“Blackbox”, l’inquietante distopia di Ecrònia

“Blackbox”, l’inquietante distopia di Ecrònia

Con Blackbox, Giuseppe Grossi inventa un’inquietante società distopica in cui vige la legge del più forte a discapito dei deboli.

Black Box_coverAlla sua prima sceneggiatura per un fumetto, Giuseppe Grossi affida alla pugliese HyppoStyle la pubblicazione di Blackbox, in cui si racconta in perfetto stile steampunk della contorta società di Ecrònia, delle leggi che la governano, e delle fragilità interiori dei suoi abitanti. Dopo il numero zero, pubblicato a giugno 2015, lo scorso aprile è stato presentato al Napoli Comicon il primo dei tre numeri di cui si compone la storia.

Promettente e con dell’ottimo potenziale nella sceneggiatura, Blackbox # 1 – Futura memoria deficita nei disegni, incerti e imprecisi, affidati a Mario Monno. Degno di nota è invece il lavoro del colorista Gaetano Longo.

 “Semina, estirpa, raccogli. Della tua storia siamo i fogli”

Nel mondo distopico creato da Giuseppe Grossi, la società di Ecrònia è regolamentata da precise direttive che ne favoriscono la sopravvivenza e il progresso grazie a eventi bellici ciclici. Generazione dopo generazione, allievi e maestri sono chiamati a fronteggiarsi per la riaffermazione della legge del più forte, che non lascia spazio agli individui deboli e improduttivi.

In tempo di pace – quindi durante il lasso di tempo di circa 25 anni che separa uno scontro dal successivo – il compito di liberare Ecrònia da queste pietre di scarto è affidato a E.L.I.A. Acronimo di “Esportazione Libera Individui Anomali”, il progetto E.L.I.A. vigila sul rispetto delle finalità e delle tempistiche delle mansioni lavorative della cittadinanza, nonché “sull’integrità fisica e mentale di ogni cittadino”. I soggetti ritenuti non idonei vengono presi in consegna dagli zelanti funzionari di E.L.I.A., e affidati a un destino oscuro quanto congetturabile.

Black Box_tavola 7Oltre che di una precisa scansione temporale – che aiuta a mostrare i mutamenti culturali, sociali e legislativi che si susseguono in Ecrònia –, la descrizione della distopia di Blackbox si avvale di diversi riferimenti allo steampunk1, che favoriscono il senso di straniamento e di sottile disagio rispetto a una collettività le cui leggi e consuetudini dovrebbero apparire, a chi legge, inaccettabili nella loro ferocia e nel loro pragmatismo.

Quello di emendare una società dai soggetti indesiderati e che potenzialmente ne ostacolerebbero lo sviluppo è un topos letterario ricorrente, che affonda le sue radici nelle leggende legate (e qui si citano solo le due più note) alla civiltà spartana e romana, che raccontano dell’eliminazione dei neonati giudicati inadatti, uccisi lanciandoli rispettivamente dal Taigeto e alla Rupe Tarpea.
Grossi aggiunge un elemento innovatore a questo motivo ricorrente, e immagina che lo scopo finale sia raggiunto attraverso una guerra sanguinosa e senza esclusione di colpi fra due generazioni, fra padri e figli, fra allievi e maestri, le cui implicazioni morali e etiche sono facilmente immaginabili.
Nessuno si sottrae alla Guerra, tutti sono coinvolti, addestrati e indottrinati per portare a compimento, fino al sacrificio ultimo, il compito affidato.

L’extrema ratio cui Ecrònia ricorre per difendersi da una minaccia interna paventata e imprecisata – spettro, ossessione, paranoia di una civiltà asfittica e ripiegata su se stessa – è ricorrere a una politica di controllo delle nascite, introdotta nel corso della sua storia, che impone a ciascuna coppia di non avere più di un figlio (i figli cadetti sono evidentemente ritenuti un punto debole per il governo militarista di Ecrònia), con impatti devastanti.
Da una parte assistiamo a una regolamentazione delle pratiche di aborto, che avvengono con freddezza, metodicità e senza alcun supporto psicologico per la donna, dall’altra la tabula rasa con cui guerre e provvedimenti legislativi impattano la società – senza lasciare nelle giovani generazioni il minimo ricordo di particolari eventi storici non graditi al governo – fanno pronunciare a un bambino la battuta centrale di tutto il racconto: “Mamma, che cos’è un fratello?”.

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“Nessuno guarda gli orologi, perché le lancette sono le persone”

La struttura narrativa di Blackbox gode di una scansione cronologica assai dettagliata, che accompagna nella lettura attraverso l’alternanza di analessi e prolessi, funzionale a delineare le regole e i mutamenti della società di Ecrònia e i fatti che sono alla base dei comportamenti e della psicologia dei protagonisti. Su questi ultimi spicca la figura sofferente e borderline di Judith, che viene descritta in tre distinte fasi della sua vita, dall’infanzia all’età senile, e attorno alla quale gravitano tutti i personaggi più o meno secondari della storia.

L’incipit del fumetto è dedicato a un vero e proprio excursus storico. Assistiamo a una battaglia sui Campi esterni di Ecrònia, siamo nel 1202, e in appena cinque tavole comprendiamo che la ferocia dello scontro non si rivela nei corpi dilaniati dei soldati caduti o dalle lame insanguinate brandite da questi, quanto in un susseguirsi di situazioni la cui forza dirompente è affidata – come per tutta la storia – alle parole piuttosto che ai disegni di Mario Monno.
Il sinistro motto di Ecrònia, “Semina, estirpa, raccogli. Della tua storia siamo i fogli” è ripetuto ossessivamente sul campo di battaglia, e il suo oscuro significato si fa chiaro quando un ragazzo consegna a suo fratello minore due anelli, pronunciando la frase rivelatrice “Tienili tu, è l’ultimo ricordo di mamma e papà”. Ciò che ci è appena stato mostrato, in una tesissima sequenza di immagini, è un parenticidio non solo giustificato ma avallato dalle leggi di Ecrònia.

Un salto temporale di oltre 600 anni, siamo nel 1805, mostra come Ecrònia sia cambiata nel corso dei secoli, si sia industrializzata e abbia sviluppato un apparato legislativo alla cui base perdura la repressione delle debolezze sin dalla prima infanzia. Rito iniziatico per ciascun abitante di Ecrònia è la distruzione nel fuoco – da sempre, nella narrativa come per molte culture, elemento purificatore – dei propri giocattoli.

A questa consuetudine si ribella Judith, bambina di appena quattro anni, che sottrae alle fiamme uno dei suoi pupazzi, un piccolo uomo di latta, elemento di presagio del suo futuro ruolo sociale. È in questo momento che facciamo dunque la conoscenza del personaggio con il quale tutti gli altri protagonisti hanno dei legami, e che con la sua longevità permette di mostrare l’evoluzione e il paradossale imbarbarimento delle consuetudini che regolano questa società distopica.

A conclusione del flashforward incontriamo ancora Judith, ormai anziana e cieca, nel 1885. Ora l’elemento steampunk del racconto emerge con forza, nella descrizione – affidata prevalentemente ai dialoghi e solo a pochi elementi visivi – di una politica bellica che vede l’utilizzo di “ibromi”, macchine senzienti con innesti animali e dall’aspetto antropomorfo, utilizzati in battaglia, e la cui costruzione è affidata agli anziani di Ecrònia, tra cui la stessa Judith.

Black Box_tavola 14In questo contesto temporale viene introdotto anche Isaac, il figlio di Judith, uno spietato funzionario di E.L.I.A. che per ragioni ancora sconosciute ha interrotto ogni legame con la sua famiglia d’origine, e che qui vediamo nell’esercizio delle proprie funzioni di controllore e repressore, scelta che permette immediatamente di inquadrarne psicologia e dinamiche comportamentali.

Ancora un flashback e torniamo al 1846, all’infanzia di Isaac – in cui il senso del dovere e il rispetto delle leggi sono già pienamente formati – al fianco di una Judith giovane, provata dall’assenza di suo marito e dalla mancanza di suo fratello, presumibilmente scomparsi in guerra. Giuseppe Grossi coglie l’occasione per mostrarci un altro dei molti cerimoniali che in questa società scandiscono il trascorrere del tempo e l’attesa di una nuova Guerra: il “Giorno della Leggerezza”, in cui tutti i bambini di Ecrònia sono chiamati a bruciare i propri giochi in un enorme inceneritore, incitati dagli “Alleggeritori” – figure mascherate dal grande carisma e degne della più alta ammirazione da parte dei giovanissimi. La cerimonia iniziatica e privata cui abbiamo assistito nell’infanzia di Judith è ora resa pubblica, istituzionalizzata, spettacolarizzata, come spettacolarizzati sono tutti gli eventi salienti all’interno di una civiltà soggetta a dittatura. Un richiamo evidente, questo, ai rituali previsti dalla società orwelliana di 1984.

Riavvolgendo nuovamente la struttura della fabula, facciamo un passo indietro, al 1815, per assistere a un’altra delle guerre sui Campi esterni di Ecrònia. Qui la volontà del narratore è duplice: mostrarci un momento saliente della giovinezza di Cobb – fratello maggiore di Judith, che avevamo già visto bambino insieme a lei 10 anni prima –, e portare alla nostra attenzione lo sviluppo tecnologico cui questa civiltà è giunta attraverso sperimentazioni dalla dubbia eticità, al solo scopo di misurare le capacità strategiche e il potenziale bellico delle due fazioni.

Tornati definitivamente al 1885, piano temporale principale della narrazione, scopriamo che Isaac ha un allievo di nome Tibbs, e ha avuto una moglie, Triss, che le loro strade si sono separate, e che ella ha a sua volta un’allieva, Lawrence, la quale sta addestrando in vista di una “simulazione” che la giovane dovrà affrontare – si suppone – per essere ritenuta idonea al combattimento.

Il racconto si chiude con la nascita di Lafh, l’ibroma creato dalla vecchia Judith, in un accostamento di immagini che mette in parallelo le fasi finali della costruzione della creatura, come venisse partorito dalla mente e dalle mani della donna, e l’aborto provocato a Vivian Green in ottemperanza alla politica del figlio unico imposta in Ecrònia. È giusto aggiungere che se la figura di Vivan è qui appena tratteggiata, così non è per quella di suo marito: l’uomo dimostra in questo frangente una debolezza e una fragilità privatissime, in forte antitesi con il suo ruolo istituzionale pubblico, ben descritto all’interno della storia. Un’ambivalenza rivelatrice dei difetti concettuali che sono alla base della civiltà ecrònica e che covano nell’intimità di ciascuno dei suoi abitanti, provati dalla rigidità e dalla disumanità delle sue leggi.

Tornando al parallelismo tra la “nascita” Lafh e l’aborto di Vivan, appare chiaro che esso sia voluto per rafforzare l’idea dei principi fondanti di Ecrònia: “Semina: cresci sano e forte. Estirpa: gli inutili vanno messi alle porte. Raccogli: il progresso nasce dalla morte”.

Al coup de théâtre finale, che vede coinvolta in prima persona Judith, è affidato il potente cliffhanger che apre la strada al secondo numero di Blackbox, la cui pubblicazione è prevista per i primi mesi del 2017.

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“È tutto chiaro. In perfetto stile Ecrònia”

Blackbox è un fumetto senza dubbio promettente, con una trama complessa e ostica a un primo approccio, complici i diversi salti temporali e le sfumature narrative che si colgono solo a un’attenta e magari reiterata lettura dei dialoghi. Questo non può considerarsi un punto a sfavore dell’opera di Grossi, che in tal modo dimostra anzi di aver curato con attenzione la costruzione della struttura narrativa e aver concepito la distopia di Ecrònia in modo quanto più verosimile e solido possibile.

Non sono però trascurabili alcune ingenuità nella sceneggiatura, probabilmente frutto dell’inesperienza dell’autore esordiente. Trattandosi della prima parte di una storia che si dipanerà in tre capitoli, questo numero 1 è principalmente volto a illustrare l’assetto di Ecrònia e a delineare parzialmente i personaggi principali, lasciando molti interrogativi – specie riguardanti il loro background – per il momento senza risposta.

Ad esempio, a conclusione dell’albo non risulta ancora chiaro chi sia al vertice di questa società distopica, o quale sia la ragione scatenante che ha portato a ricorrere alla Guerra per rafforzare le fondamenta di Ecrònia.

Black Box_tavola 30Inoltre, la narrazione risulta manchevole di una figura chiave che nei romanzi distopici viene solitamente identificata con quella del tutore dell’ordine completamente al servizio del sistema, ma che poi si rivela essere un personaggio borderline, dotato di un pensiero proprio, o pronto ad accendere la fiamma della ribellione. Ne sono un esempio la Julia di 1984, o il capitano Beatty in Fahrenheit 451.
Nel caso di Blackbox un personaggio di questo tipo potrebbe essere identificato in Isaac (sua madre Judith è fin da subito indicata come una ribelle, quindi non risponde ai canoni sopra descritti), che però appare fermo nelle sue convinzioni, legato al potere che esercita in seno a E.L.I.A., inflessibile anche con se stesso. “Tu sei una delle regole”, gli dice la sua ex moglie Triss; “Mi godo il piacere del controllo”, le risponde lui; “Il silenzio era il suo specchio. Il vuoto la sua unica amante”, lo descrive Judith nel suo diario.

Nell’esercizio delle proprie funzioni, Isaac mostra alcune altre mancanze nel modo in cui Ecrònia è descritta: non è chiaro a chi l’uomo faccia rapporto, dato che E.L.I.A. appare più un concetto astratto che un vero e proprio corpo di polizia; non vengono mostrati dei suoi superiori o colleghi, ma solo alcuni sottoposti e il suo giovane allievo Tibbs; non sappiamo ancora chi abbia concepito questo sistema di leggi, a parte un rapido accenno a un certo “Dottor Gregory”, la cui statua campeggia al centro della città e alla quale rendono omaggio la giovane Judith e un Isaac ancora bambino. Tutti interrogativi che sicuramente troveranno risposta nei prossimi due numeri, c’è da augurarsi riservando loro il giusto spazio.

Tralasciando alcuni passaggi narrativi apparentemente forzati, sempre per la mancanza di sufficienti informazioni a disposizione, un’altra pecca della sceneggiatura è la costante ricerca di un effetto drammatico nei dialoghi, che però non raggiunge l’obiettivo che si prefigge, appiattendo la caratterizzazione dei personaggi e rendendoli tra loro assai simili. Si scorge chiaramente un sottotesto intriso di infelicità, rabbia e risentimento nei confronti di una società contorta e castrante, ma molti scambi di battute impattano poco il lettore sul piano emozionale, rimanendo asettici ed eccessivamente costruiti, artefatti, poco realistici.

I disegni non contribuiscono a un’efficace caratterizzazione dei personaggi.

Mario Monno appare a proprio agio con le scenografie urbane, realizzando ottimi sfondi e vedute aeree delle città, ma il suo tratto appare incerto e confuso nelle scene di battaglia, poco deciso nella parte iniziale del fumetto e perfino sciatto e scarico in quella finale. Monno dà il meglio di sé a metà del racconto, ma la sua pecca resta la rappresentazione della figura umana e dei volti, specie quelli femminili, molto simili gli uni agli altri, e dei tratti somatici di Isaac, che non trovano una connotazione precisa se non sul finire del fumetto.

Black Box_tavola 33Gravi e impossibili da trascurare le diverse imprecisioni anatomiche e prospettiche che costellano l’intero albo, da quelle macroscopiche alle più infinitesimali. Già nella quarta vignetta della seconda tavola, il braccio innaturalmente ritorto del soldato con lo scudo sfida ogni possibile movimento delle articolazioni. Nella scena in cui la piccola Judith è chiamata a bruciare le proprie bambole nel camino, vediamo che la bambina si ustiona la mano sinistra, mentre due vignette più avanti suo fratello le medica la mano destra. La vignetta che vede Isaac specchiarsi davanti al lavabo del proprio bagno manca della terza dimensione, nonostante l’ardita inquadratura volta ad accentuare la profondità della stanza. Durante la battaglia del 1815, la figura di Virginia che si frappone fra Cobb e il soldato più anziano non ha alcun volume nello spazio, tanto da confondersi con la sagoma dell’uomo, azzerando la dinamicità dell’azione e rendendone confusa la comprensione.

Questa caduta di qualità dei disegni penalizza fortemente il buon lavoro di Grossi sulla sceneggiatura, perché – dato l’impatto più immediato che la parte grafica ha rispetto alla scrittura – rischia di creare un pregiudizio che inficia il giudizio complessivo sull’intero fumetto, distraendo dall’intreccio che già richiede una certa dose d’attenzione.

Gaetano Longo ha invece svolto con ottimi risultati il suo compito di colorista, utilizzando una tavolozza dalle sfumature seppia e dai colori leggermente desaturati, che ben si sposa con l’ambientazione storica e gli elementi steampunk dell’opera. Infelice, per contro, la scelta da parte dell’editore di una carta patinata per gli interni (là dove per la copertina si è optato per una carta ad elevata grammatura e martellata): solitamente utilizzata per esaltare la brillantezza dei colori carichi, tipici del fumetto supereroistico, in luogo della patinatura sarebbe stato più opportuno preferirle una carta opaca, più in linea con la tavolozza di Longo. Un ibrido che convince poco, anche in relazione alla brevità del brossurato (appena 70 pagine).

Innovativo e più maturo per gli standard del catalogo HyppoStyle, Blackbox ha le capacità per mantenere desta l’attenzione dei lettori sulla storia, e del mondo editoriale sulle capacità di scrittura di Giuseppe Grossi. Con sufficiente tempo a disposizione per emendare le imperfezioni del tratto di Mario Monno e fare scelte più opportune per valorizzare la colorazione di Gaetano Longo, il primo capitolo di questa storia in tre atti si chiude in attesa del ritorno a Ecrònia nei primi mesi del prossimo anno.

Abbiamo parlato di:
Blackbox #1 – Futura memoria
Giuseppe Grossi, Mario Monno, Gaetano Longo
HyppoStyle, aprile 2016
70 pagine, colori, brossurato – 9,90 €


  1. Lo steampunk è un filone della narrativa fantastica-fantascientifica che introduce una tecnologia anacronistica all’interno di un’ambientazione storica, spesso l’Ottocento e in particolare la Londra vittoriana dei romanzi di Conan Doyle e H. G. Wells. 

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