Akab o Aka B (al secolo Gabriele di Benedetto) spazia tra pittura, cinema, animazione, ma tutto lo riporta inevitabilmente al fumetto. È stato uno dei fondatori dello Shok Studio per il quale ha pubblicato la serie Morgue; ha lavorato per le principali case editrici statunitensi. Con il collettivo Dummy ha scritto e disegnato Le 5 fasi (Edizioni BD), con Edizioni Logos ha pubblicato Monarch. I suoi ultimi lavori sono Not an atom of hell shall enter in my paradise (in lingua inglese) e Defragment.
Il blog dell’autore è mattatoio23.blogspot.com.
A settembre uscirà il suo nuovo lavoro, La città danzante, dedicato all’opera di Frank O. Gehry, architetto canadese tra i massimi esponenti della corrente decostruttivista. Il libro farà parte della nuova collana del Sole 24 Ore dedicata alle biografie a fumetti di architetti famosi.
Abbiamo posto qualche domanda ad Akab proprio su questo ultimo lavoro.
Quando Il Sole 24 Ore ti ha proposto il nome di Frank O. Gehry quale oggetto del tuo libro da inserire nella collana dedicata alle biografie a fumetti di grandi architetti, conoscevi già l’opera del professionista canadese, anche solo come turista?
Onestamente, devo dire poco. conoscevo le opere più famose, come il Museo Guggenheim di Bilbao o la “Casa Danzante” di Praga e avevo visto il documentario su di lui diretto da Sydney Pollack, ma non molto altro.
Hai fatto ricerche documentaristiche prima di metterti al lavoro? Di che genere?
Ho semplicemente fatto delle ricerche in rete, anche se avrei preferito un contratto che prevedesse un mio viaggio spesato per il mondo! In ogni caso ho approfondito sopratutto la parte preliminare, di progettazione da parte dell’architetto, ho cercato di riportare sulle tavole le sue linee, forme e idee più che le architetture vere e proprie.
Hai affermato che il nome di Gehry ti è subito andato a genio quale oggetto del tuo fumetto per via delle sue “architetture collassate”: la visione delle opere dell’architetto canadese cosa ti trasmette personalmente?
Nel documentario di Pollack che citavo, c’è una scena dove Gehry per ragionare intorno a una nuova struttura prende dal cestino un pezzo di carta appallottolato e inizia a studiarlo, a vedere se è fattibile riprodurlo in scala gigante. Penso che la capacità di vedere in maniera nuova e con stupore una cosa comune e che diamo per scontato sia la sua grande forza.
Che taglio hai scelto di dare alla tua biografia?
Ecco, non ho realizzato una storia sulla vita di Gehry, né un bigino didattico con l’elenco delle opere principali. Ho lavorato a una mia storia e l’ho ambientata in una città immaginaria tutta costruita da lui. Questo non vuol dire che la presenza dell’architetto sia marginale, anzi, il mio tentativo è stato proprio quello di trattare la città esattamente come fosse uno dei personaggi della storia, se non addirittura quello principale.
Come hai lavorato dal lato del disegno e dello stile? Hai dovuto adattarlo per affrontare una biografia rispetto alle tue opere più libere e personali?
Sono contento che tu mi faccia questa domanda perché mi permette di dire una cosa più ampia sul mio lavoro. Da ormai alcuni anni mi accorgo che la scelta del libro successivo è sempre dettata da quello precedente per contrasto. Provo a spiegarmi meglio con un esempio: dopo aver lavorato a Come un piccolo olocausto, che è un libro di sole parole, ho sentito il bisogno di fare Storia di una madre che è un libro di sole immagini. Gli ultimi due libri a cui ho lavorato, Monarch e Defragment, anche se a loro volta diversi tra loro, hanno un approccio al disegno realistico e “serio”. Lo stile che ho cercato per La città danzante viceversa va in una direzione grottesca e “buffa”. Insomma per me ogni nuovo libro deve in qualche modo contraddire quello precedente.
Proprio riguardo al titolo della tua opera: leggendolo mi è venuto subito in mente che a Praga c’è un palazzo progettato da Gehry, la Dancing House, soprannominata “Ginger & Fred”: c’è qualche legame o la scelta risiede altrove?
Quei palazzi che citi sembrano davvero ballare, così ho pensato come sarebbe stata una intera città che danza, un rave di edifici.
Ciò che colpisce della biografia di Gehry è che fino a circa 60 anni di età i suoi progetti erano improntati a un’architettura molto tradizionale. La forza di volontà con cui ha portato avanti uno stravolgimento ideologico e professionale come quello da lui attuato io l’associo al genio. Qual è il tuo pensiero al riguardo?
Che evidentemente non tutti i vecchi rincoglioniscono!
Qual è stato fino a oggi il tuo rapporto con l’architettura? È una disciplina che ti affascina, anche solo da visitatore?
Allora, ricordo l’ansia delle ore di architettura al liceo per via di questa mia incapacità non solo di tirare righe perfettamente dritte, ma anche di tenere un foglio pulito. Ricordo che l’insegnante era identico a Fred Flinstone e una volta mi attaccò al muro, ma questa è un’altra storia. Questo per dire che il mio rapporto con l’architettura non è cominciato nel migliore dei modi. Crescendo e con i primi viaggi, le cose sono cambiate e ho iniziato a sviluppare uno sguardo che ora mi permette di trovare addirittura interessante e piena di bellezza anche Milano.
L’architettura ha una doppia vita: la prima è quella del progetto, il momento in cui si crea un qualcosa che non esiste e il disegno aiuta a rappresentarlo; la seconda è quando il progetto viene costruito e diviene reale.
La “prima” vita avvicina moltissimo architettura e fumetto: entrambi immaginano e realizzano opere della fantasia: dunque architetti e fumettisti un po’ si assomigliano?
Non sono sicuro di aver capito bene la domanda quindi nel dubbio ti rispondo con una bella citazione di Meister Eckhart che mi è capitata proprio ora sotto gli occhi “ Quando l’anima desidera sperimentare qualcosa, proietta davanti a sé un’immagine dell’esperienza per poi entrare dentro di essa”.
Intervista realizzata via mail nel mese di marzo 2015