Emanuele Boccanfuso nasce a Taranto nel 1981. Nel 1999 si trasferisce a Milano, per studiare alla Scuola del Fumetto. Qui porta avanti vari lavori come grafico e illustratore per realtà quali Panini e l’inglese David West Children’s Books, mentre la passione per il calcio lo porta a collaborare con Forza Milan!, la rivista ufficiale della squadra, per cui realizza le vignette dei gol. Il 2009 vede la pubblicazione di ArcaSacra, scritto da Alex Crippa, storia di malavita e sfruttamento della prostituzione con l’inedita formula del fumetto “palindromo”.
Nel 2011 entra alla Sergio Bonelli Editore nello staff di Nathan Never. La sua prima storia è Uomo o macchina?, scritta da Davide Rigamonti e pubblicata sul numero 28 di Agenzia Alfa. L’esordio nella serie regolare è del 2014 con Gli uomini del presidente, cui segue nel 2016 La lunga marcia, scritto dal corregionale Thomas Pistoia, sul delicato tema delle stragi di mafia. Nel frattempo, nel 2012, coordina il progetto de L’eroe dei due mari, trasposizione dell’omonimo romanzo di Giuliano Pavone, realizzato da vari disegnatori tarantini. Attualmente è al lavoro su un albo di Universo Alfa e il 2017 lo vedrà anche fra i copertinisti per la nuova miniserie dedicata a Heavy Bone.
All’ultima edizione del Taranto Comix hai presentato una cartellina con due illustrazioni, firmate da te e da tuo fratello Edoardo. La tua, in particolare, ha per soggetto Godzilla che distrugge l’Ilva, un’immagine potente e simbolica. Raccontami com’è nata.
L’idea mi è venuta quando ho visto al cinema l’ultimo Godzilla, nel 2014. Non sono un grande esperto della materia, pur avendo Antonio Serra come mentore in Bonelli. So comunque che quel film riprendeva l’idea originale di un Godzilla come metafora della natura, quindi in grado di trattare anche temi legati all’ambiente. Tutto questo mi ha naturalmente portato all’Ilva e alle problematiche che la legano a Taranto: con mio fratello, per gioco, storpiavamo il nome del mostro in “GodzIlva” e da tutte queste riflessioni è scaturita l’immagine.
L’aspetto interessante è che l’illustrazione ha anche un sapore molto bonelliano per come unisce una citazione cinematografica a un messaggio più impegnato, che è un mix di elementi tipico delle storie dell’editore milanese.
Sì, evidentemente dopo anni ho sviluppato naturalmente questo metodo.
In realtà è una costante di tutte le tue produzioni, dove si unisce sempre il divertimento (come può essere, appunto, un certo gusto per la citazione) a un tema più impegnato: penso in questo senso a ArcaSacra, a L’eroe dei due mari e, in fondo, anche ai Nathan Never che hai disegnato.
È vero, soprattutto ne La lunga marcia risulta evidente. Sicuramente c’è un forte interesse da parte mia verso queste tematiche e verso un tipo di narrazione capace di unire un approccio “di denuncia” alle strutture di genere. Anche come lettore, o spettatore cinematografico, prediligo quelle storie che riescono a unire il sense of wonder a una tematica in grado di far riflettere. In questo rientra inoltre il fatto che ho sempre amato scrivere, alla Scuola del fumetto di Milano mi sono pure esercitato in questo senso: dopotutto lì cercano di fornire agli allievi una formazione completa.
Ma quindi hai anche sceneggiato dei fumetti oltre a disegnarli?
Nulla che sia mai stato pubblicato, è rimasto tutto a livello di esercizio per la scuola. Diciamo che mi piace partecipare alla fase creativa, più che alla scrittura vera e propria, anche perché ho avuto sempre la fortuna di lavorare con bravissimi sceneggiatori, come Alex Crippa, Thomas Pistoia, Giovanni Eccher e Davide Rigamonti. Poi c’è stato il caso particolare di L’eroe dei due mari, dove Giuliano Pavone si è rivelato un’autentica scoperta! Lui è l’autore del romanzo originario e non aveva nessuna esperienza come sceneggiatore di fumetti. Ma è bastato dargli qualche indicazione e mi ha consegnato una sceneggiatura perfetta.
Come disegnatore, pur essendo particolareggiato, non sei barocco, ma sempre funzionale alla narrazione.
Sì, la leggibilità è l’aspetto a cui tengo di più. La tendenza attuale è quella di rendere i disegni più spettacolari, in modo totalmente fine a se stesso. Anche su Facebook vedo pubblicate poche pagine di fumetto e molte illustrazioni e omaggi, fatti solo per ottenere consenso. In effetti non dobbiamo trascurare quanto i Social Network abbiano alterato la percezione sia dell’appassionato sia di chi i fumetti li realizza. Saper narrare è invece l’aspetto più importante: per paradosso puoi anche non essere un bravo disegnatore, ma devi saper trasmettere quello che la storia richiede.
In questo senso, l’impostazione bonelliana ti ha aiutato?
Tantissimo, potremmo definirla quasi “scolastica”, nel senso migliore del termine: la leggibilità è il requisito fondamentale. Per ottenerla c’è un lavoro di redazione incredibile, che parte dai dialoghi e prosegue attraverso continue correzioni in corso d’opera. Può accaderti anche di dover rifare una vignetta che da disegnatore trovi bellissima, sostituendola con un’altra che ti piace meno, ma che rende più leggibile la storia.
Ho letto sul Nathan Never Forum alcune dichiarazioni di Glauco Guardigli secondo cui qualcuno in Bonelli non voleva un albo come La lunga marcia.
L’unico pericolo che la storia poneva era la possibilità di mancare eventualmente di rispetto verso quelle persone che sono realmente esistite e che hanno sacrificato la propria vita per ideali così alti: mi riferisco naturalmente ai giudici e poliziotti uccisi dalla mafia, come Giovanni Falcone, gli uomini della sua scorta e Paolo Borsellino. Ovviamente Thomas Pistoia è sempre molto attento nell’affrontare queste tematiche, anche al di fuori dell’ambito fumettistico, nei libri e negli articoli che scrive per il suo blog. Quindi il pericolo è stato evitato: ti dirò, anzi, che in fase creativa ci aspettavamo di dover subire modifiche sostanziali alla storia, che invece è stata approvata interamente, i cambiamenti hanno interessato più che altro i nomi, per non richiamare direttamente quelli delle vittime reali.
D’altra parte nella tradizione Bonelli non mancano albi che hanno affrontato direttamente tematiche scottanti. Penso ad esempio a Doktor Terror su Dylan Dog, sui movimenti neo-nazisti.
Sì, infatti non parliamo assolutamente di censura o timore, è stata una questione di correttezza da parte di una grande casa editrice verso un tragico momento della storia del nostro Paese.
Restiamo ancora un po’ nel “dietro le quinte” della Bonelli: prima di arrivare a pubblicare una storia che trafila hai dovuto passare?
La Bonelli è stata un obiettivo che ho rincorso per quasi otto anni. Ho avuto la fortuna di conoscere proprio Glauco Guardigli, che all’epoca era redattore di Nathan Never e aiutava Antonio Serra. Nel frattempo portavo avanti vari lavori legati al disegno, per agenzie pubblicitarie o come illustratore per editori quali Panini e magari cercavo anche di realizzare dei fumetti, come è accaduto con ArcaSacra. Così, ogni volta che realizzavo qualcosa la sottoponevo a Glauco, che cercava di capire se poteva suscitare interesse nella casa editrice. Dopo alcuni anni di tentativi, nel 2011 è arrivata l’occasione giusta e mi hanno chiamato per delle prove specifiche su Nathan Never, seguito direttamente da Antonio Serra. Sono poi passati altri due anni fino all’uscita del mio primo Agenzia Alfa.
Sei entrato in Bonelli nel periodo di transizione dovuto alla scomparsa di Sergio?
Quando ho iniziato lui era ancora vivo, ma mi limitavo a incrociarlo in redazione e, da parte mia, c’era anche una certa soggezione. I cambiamenti intervenuti dopo la sua morte penso sarebbero arrivati ugualmente, d’altronde sono cambiate le logiche del mercato. Rispetto agli anni Novanta, dove c’erano due o tre titoli trainanti, oggi il pubblico è più segmentato e c’è più concorrenza fra i vari editori, senza contare l’attrattiva esercitata dagli altri settori dell’intrattenimento e dalle nuove tecnologie.
Fra le tue altre collaborazioni c’è anche quella con le edizioni Inkiostro: una tua storia è apparsa sulla loro rivista, Denti.
Sì, Inkiostro è una realtà che amo molto, come lettore considero Cannibal Family un bellissimo fumetto per i temi e la realizzazione, e Rossano Piccioni, oltre che un ottimo disegnatore, è anche un editore che sa muoversi bene e sta collaborando con molti validi artisti. Con Davide Rigamonti avevamo realizzato questa storia, L’ombra, pensata inizialmente per un’altra rivista, poi mai pubblicata per varie vicissitudini, che abbiamo quindi proposto a Piccioni. Denti è una rivista destinata principalmente a ospitare autori esordienti, ma si è rivelata comunque una destinazione giusta e ne siamo contenti.
Prima citavamo L’eroe dei due mari: com’è nata l’idea?
Avevo letto e amato il romanzo di Giuliano Pavone, che poi ho conosciuto attraverso un amico comune: quella è pure un’opera che parte da uno spunto quasi “fantastico” e lo usa come grimaldello per affrontare alcune criticità ben presenti a Taranto (nella storia un calciatore di livello internazionale, per un voto religioso, passa a giocare nella squadra del Taranto). Giuliano mi ha poi rivelato l’intenzione di realizzare una versione a fumetti della storia, che mi ha entusiasmato tantissimo perché, oltre che disegnatore, sono anche un grande appassionato di calcio! Così abbiamo messo in piedi il progetto: della stampa si è occupato il giornalista Carlo Gubitosa, un altro tarantino, trapiantato stavolta a Bologna, dove aveva fondato la sua casa editrice. Naturalmente, non essendoci dietro una grossa realtà editoriale, non era possibile pagare i disegnatori a tavola, ma solo attraverso le copie vendute, fatto che avrebbe reso più lunga e complessa la ricerca degli artisti. Così, mi è venuta l’idea di coinvolgere i ragazzi di LABO Fumetto, la realtà con cui collaboro a Taranto. Quindi sia gli insegnanti (Gabriele Benefico e Walter Trono), che gli allievi più meritevoli (Virginia Carluccio e Alberto Buschicchio). La copertina invece è di Alessandro Vitti, mentre mio fratello Edoardo, che è pittore, ha realizzato la cover interna. L’intento era realizzare un prodotto legato esclusivamente ad artisti tarantini, offrendo allo stesso tempo un’opportunità di lavoro professionale e retribuito a chi ancora non ne aveva: gli allievi hanno avuto così delle scadenze precise e si sono confrontati con me, che ho svolto il lavoro di supervisione e revisione. Il tutto è poi culminato in una serie di presentazioni in giro per l’Italia, fino alla mostra delle tavole originali presso il Castello Aragonese di Taranto. È un progetto che ricordo sempre con grande piacere e che alla fine ha avuto anche un grande successo di vendita, tanto che oggi tutte le copie sono esaurite.
All’epoca le tematiche sociali legate a Taranto iniziavano effettivamente a essere molto sentite su tutto il territorio nazionale.
Sì, era il periodo in cui sono iniziate le prime indagini sul disastro ambientale, quindi abbiamo anche toccato un nervo scoperto. È avvenuto per caso, ma qualche “leone da tastiera” non ha mancato per questo di accusarci di aver sfruttato cinicamente la cosa per chissà quali fini commerciali. Il romanzo di Giuliano, però, era uscito un anno prima!
Approfondiamo un attimo il lavoro con i ragazzi che erano alla loro prima esperienza. Ora che è passato del tempo, e che quindi puoi mettere tutto nella giusta prospettiva, sei contento del loro risultato?
Sì, molto. Alberto Buscicchio ha frequentato una scuola di fumetto e ha iniziato a farsi strada nell’ambiente. Virginia Carluccio, invece, opera sempre nell’ambito di LABO e porta avanti nuovi progetti. Penso e spero che ricordino entrambi L’eroe dei due mari come una bella esperienza. Ognuno di loro ha avuto accesso a tutta la storia, leggendo il romanzo o la sceneggiatura. Come coordinatore ho poi assegnato le tavole in base alla sensibilità dei singoli disegnatori. Così, a Walter e Gabriele, data la loro maggiore esperienza, ho affidato le scene più elaborate – come poteva essere ad esempio, nel caso di Walter, la splash page con la coreografia degli ultrà. Alberto, data la sua precisione, si è cimentato nelle tavole più ricche di particolari; a Virginia, che è molto dotata nell’espressività dei volti, ho affidato scene in cui fosse più presente il dialogo. Anch’io, infine, ho disegnato qualche tavola e, da appassionato, mi sono naturalmente riservato quelle delle azioni calcistiche!
Il tempo è passato anche per la scena tarantina: come la vedi oggi?
Devo riconoscere che ormai si tratta di una scena molto florida, sia per la presenza delle due realtà formative (LABO e Grafite), sia per artisti come Sal Velluto, Alessandro Vitti, Walter Trono, Alessio Fortunato, Dante Spada o Enzo Rizzi, con cui collaborerò per la nuova serie di Heavy Bone. Quindi una scena che ha un bel passato, un buon presente e spero anche un grande futuro.
ArcaSacra, per la prima volta, ti avvicina ai temi della malavita: in questo caso si nota uno stile diverso da quello odierno, molto più “sporco”.
Sì, era il periodo in cui usavo un pennello secco e mi divertivo a “sporcare” molto le vignette. Per Nathan Never mi è stato chiesto espressamente di ripulire il tratto, non perché fosse tipico del personaggio – non mancano disegnatori con uno stile gradevolmente più “sporco” – ma perché Antonio Serra ha visto nel mio tratto uno stile più pulito e avvertiva le “sporcature” come posticce. Mi ha indirizzato perciò su una linea chiara e devo dire che è stata una bella scuola anche quella.
Noto anche che nelle scene di dialogo ti piace variare spesso la prospettiva. È qualcosa che nasce già in sceneggiatura?
No, generalmente lo sceneggiatore esperto non ti indica l’angolo di prospettiva. Sta al disegnatore, con il consenso della regia, rendere meno noiosa una scena di dialogo che può durare anche molte pagine. Quindi ti viene concesso un certo margine di libertà, ma allo stesso tempo devi saper dimostrare di potertela cavare in ogni situazione. Poi nel tempo può emergere una particolare bravura in alcuni campi e così ti affidano delle sceneggiature più inclini al tuo modo di disegnare. Infatti a me danno sempre scene di folla, proprio perché sanno che sono particolareggiato.
In effetti un’altra tua caratteristica è che tendi a “riempire” molto le vignette, sono sempre ricche di dettagli.
Sì, è una fatica, ma anche un divertimento e c’è la soddisfazione di lavorare per una tra le più grandi case editrici d’Italia e d’Europa. Mi considero quindi una persona fortunata.
Ma quali disegnatori ti hanno influenzato direttamente?
Ce ne sono molti, e ho sempre il terrore di dimenticarne qualcuno. Posso dirti di amare Goran Parlov per il connubio di uno stile fresco, ma anche di grande esperienza, dove vedi proprio il dono del saper disegnare. In generale però ho sempre avuto una preferenza per i fumetti italiani: da lettore Bonelli sono rimasto letteralmente a bocca aperta davanti alle storie di Dylan Dog disegnate da Claudio Castellini. Il mio preferito però era Giampiero Casertano, per quel disegno realistico tendente al grottesco che poi è sempre stata anche la mia caratteristica.
Come nasce invece la tua collaborazione con le realtà editoriali destinate ai bambini?
Ho lavorato alcuni anni con la David West Children’s Books, una casa editrice inglese che ho conosciuto alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna e che realizza anche libri didattici a fumetti. È stata pure una bella esperienza, anche perché lì ho potuto usare il mio stile grottesco originale, ideale per il pubblico giovanissimo.
Il calcio è la tua grande passione e fra le tue prime esperienze ci sono state le vignette per Forza Milan!, la rivista ufficiale della squadra.
Sì, è stato il mio primo lavoro. Ho iniziato come lettore, compravo Il Giornalino dove mi entusiasmavano i disegni dei gol realizzati da Giuliano Giovetti. Erano gli anni del liceo e mi divertivo a rifare quelle vignette per conto mio, un gioco che si è rivelato pure una bella palestra. Poi, arrivato a Milano per studiare alla scuola del fumetto, ho portato il mio quaderno con questi disegni alla redazione di Forza Milan!, da buon tifoso della squadra. Lì ho incontrato persone meravigliose, che mi hanno visto letteralmente crescere (all’epoca avevo diciassette anni). Praticamente questi disegni mi hanno aperto tante porte: la rivista infatti era pubblicata dalla Panini e così, dopo qualche anno, ho avuto la possibilità di disegnare per questo editore, dalle figurine ad altri materiali, fino a questo ruolo di vignettista per la rivista, che prosegue tuttora. Realizzo la vignetta del “Gol del mese” e quindi unisco il lavoro del disegnatore al piacere del tifoso. Una bella soddisfazione!
Intervista realizzata a Taranto il 26 Gennaio 2017