Freeway e il profondo abisso tra business e creatività

Freeway e il profondo abisso tra business e creatività

Tra lo studio di animazione e le interminabili code in automobile: non è troppo tardi per parlarvi di "Freeway", l'ultima opera di Mark Kelesniko.

Freway 1Non è facile realizzare un fumetto che analizzi un periodo delle propria vita faticoso e deludente e ciò risulta ancora più difficile quando l’autore decide di diventare l’io narrante dell’intera vicenda. Il rischio più grande è quello di rimanere intrappolati nella rete dell’autobiografia, quando, troppo presi da se stessi, ci si dimentica degli stessi temi che si voleva affrontare perdendo il punto focale della narrazione, l’argomento principale del graphic novel.

Mark Kalesniko con Freeway, edito da Panini 9L, riesce a non scadere nella mera autobiografia senza anima o eccessivamente personale, grazie ad alcune fondamentali scelte narrative che rendono l’opera godibile, permettendo al lettore numerose riflessioni sulla situazione dell’animazione attuale e, più in generale, sulla volatilità dei sogni e sulla distruzione lenta e bruciante delle aspettative.

Il fumetto si concentra sulla storia di Alex e, in particolare, sulla sua avventura  a Los Angeles, tra le lunghe code in autostrada e il lavoro come animatore nello studio Babbit Jones (il cui logo ricorda moltissimo quello della Warner Bros), ambiente lavorativo in cui i giochi di potere e il merchandising la fanno da padroni sulla creatività e sul bisogno di affermarsi per merito.

L’autore decide, come nelle sue opere precedenti inedite in Italia, di utilizzare un suo alter ego, Alex, un cane antropomorfo che si muove attorno a personaggi completamente umani, e di renderlo vittima degli eventi che, in maniera quasi inevitabile, lo segnano emotivamente durante il suo soggiorno nella città. La passività del protagonista dà così modo al lettore di soffermarsi sulle sue peripezie, permette di seguire nel dettaglio le vicissitudini tipiche di un trasferimento, siano esse il traffico, la volontà di raggiungere un equilibrio sentimentale o le aspettative sul lavoro sia nei confronti dei nuovi colleghi che della posizione acquisita.

La tematica principale del graphic novel è il sogno, da intendersi non solo come unico scopo della vita per il quale impegnarsi e non darsi mai per vinti, ma anche come fragile idealizzazione, che si infrange in maniera brutale grazie alle numerose aspettative deluse. E così assistiamo alla vita di due Alex: il vero Alex, alle prese con un grande studio, non molto diverso dai Disney Studios (in cui lo stesso Mark Kalesniko si è formato e ha lavorato), e un Alex che vive negli anni ’30, a rappresentare la sua visione personale dell’animazione d’altri tempi. Il secondo ci appare come dal nulla in numerosi momenti della giornata del protagonista e rappresenta l’ideale che dovrebbe muovere un intero team creativo: non solo l’assoluto bisogno di realizzare, nel caso del team creativo, nello specifico l’equipe layout, fondali suggestivi e dettagliati, ma anche la necessità di superare i propri limiti, di mettere alla prova stessi e sperimentare proponendo approcci non classici, ai compagni.

A tal proposito, il collegamento con Jackson Pollock e con il suo modus operandi si mostra azzeccato e puntuale: i colleghi dell’Alex del passato sono liberi di esplorare nuovi orizzonti artistici proprio come fece la Scuola di New York in quegli anni con coraggio e forte spirito di indipendenza. Nel graphic novel si trovano infatti numerosi riferimenti al pittore, a partire dal nome del gruppo di animatori, gli Irascibili, che ricorda il gruppo di artisti che il 3 Maggio 1950 si ribellarono alla loro esclusione dalla mostra d’arte contemporanea del Metropolitan Museum di New York, fino alla citazione della drip painting, tecnica portata in auge dallo stesso Pollock nel suo periodo di massima ispirazione.

Il gruppo layout degli anni trenta, composto da provetti Newman, Motherwell e Krasner, a un primo impatto appare un gruppo di lavoro affiatato, che si muove in un ambiente sereno e stimolante. Ma la felicità apparente nasconde una terribile insoddisfazione, che li porta a odiare la routine familiare che stonca sul nascere l’ispirazione e che gli induce poi a prendere strade differenti, cadendo spesso in maniera miserabile nel baratro dell’alcool e delle droghe. Il bisogno di progredire e di dar vita a opere d’arte nuove e innovative finisce per annientare il genio degli elementi che fanno parte della Babbit Jones, con il probabile intento di indurci a pensare ai lati negativi che caratterizzano ogni periodo storico e di rimarcare una presa di posizione disillusa nei confronti delle esperienze artistiche e delle speranze che vi si ripongono.

Freeway 2

A dar vita all’ansia e all’esasperazione del protagonista ci pensano, da un lato, la sua immaginazione e i suoi sogni ad occhi aperti, dall’altro, la terrificante e catastrofica coda autostradale che subisce ogni giorno da quando si è trasferito a Los Angeles.

Come ennesimo rimando all’animazione classica disneyana, l’autore utilizza un netto cambiamento di stile tra la caratterizzazione grafica dei personaggi e quella dei fondali. Mentre i personaggi sono realizzati con un tratto cartoonesco e a volte quasi caricaturale, i paesaggi sono sempre estremamente dettagliati e ricchi di particolari. Tale scelta avvicina le tavole all’approccio usato nei lungometraggi Disney degli anni ’60-’70 ( si pensi a La carica dei 101, a La spada nella roccia, ma anche agli Aristogatti), dove il realismo degli sfondi (sempre da rapportare ai particolari stili pittorici ricreati) si fondeva al tratto più semplice e lineare dei cartoonist che si occupavano di ritrarre i personaggi in movimento. Lo stesso apparato grafico finisce per diventare una sorta di rimando all’arte dell’animazione, trasformando il fumetto in un’opera disegnata seguendo il modello dei lungometraggi Disney del periodo storico sopracitato.

Ma la stessa regia dell’opera risulta cinematografica al primo impatto; ne sono un esempio le pagine iniziali, che mostrano un lungo piano sequenza muto in cui l’autore utilizza un punto di vista statico, a rievocare il risultato di un video realizzato con macchina da presa fissa.

Freeway 2

Il tuffo nel passato e il bisogno insito nell’uomo di considerarlo sempre migliore del presente, a prescindere dal fatto che lo si abbia vissuto o meno, è definito dal passaggio tra la Los Angeles attuale e la Los Angeles degli anni ’40. Con un effetto dissolvenza l’autore passa da un periodo storico all’altro, riuscendo al contempo a spaesare e incantare, tratteggiando, non solo metaforicamente, i cambiamenti e le costanti che caratterrizzano la grande città. A tutto ciò si unisce la decisione di Mark Kalesniko di rievocare nei titoli dei capitoli canzoni dell’epoca, dai toni jazz e blues di I tought about you e At last a quelli più melodici e popolari di Accentuate the positive. La confusione generata dai rapidi passaggi da un periodo all’altro, e che in certi casi può rendere complessa e disturbante la lettura, appare voluta, obbligando il lettore a prestare particolare attenzione ai rapidi cambi di scenario che fungono da breve intermezzo tra il sogno a occhi aperti e la realtà.

Insomma, Freeway è un ottimo graphic novel che, basandosi sulle esperienze personali dell’autore, riesce a trasportare il lettore all’interno degli studi di animazione e della città, permettendogli di scoprirne i segreti e le qualità e, mediante i voli pindarici del protagonista, di comprenderne fino in fondo i difetti.

Abbiamo parlato di:
Freeway
Mark Kelesniko
Traduzione: A. Toscani
Panini 9L, 2013
420 pagine, brossurato, b/n – 25 euro
ISBN: 9788863043976

2 Commenti

1 Commento

  1. Augusto

    22 Maggio 2015 a 09:50

    Bell’articolo, occhio però che si scrive “business”

    • la redazione

      22 Maggio 2015 a 23:02

      Grazie per la segnalazione, che vergogna! Correggiamo e ci cospargiamo la testa di cenere…

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