlo.
Per quanto ancora pensi di scrivere Ultimate Spider-Man?
Non smetterò mai! (Risate)
È il miglior incarico nel fumetto per me. Non potevo immaginarlo prima di iniziare, ma è il massimo. Dovranno chiedermi di smettere di farlo. C’è tutta questa intensità, hai la possibilità di pescare tra tantissime avventure già raccontate e reinterpretarlo. Il massimo!
Che è poi la ragione per cui anni fa Todd McFarlane ti ha sbattuto fuori da Sam & Twitch!
Si, è vero. (Ride)
È una vecchia storia…
La storia è questa. Stavo scrivendo Sam & Twitch e mi divertivo moltissimo. McFarlane era un grandissimo capo perché mi incoraggiava, non mi poneva vincoli, non voleva sapere dove stavo andando a parare. Solo che voleva a tutti i costi che scrivessi Spawn. Spawn è la gallina dalle uova d’oro, mi diceva. Ha insistito. Allora ho iniziato a scrivere Hellspawn. Però tutto doveva essere oscuro, horror, ambientato in posti bui. Non c’era la magia e il divertimento che provavo nello scrivere Sam & Twitch. Poi ho iniziato a scrivere Spider-Man ed era divertentissimo, era grande. Non me la sentivo di scrivere Spawn, ero troppo giovane per scrivere qualcosa che non mi divertisse, non mi interessasse. Ho detto a Todd che volevo fare solo Sam & Twitch perché non avevo voglia di scrivere Spawn. Allora lui ha capito che preferivo il personaggio di Spider-Man a quello di Spawn, ma non era questo che intendevo! (Risate)
Lui se l’é presa e mi ha sbattuto fuori da Sam & Twitch. L’ho raccontato in Marvel, ho detto: “Mi ha licenziato da Sam & Twith”. Hanno detto: “Cosa? Come mai?…”. “Non volevo più scrivere Spawn”, ho risposto.
Un’ultima domanda. La tua generazione di autori ha portato ad un’importante evoluzione al genere supereroistico. Soprattutto dopo quanto è stato fatto negli anni ’90.
Gli anni ’90 sono stati corrotti dai soldi. C’erano molti autori in gamba. Ma la tendenza era quella di creare ogni volta un nuovo evento. Una nuova cover con il numero 1. Non si sapeva dove si andava e gli autori non erano coinvolti in quello che facevano. Ma ti pagavano un sacco di dollari a numero, per cui andavi avanti. Alcuni dei miei amici autori prendevano qualcosa come 750.000 dollari a numero. Gli dicevano vieni qui, firma, ti diamo un milione di dollari a numero.
Non voglio criticare nessuno. Le cose stavano così. Gli anni ’90 sono stati corrotti dai soldi. Il problema principale era che non c’era la gioia di scrivere. Tutto doveva essere “Argh!” (si mette in posizione da duro e urla) ma non c’era divertimento. Per questa ragione credo che fossero tutti arrabbiati. Sono convinto che molti di quegli autori che facevano un mucchio di soldi non erano contenti di loro stessi. è per questo che scrivevano tutti quei personaggi arrabbiati, perché erano arrabbiati con se stessi, con i collezionisti che non leggevano veramente le storie. Non c’era davvero un milione di persone che leggeva quei fumetti. Venivano vendute un milione di copie e basta. Per cui sono convinto che i disegnatori e gli sceneggiatori erano arrabbiati e facevano tutte quelle storie cattive per questo.
La mia domanda allora è: pensi si possa già vedere quale sarà l’ulteriore evoluzione dei fumetti Marvel nei prossimi anni?
Solo il tempo potrà dirlo. Però, quello è venuto fuori da Civil War. Il mio contributo in essa è stato quello di riuscire a far arrivare alle persone lo stesso entusiasmo che ho messo nello scrivere la storia. è importante che questo tipo di entusiasmo, di forza arrivi ai lettori. Mi sembra che è quello che sta succedendo in questi anni. Quello che sentiamo noi è quello che sentono loro. è perfetto. è bellissimo. Quanto durerà non lo so, è un’onda che va e viene, ma questo, in America, è un momento eccezionale, ci sono tantissimi ottimi fumetti realizzati da autori pieni di passione. Vedi, per tornare alla tua domanda di prima, quando i soldi negli anni ’90 sono terminati, tutti gli autori che c’erano allora se ne sono andati per lavorare nei video games, ecc. Siamo rimasti io e i miei amici. Non ci importava se non c’erano soldi. Chi è rimasto a fare fumetti lo fa per il piacere di fare fumetti. è da qui che escono i fumetti migliori, perché non vogliamo arrivare ad ottenere qualcos’altro. Lo facciamo per pura passione.
Grazie mille Mister Bendis.
Grazie a te. Ottime domande!
Ottime risposte.
Per approfondire
Biografia su wikipedia in italiano: Brian_Michael_Bendis
Bibliografia su Fumetti di Carta: Bibliografia Brian Bendis