Questo secondo albo somiglia molto nella struttura e nel contenuto a quello precedente: c’è la difficile quotidianità di Kyle, si manifesta un nuovo caso di possessione, e il reverendo Anderson continua a passare, in modo poco “canonico”, le proprie notti giocando a poker con gli amici, salvo poi destinare il ricavato alle necessità della parrocchia. Si evolve poco o nulla sul fronte dell’intreccio, ma non per questo la lettura è deludente. Messa da parte l’azione, Robert Kirkman approfondisce il background dei personaggi, spostando con regolarità i riflettori sui vari protagonisti, e dedicando un discreto spazio al personaggio per il momento più interessante, il reverendo Anderson. Lo sceneggiatore riesce a tratteggiare una figura non banale, alla quale mette in bocca alcune riflessioni sulla religione prudenti, vista la delicatezza dell’argomento, ma non scontate.
I dialoghi restano il cuore della narrazione di Kirkman, che in Outcast adotta uno stile asciutto, rinunciando ai lunghi monologhi a alle conversazioni-fiume caratteristici di molti suoi lavori, in favore di scambi di battute brevi ma realistici e credibili. Prova di maturazione dell’autore, che va lavorando per sottrazione, lasciando spesso ai disegni dell’efficace Paul Azaceta il compito di dettare sia il ritmo della narrazione che gli stati d’animo dei personaggi. Il tratto solido del disegnatore sembra recuperare i tempi della narrazione cinematografica, e conferisce vigore al senso di minaccia incombente che permea le pagine.
Abbiamo parlato di:
Outcast #2 – Ricordo quando mi amava
Robert Kirkman,Paul Azaceta
Traduzione di Stefano Menchetti
Saldapress, maggio 2015
72 pagine, brossurato, bianco e nero – €2,30