La passione di Joann Sfar per la musica in generale è cosa nota ai più attenti frequentatori delle sue opere e ancora più a chi conosce almeno un pezzo della sua biografia. Qualche anno fa al Comicon di Napoli, per esempio, girava con una piccola custodia contenente un ukulele, strumento che in quel periodo stava imparando ad usare. Una passione che poi si è trasferita anche in alcune sue produzioni fumettistiche tra cui il nuovissimo Klezmer, uscito nel 2005 in Francia per Gallimard Jeunesse, pubblicato in Italia da Lizard, primo di una serie di tre volumi.
In un certo qual modo in queste pagine Sfar percorre luoghi narrativi, ideali e immaginifici già utilizzati nel ben più famoso ciclo de Il Gatto del Rabbino, esplicitando ancora una volta il suo desiderio di riscrivere, in chiave avventurosa e buffa, la storia dell’ebraismo come uno degli elementi fondanti della cultura europea. La sua non è una costruzione storiografica: anche se piena di elementi verosimili è pur sempre un autore di finzione con una grande capacità di inserire in contesti improbabili e tra personaggi eccentrici il suo profondo bagaglio culturale, artistico, nonché pillole di tradizione orale ebraica e umorismo yiddish.
Sfar è un affabulatore di razza, e come per tutti i raccontastorie calcare il sentiero della verità è una questione da scartare a prescindere. “Raccontare le cose come sono successe veramente è così meschino che dovrebbero vietarlo. Inventare una storia è il minimo della gentilezza”, fa dire a uno dei suoi personaggi, uno zingaro che a un certo punto della storia si unisce a due giovani ebrei, ex studenti cacciati dai Rabbini della loro yeshiva, ossia una scuola dove si studia il Talmud.
Uno zingaro, due ebrei erranti, un musicista klezmer – unico sopravvissuto di un’orchestra trucidata da concorrenti – una bella ragazza in fuga da un matrimonio combinato; sono questi i personaggi che vagano in una porzione dell’est europeo poco prima della seconda guerra mondiale, personaggi con cui Sfar riesce con pochi e precisi accenni a raccontare molti aspetti della vita delle comunità ebraiche rurali, delle loro tradizioni e del rapporto, fecondo ed essenziale, con la musica.
Una musica che è un miscuglio di stili, di influenze, che è in qualche modo la trasposizione in note di tutta l’esperienza ebraica della diaspora. Una musica quindi che non ha connotazioni nazionali, etniche e regionali precisamente definite, ma che somma tutto quello che nel corso dei secoli ha saputo incontrare. Come appunto l’ebraismo europeo, il vero ebraismo, secondo Sfar, quello libero di essere parte di più società, più culture, più corpi sociali. Un ebraismo che di fatto non accetta, forse inconsapevolmente, ma di certo in maniera fondante, la condizione stanziale che invece caratterizza quella parte di popolo ingabbiatasi nello stato di Israele.
Sfar scrive questo, in alcune pagine di note a corredo del volume, appunti dal contenuto interessantissimo per chi vuole andare al di là del fumetto e conoscere più approfonditamente il pensiero dell’autore.
Di certo Sfar non è un un ingenuo e uno sprovveduto, e non ha paura di trattare degli argomenti così vasti e complessi. Lo fa da una posizione di notevole consapevolezza etica e artistica, sapendo di esser in grado di raccontare qualsiasi cosa, come dimostra la sua bibliografia composta da un centinaio di titoli in poco più di vent’anni di carriera. È prerogativa dei grandi autori sporcarsi le mani con tematiche oserei dire eterodosse – se messe a confronto di ciò che propone la stragrande parte del fumetto mondiale – e scavare nel profondo fino alle radici di un’identità culturale così articolata.
Per far ciò e per realizzare un fumetto musicale (“il fumetto è il modo del silenzio”, dice nelle note) si avvale dell’improvvisazione narrativa e grafica, come i musicisti klezmer si avvalgono della pura improvvisazione per accompagnare balli e matrimoni. Un’improvvisazione che è pensiero automatico e disegno veloce, un disegno anche confuso nei tratti e nei colori stesi approssimativamente, ma che dona estremo fascino e vivacità al caos da sarabanda dei personaggi da lui raccontati. Un disegno che definire bello o brutto è una questione un po’ stupida. Certo, anche negli altri suoi lavori Sfar non è mai stato interessato al bel disegno (anche se è di certo un ottimo disegnatore) ma alla funzionalità dello stesso, anche perché gli farei un torto se affermassi che a lui interessa solo la storia da raccontare. Fosse così, di mestiere farebbe il romanziere. Invece è, in tutta evidenza, un fumettista che non è attratto dai fronzoli e che ha un’urgenza di fissare su carta le storie che probabilmente ha accatastato nella testa.
Aspettiamo dunque il prossimo tomo di questa saga di ebrei erratici, musicisti per caso e per fortuna, improvvisatori e improvvisati, sicuri di leggere ancora una volta, divertiti e ammirati, altre pagine di buon fumetto come sempre Joann Sfar ci sa dare.
Abbiamo parlato di:
Klezmer
Joann Sfar
Rizzoli/Lizard, 2010
144 pagine, brossurato, colori, 17,00€
ISBN: 978-88-17-03781-5
Riferimenti:
Il sito di Sfar: www.toujoursverslouest.org/joannsfar/
Il sito di Lizard: http://lizard.rcslibri.corriere.it/lizard/