Il Bendis di Torso è quello che t’aspetti dopo aver letto il suo Daredevil: precisa caratterizzazione dei personaggi, ritmo, sceneggiatura funzionale alla storia, passione e una trama tremendamente noir.
Il cinema? Il cinema c’é ancora, ma non è più l’esempio da imitare. Il taglio cinematografico è un ottimo ingrediente per una riuscita storia a fumetti. Brian Michael Bendis assimila la lezione di Frank Miller e la fa propria. Non è più scimmiottato il Miller di Sin City, imbellettato da un profluvio di dialoghi strampalati e “cool” come in Goldfish. In Torso sembra tornare, aggiornata, la lezione del Miller degli anni ’80, delle sperimentazioni di Daredevil, della saga di Elektra, per capirsi. Ma sarebbe riduttivo fermarsi qui. Perché Torso è assolutamente un fumetto “a la Bendis”.
Come per tutte le sue storie pre-Marvel, anche questa è disegnata dall’autore stesso, con il solito bianco e nero oscuro, più realistico che espressionista, un po’ statico e molto fotografico. Più ancora che in altre opere, Torso è un continuo ricorrere alla sovrapposizione di disegno e fotografie: paesaggi urbani sui quali si stagliano profili neri di poliziotti che parlano, fotocopie di pagine di giornale, report completi delle indagini degli investigatori, fotografie delle vittime realizzate sui luoghi dei delitti, ecc. Ma se in Goldfish l’uso di fotografie abbinate ai disegni sembra essere soprattutto un espediente per ovviare agli evidenti limiti tecnici di disegno, in quest’opera trova, invece, piena giustificazione nel soggetto narrato: il cosiddetto “Caso Torso” è infatti realmente avvenuto alla fine degli anni ’30; Eliot Ness, eroe nazionale del proibizionismo, protagonista di diverse biografie e del film capolavoro di Brian De Palma Gli Intoccabili, ne ha effettivamente seguito le indagini senza mai riuscire ad arrivare al colpevole. Realismo e verosimiglianza: queste le parole che riassumono l’approccio di Bendis al racconto.
Come opera a fumetti, il volume edito dalla Black Velvet Editrice piace soprattutto per l’equilibrio e l’intelligenza con cui l’autore ci restituisce la figura di Eliot Ness – l’eroe che ha sconfitto Al Capone a Chicago – in un difficile periodo della sua vita, chiamato a rimettersi in discussione completamente: nominato Direttore della Sicurezza a Cleveland, deve imparare a conoscere questa nuova città ed i suoi abitanti, stretti nella morsa finale del proibizionismo, incerti su cosa aspettarsi, vittime di un periodo di crisi economica e di forte immigrazione clandestina. E deve affrontare l’arduo incarico circondato da nuovi collaboratori, molti dei quali corrotti, che lo osservano preoccupati e che ucciderebbero piuttosto che sottostare alle sue regole.
In mezzo a tutto ciò, in sordina, inizia a gonfiarsi il “Caso Torso”, con il ritrovamento di corpi mutilati, abbandonati senza testa, né braccia, né gambe.
Come piace a Bendis, in questa storia non ci sono vincitori, non ci sono eroi senza macchia. Ness perde, politicamente e personalmente, una battaglia impossibile contro la pazzia e contro un contesto sociale difficile che non riesce a comprendere completamente. Incapace di adattarsi alle nuove regole, convinto che la linea degli “intoccabili” possa riuscire ovunque, arriva all’assassino ma non può neutralizzarlo e incriminarlo, agisce in modo quanto meno goffo per combattere il problema dell’immigrazione clandestina e l’impunità di quelle persone disperate, sfilaccia brutalmente un tessuto sociale già precario con un’azione repressiva perdente in partenza.Parte della riuscita dell’opera è certamente da attribuire alla ricostruzione storica, attenta ma non eccessiva, e alle riflessioni sociali che tutta la vicenda porta con sé. Il lettore, infatti, si trova a confrontarsi, insieme a Ness, con una serie infinita di dubbi e implicazioni, che vanno dalla vicenda strettamente personale (nella storia si fa cenno anche a presunte difficoltà coniugali dovute alle troppe ore di lavoro del protagonista) sino a complessi problemi di natura morale e sociale di ben altra portata.
Merito di tale risultato deve essere attribuito anche a Marc Andreyko, che per la prima volta affianca Bendis ai testi. Andreyko, originario di Cleveland, è stato sicuramente importante per la caratterizzazione del contesto cittadino, per le ricerche di archivio e la documentazione necessaria e forse, su un piano più tecnico, anche per tenere a freno l’esuberanza “dialogica” del collega. La sceneggiatura di tutta la vicenda raggiunge, infatti, un equilibrio complessivo mirabile, che appassiona il lettore senza mai stancarlo, rendendolo partecipe di una testimonianza significativa, metafora di tutte le lotte contro la criminalità e dei numerosi dubbi che essa porta con sé.
A pensarci – e in conclusione – possiamo dire che Torso, per tematica ed efficacia, può essere accostato a un’altra opera a fumetti (certamente più complessa e ambiziosa) che ha come obiettivo quello di ricostruire gli efferati delitti di un famosissimo serial killer, ovvero il barocco From Hell di Alan Moore ed Eddie Campbell. Ma se i riferimenti stilistici di quest’ultima possono essere rintracciati soprattutto nella letteratura e nella tradizione saggistica, l’opera di Brian Michael Bendis ha la sua essenza più prossima nella cinematografia moderna, a partire dall’ovvio e già citato Gli Intoccabili di Brian De Palma.
È un fumetto immediato ma non superficiale, coinvolgente ma non spettacolare, abilmente condotto fino alla sua conclusione.
Abbiamo parlato di:
Torso
B. M. Bendis, Marc Andreyko
Black Velvet, 2005
280 pagg. b/n bros. – 19,00 euro
Riferimenti
Black Velvet: www.blackvelveteditrice.com