Nella prima parte dell’articolo abbiamo visto – attraverso l’analisi di diverse tavole dell’opera – come in Sharaz-De Sergio Toppi allestisca per il lettore un percorso grafico/visivo fatto di attese e sorprese continue, immergendo l’occhio di chi guarda in architetture di pagina estremamente complesse e coinvolgenti.
E per restituire la densità del testo fumettistico, così come l’emozione che è capace di innescare, abbiamo introdotto la metafora del labirinto. Come dire che l’intrinseca intensità di lettura di questo fumetto richiama – in termini interpretativi – l’esperienza di chi si trova a esplorare una struttura tutta da scoprire, difficile quanto fascinosa.
Tra parola e immagine
Un esempio di questa complessità labirintica è testimoniato dal rapporto tra “disegnato” e “scritto” all’interno della pagina. A uno sguardo distratto, la netta separazione operata tra le aree disegnate e le aree occupate dai testi (spesso confinate nel bianco senza balloon) potrebbe ricordare la dimensione del racconto illustrato, più che quella del fumetto tout court.
C’è però una differenza sostanziale tra i due che Toppi, maestro in entrambi gli ambiti, conosce bene. Nel racconto illustrato, parola e immagine si ribadiscono l’un l’altra, ma comunque la seconda è sempre subordinata alla prima. Possiamo fruire il racconto letterario senza immagini, mentre se fruissimo solo delle immagini avremmo una comprensione limitata della narrazione (o meglio una versione del racconto bonsai, sconnessa e disarticolata).
Invece, nel linguaggio “polifonico” del fumetto, perfino in uno inconsueto come Sharaz-De, il rapporto prevalente è quello di staffetta. Immagine e parola si integrano e si completano l’uno l’altro in maniera simbiotica. Sono numerosi gli esempi (alcuni qui di seguito) in cui possiamo rilevare una forte complementarità tra testo verbale e figure rappresentate, per di più fondata su una stretta solidarietà anche plastica tra bianco e nero, tra vuoto e pieno, tra alto e basso, tra periferico e centrale.
Sharaz-De va letto quindi come un racconto a fumetti “mascherato” da racconto illustrato. Un espediente testuale che vanta una duplice funzione. Da un lato, per come è integrata alla componente grafica, la componente verbale offre all’occhio del lettore un punto d’approdo nell’oceano di segni e architetture complesse dei layout poster1 descritti in precedenza (cfr la prima parte dell’articolo).
Laddove l’assenza di vignette e di percorsi planari immediatamente intelligibili complica la lettura, la parola semplifica: indica la via da seguire per uscire dal labirinto. Come scrive Daniele Barbieri, la parola:
sia attraverso la sua direzione di lettura obbligatoria, sia attraverso la sua sequenzialità discorsiva e narrativa, organizza l’interpretazione delle tavole, lasciando poco o nessun margine all’ambiguità. (Barbieri 2010, p.128)
Eccone un esempio mirabile a pagina 372. Il volto di Sharaz-De in primo piano domina la scena, assieme all’ambiente.
Anzi il volto di donna e la montagna si sviluppano in continuità: il velo che orna il volto diventa al tempo stesso il profilo del declino montuoso. Solo il testo scritto permette di ricostruire la cornice temporale della messa in scena: una didascalia più piccola per descrivere l’azione della protagonista:
Allora, nella notte silenziosa, Sharaz-De prese a parlare
E subito dopo un (semi)balloon per portarci all’interno del racconto:
C’è un fiume, signore e mio re, di acque…
Oltre ad assicurare la leggibilità della tavola, questa stretta continuità tra immagine e testo letterario assolve una funzione ritmica.
In Sharaz-De, il lettore arriva alla parola dopo aver esplorato le figure, dopo aver decifrato le azioni, e quando ci arriva, la parola reclama il suo tempo. Un tempo di lettura – ovvio – ma soprattutto un tempo evocativo del racconto: il “prima” o “il dopo”, “il passato” o “il presente”.
Eccone un altro saggio, a pagina 67: la parte superiore della pagina mette in scena, il re appestato che ha appena frantumato la roccia, ma solo la componente verbale restituisce la cornice temporale del gesto e il successivo sviluppo del racconto:
alla fine il sasso fu ridotto in frantumi e il re si abbandonò senza più forze. Allora si levò la voce del mago.
Il testo scritto galleggia a metà strada tra lo sfondo (le pietre frantumate) e il primo piano disegnato (il re esausto), obbligando il nostro occhio a oscillare tra l’una e l’altra figura, per poi ancorarsi lì sulle parole, che scandiscono il tempo. Un tempo difficilmente misurabile, tanto più che s’incarna in allocuzioni volutamente sfumate (“alla fine” “allora”, etc.). Un tempo “senza tempo” che proietta il lettore in un altrove mitico e colossale.
La nozione di tempo mitico ci aiuta a capire come poi questa vasta serie di dispositivi che possiamo analizzare in ogni singola tavola, cooperino poi a caratterizzare in maniera del tutto speciale i ritmi del singolo racconto e, in seconda battuta, dell’intera serie di racconti che compongono l’epopea fumettistica di Sharaz-De.
Un percorso senza mappa
Dal vastissimo materiale letterario de Le mille e una notte Toppi estrapola un certo numero di racconti, li ritaglia e taglia tutti per uno stesso formato. Perché, mentre come abbiamo visto la gestione grafica interna di ogni singola tavola è totalmente disinvolta, la metrica fumettistica degli episodi ha invece un ordine abbastanza regolare, dalla dozzina alla ventina di pagine, anche se le media si attesta sulle sedici.
Poco importa che questa metrica risponda a vincoli editoriali (la serie fu pensata in origine per una pubblicazione periodica sulla rivista linus) o sia frutto di una scelta autonoma del fumettista. La sostanza è che il formato prevale sul contenuto dei racconti: una caratteristica che la preziosa e organica riedizione NPE permette di apprezzare appieno.
Le trame si equivalgono tutte per Toppi e, all’interno di ogni trama, le scene hanno tutte lo stesso “peso” narrativo. La fluidità del macroracconto viene spezzettata in tanti micro-racconti, meravigliosi ma parziali, che si aprono e si chiudono nell’arco di una pagina. Questo andamento espressivo conferisce un peculiare ritmo sincopato alle storie.
Proprio come nel labirinto, a seconda del punto in cui ci troviamo, la visibilità dell’intero percorso (la mitica mappa disegnata dal progettista Dedalo) ci resta preclusa, così Le Mille e una notte scompaiono in Toppi, per lasciare posto alle vicende dei vari Suduqwa-Al-Zaman, Mudgiajd, Yazid. Più che personaggi fedeli all’originario corpus letterario, sono figure ispirate alla fonte, come rileva il critico Matteo Stefanelli nell’introduzione al volume:
…Ciò che rimane in Sharaz-De dei tanti racconti de Le Mille e una Notte, dunque, è essenzialmente una vasta gamma di simboli: mercanti cinici o disinteressati, sovrani assetati di potere o lungimiranti, guerrieri spietati o pietosi, nani o briganti, spiriti retti o entità demoniache, città sfavillanti o deserti desolati, grandi fortune o terribili sconfitte, relazioni autentiche o smisurati inganni…
Archetipi insomma. Gli elementi cardine di quella grande narrazione senza tempo che è l’Epica.
Leggere per mille anni
Una tavola di Toppi può mettere in scena un’attesa lunga mille anni, così come consumarsi nell’arco di pochi frangenti rappresentati quasi “in diretta”. Il lettore non può misurare in maniera precisa il tempo del racconto: ha solo la percezione di un “tempo colossale”... Un tempo indicibile scandito dal lavoro complesso, ma appassionante, che il nostro occhio deve compiere, all’interno della tavola, per decifrare l’ordito complesso dei segni sinora descritto.
È il tempo smisurato di chi sa di essere entrato in un labirinto: la ricerca della via giusta può durare pochi minuti, o condannarci (potenzialmente) a vagare per secoli al suo interno come l’Asterione di Borges. Ovviamente, a differenza del labirinto di Minosse, la via d’uscita dai racconti fumettistici di Toppi è lì, a portata d’occhio, quando torniamo a incontrare nell’ultima pagina di ogni racconto la bella Sharaz-De. Il racconto nasce e al tempo stesso si chiude lì dove, per dirla con le parole del filosofo Magnus Enzensberger: “non esiste labirinto per chi lo ha attraversato“.
E uscire dal labirinto fumettistico di Sharaz-De costituisce un piacere fumettistico altrettanto forte dell’esserci entrati, intimamente legato alla complessità del percorso di lettura.
Complesso non vuol per forza pesante o difficile, anzi la maestria di Toppi come narratore sta proprio nel rendere piano ed efficace ciò che in altre opere e in altri autori risulta arduo, o comunque estremamente faticoso per il lettore.
L’efficacia straordinaria di Toppi sta proprio in quello speciale ritmo “sincopato”, in quel “non ritmo” che riesce a dare alle sue tavole e che ci riporta al fascino primigenio della narrazione letteraria, così come la descriveva un altro maestro come Italo Calvino ne Le lezioni americane:
L’arte che permette a Sherazade di salvarsi la vita ogni notte sta nel saper incatenare una storia all’altra e nel sapersi interrompere al momento giusto. È un segreto di ritmo, una cattura del tempo che possiamo riconoscere dalle origini: nell’epica per effetto della metrica del verso, nella narrazione in prosa per gli effetti che tengono vivo il desiderio d’ascoltare il seguito. (Calvino, p.35)
Lo stesso desiderio che proviamo, in fondo, leggendo le storie a fumetti di Sharaz-De.
Abbiamo parlato di:
Sharaz-De – Le mille e una notte
Sergio Toppi
Edizioni NPE, 2017
272 pagine, cartonato, colori – 29,90€
ISBN: 9788888893860
Bibliografia
Assoc. Hamelin (a cura di). Sergio Toppi – il segno della storia. Black Velvet 2009.
Barbieri, Daniele. I linguaggi del Fumetto. Bompiani 1991.
Barbieri, Daniele. Il pensiero disegnato. Coniglio Editore 2010.
Calvino, Italo. Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio. Mondadori 1988.
Dallavalle, Sara. “Esperienze grafiche di Dino Battaglia e Sergio Toppi”
Groensteen, Thierry. Système de la bande dessinée. PUF, 1999.
Lo Bianco, Fabrizio. Sergio Toppi – nero su bianco con eccezioni. Black Velvet 2009.
Trucco, Daniele. “Verticalità diagonale: Sergio Toppi e il suo mondo senza tempo”
Molti dei termini tecnici sono tratti da “List of Terms for Comics Studies” di Andrei Molotiu. ↩
Per le pagine citate del racconto il riferimento è all’edizione NPE. ↩