Erano gli anni ’90 quando alla Marvel, complice David Micheline con la creazione di Venom, si assistette a un proliferare di storie incentrate sull’azione smodata che vedeva protagonista l’Uomo Ragno contrapposto a veri e propri mostri: non più supercriminali con superpoteri, ma demoni venuti dall’inferno (Demogoblin), doppioni provenienti da altre dimensioni (il Doppelganger) o alieni che necessitano di feniletamina (sostanza contenuta nel cervello umano) per poter vivere (Venom e Carnage). Riguardando oggi quel periodo, lo potremmo liberamente definire come grottesco. Si stendeva una trama di fondo, si sceglievano i personaggi e si dava il via ad una royal rumble che vedeva l’eroe nell’intento di fermare la furia omicida e distruttiva del criminale di turno (si veda, ad esempio, la saga Maximum Carnage contenuta nei volumi 1-4 dell’Uomo Ragno Deluxe).
Nel nuovo millennio la Marvel si sposta verso altre tematiche, i personaggi trash del decennio precedente sono quasi prevalentemente scomparsi e quelli rimasti vengono usati ben poco. Esce tuttavia una miniserie, tale Venom/Carnage (Uomo Ragno #415-416), che vede i due personaggi icona degli anni passati fronteggiarsi (chi con uno scopo, chi con un altro) causa la nascita di un nuovo simbiota, figlio di Carnage. Ed è da qui che parte la mini di 6 numeri presentata nel 100% Marvel, che vede protagonista proprio la prole dell’alieno che vive in simbiosi con il maniaco omicida Cletus Kasady.
Apparentemente la storia può sembrare un tentativo di riportare in auge un genere ormai morto, ovvero quello delle storie disimpegnate con protagonisti personaggi “cool” che se le danno di santa ragione. Cio’ è vero solo in apparenza. La storia infatti si propone di analizzare il rapporto che intercorre fra il neonato alieno e il suo ospite umano, Pat Mulligan. Una prima novità che salta subito all’occhio è la differenza fra questo organismo alieno e i precedenti: là dove Venom e Carnage tendevano ad essere identificati quasi totalmente con i loro simbioti, esseri perversi capaci solo di uccidere assolutamente privi di personalità e di moralità, Toxin (questo il nome del nuovo personaggio protagonista di questo volume) dimostra subito di avere carattere. Infatti si pone spesso delle domande sulla vita e sulla morte, su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, soprattutto quando dal suo ospite riceve risposte parziali che non lo soddisfano; quindi non si ferma alla sola superficialità delle cose che lo circondano.
separatorearticoloNon è tutto bianco e nero, non tutto è distinguibile fra bene e male: perché si compiono azioni giuste? Cosa ci spinge a non assecondare i nostri più bassi istinti? Queste sono solo alcune domande a cui Patrick Mulligan, poliziotto di New York che ha scelto di abbandonare la sua vita per portare il fardello che il destino gli ha donato, dovrà cercare di rispondere. Altro problema che viene presentato nel volume è quello della dualità del personaggio, il fatto di dover convivere continuamente con un mostro che, da un momento all’altro, potrebbe prendere il controllo della situazione divenendo egli stesso un assassino. Ad un certo punto della storia assistiamo all’omicidio di un criminale: la cosa non è casuale, ma fermamente voluta dal nuovo vigilantes. Il fatto che stupisce, tuttavia, è che la parte di Toxin che ha commesso il delitto è quella umana, rappresentata da Pat, un tempo uomo dedito all’applicazione della legge: legge che si rivela purtroppo essere priva di infallibilità. Il suicidio a questo punto, la consapevolezza che non c’é altra via di fuga da quella vita vissuta a metà con un essere che potrebbe, da un momento all’altro, prendere il sopravvento e commettere una strage, sembra l’unica soluzione: ma è proprio l’essere tanto odiato che salva l’uomo, ormai disperato, in extremis. Scopriamo allora come le carte in tavola si ribaltano, rivelando con certezza chi sia vero mostro. La storia, tuttavia, pur presentando argomenti scabrosi come il masochismo e il parenticidio, è caratterizzata da scene humor che rendono il tutto più leggero.
Lo scrittore Peter Milligan riesce così nell’intento di utilizzare un nuovo personaggio, figlio di una vecchia generazione di fumetti, utilizzando inedite tematiche nient’affatto scontate che riescono ad offrire diversi punti di riflessione. Ogni cosa è tratteggiata con maestria dal disegnatore Darick Robertson, che risulta essere plastico in alcune scene, “sporco” in altre. L’unica pecca della miniserie è che viene ignorato totalmente il celeberrimo senso di responsabilità di Spiderman, che invece si fa da parte (anche per ovvie esigenze narrative) e affida agli altri protagonisti il suo “lavoro”, trascurando completamente le morti occorse nell’intera vicenda.
Un volume, quindi da leggere assolutamente, che rinnova dei cliché che non avevano saputo reinventarsi ed evolversi col tempo.
Riferimenti
Scheda del volume sul sito Panini Comics: www.paninicomics.it/Titolo.jsp?IdTitolo=5555
Il sito della Marvel Comics: Marvel.com
Il sito ufficiale di Darick robertson: www.darickr.com
Bibliografia di Peter Milligan: associazioni.monet.modena.it/glamazonia/biblio/milligan