Davide Bart Salvemini è illustratore, animatore e fumettista all’esordio con la sua prima graphic novel per Eris Edizioni.
È difficile tentare di dare una forma precisa alle numerose sfaccettature e storie nelle storie narrate in Kaleido. L’unico tentativo per avvicinarsi a questa multiforme esperienza è procedere per analogia, individuando tre punti di riferimento a cui l’opera, se non direttamente, certamente nell’essenza si potrebbe accostare:
- Flatlandia di Edwin A. Abbott;
- un complesso di conoscenze e idee esoteriche per le tematiche;
- e l’opera di Jesse Jacobs per lo stile.
Il racconto, ad un primo livello di lettura è un coinvolgente bildungsroman accostabile al romanzo d’avventura piratesco ottocentesco (che sembra mescolare Stevenson e Verne), innestato a elementi psichedelici e fantascientifici che si contaminano con sporadiche ambientazioni medievaleggianti, in un corso e ricorso di immaginari rigogliosi. Il risultato è un divertente viaggio colorato di lettura agile e bruciante.
Questa non è una storia di pirati
In realtà sotto la patina di spensierata avventura, si nasconde una storia fatta non di pirati, ma di archetipi: un racconto imbevuto di concezioni animiste e dell’eterno ritorno, immediatamente evidente sin dalla dichiarazione programmatica di apertura “questa non è una storia di pirati”, mentre sulla pagina si profila “l’inganno” di un vascello.
L’autore invita ad andare oltre le apparenze, e lo fa inscenando periodici siparietti comici con due bizzarri spettatori della storia: Mr. Quadrato e Mr. Tondo.
Con questo espediente diventano forti i riferimenti all’opera di Abbott, e si cerca di scavare oltre i limiti materiali del reale, legati ai sensi. Come in Flatlandia, dei personaggi bidimensionali (delle figure geometriche, in cui il quadrato fa la parte della mentalità più intransigente e chiusa, “squadrata”, e il cerchio di quella più malleabile), iniziano a rapportarsi con un narratore tridimensionale, che fa loro scoprire l’esistenza di altre dimensioni oltre a quella piana in cui vivono. In questo processo l’evoluzione è costante, ogni dimensione apre la strada per altre dimensioni e punti di vista.
È dunque il pluralismo di vedute, il caleidoscopio, la chiave di volta del racconto.
Durante la narrazione, frammezzata da racconti e leggende di un mondo antico, compare un enorme essere verde dalle fattezze umane. Questo essere, talvolta gentile e talaltra capriccioso e distruttivo, rappresenta la figura archetipica ambigua che potremmo identificare nel Dio/natura/anima.
Il suo colore verde, simbolo della natura con i suoi costanti cicli di rinascite, rappresenta l’eternità. Dunque la sua presenza incarna in primis la madre natura, in tutta la sua infantile spinta creatrice e dissolutiva, ma anche la divinità immanente che è in tutte le cose.
Anticamente infatti si riteneva che una sola cellula del nostro corpo, immaginata come una goccia verde, rappresentasse la nostra unica parte eterna: l’anima. Se il corpo decadeva, questa molecola restava intatta e proseguiva il suo cammino.
Ogni essere vivente avrebbe dentro di sé una parte di eternità, e per questo parteciperebbe dell’esistenza di Dio e del tutto: uno è tutto e tutto è uno.
La ricerca umana doveva dunque volgersi alla scoperta di questo dio interiore, per poi troncare ogni legame con la sua individualità e giungere alla coscienza impersonale del tutto.
L’approdo alla coscienza impersonale
Tale anima, sommersa dall’inconscio e dai sostrati della morale e dell’io, resterebbe sopita e quasi nascosta, a denotare la nostra paura nei confronti della parte più istintiva e primordiale che abbiamo dentro.
A tal punto giunge la riflessione di Salvemini da mostrare come questa bestia verde venga scoperta dai protagonisti e sfruttata per scopi abietti quali la depredazione e la conquista di intere città per ottenere tesori e ricchezze. I personaggi si dividono dunque fra chi scaccia questa creatura e la esilia, e chi pensa di poterla controllare sfruttandola per scopi utilitaristici, non mostrando mai qualcuno che provi a convivere con essa.
È a questo punto che il protagonista incontra l’essenza della creatura verde, una vera e propria divinità, che vive in un mondo pieno di monumenti antichi e gli mostra l’esistenza dell’anima.
La concezione proposta dall’autore è dunque panteista e parte dalle origini del cosmo. A seguito di un’energia iniziale proveniente dal nulla alcune particelle, le anime, si legano a corpi materiali di esseri viventi che sperimentano la vita dal proprio punto di vista, e sono spinte dalla curiosità per la scoperta di altre anime differenti e altri punti di vista.
Dall’unione di questo caleidoscopio di esperienze e visioni, in cui non esistono bene e male, ma solo diverse versioni personali di medesimi eventi, si forma un’unica entità verde, che nella sua unità racchiude la molteplicità delle visioni accumulate: un vero e proprio dio.
Questa supercoscienza ormai gravida, giunge a uno scoppio che porta alla morte della divinità e alla sua nullificazione, che è però solo un nuovo inizio, poiché il nulla di un mondo ne contiene un altro, in una sorta di matrioska.
Tale visione, che fa pensare a quella esoterica del dio pescatore – che vive il ciclo di sacrificio e rinascita –, non è legata a una divinità perfetta e fuori dalle cose, poiché perfezione significa immobilità in cui nulla deve essere aggiunto, e immobilità significa morte. Se dio è vivo, egli deve essere in continuo movimento e mutamento, e dunque transeunte, soggetto anche alla morte (come suggerisce l’uroboro che stritola il protagonista in copertina).
Dunque il ciclo che ogni anima compie, fino a ricongiungersi al tutto, è animato dalla curiosità per l’alterità, per la scoperta di ulteriori dimensioni che permettono di osservare lo stesso mondo con lenti che lo fanno sembrare di volta in volta totalmente differente; ed è ciò che muove i protagonisti: nel bene e nel male sono degli esploratori, dei curiosi avventurieri che compiono una ricerca, inizialmente materiale e poi interiore.
Contaminazioni: fra illustrazione, underground e platform game
L’enorme flusso di pensieri sopraesposto è convogliato in un immaginario visivo sfavillante, pieno di colori, in cui tutto è vivo e in costante mutamento: tant’è che i due spettatori si lamentano con l’autore del fatto che la nave della storia è sempre rappresentata in modo differente.
In questo mondo interconnesso, totalmente dominato dalla flora e dalla fauna, e in cui c’è bisogno di una guida (il narratore), che qui fa le veci del guardaparco di Safari Honeymoon di Jacobs, i disegni ondulati sembrano in costante vibrazione, una continua risonanza che si propaga di corpo in corpo, di oggetto in oggetto, portando al moto perpetuo.
Lo stile del libro ricorda spesso quello della fiaba illustrata per i toni e per la struttura delle tavole, concepite come unità solide: un’unica illustrazione a tutta pagina – come un blocco di marmo –, da cui l’autore scolpisce delle sottovignette, delle divisioni armoniche frutto di una geometria universale, sovente corrispondenti ad angoli, tangenti, raggi di un cerchio o partizionamenti di una figura euclidea. Gli spazi bianchi sono totalmente eliminati dalle tavole, dando l’impressione di grande compattezza, impreziosite da motivi che le incorniciano.
Le trovate grafiche son o spesso frutto di scelte originali, come il mostrare il gigante verde per la prima volta con una sequenza di singole parti del suo corpo e mai nella sua interezza, ad accrescere il senso della sua grandezza; a ciò si uniscono tavole che vanno nella direzione di un linguaggio contaminato da più codici, come avviene in alcuni raccordi fra vignette costituiti da buchi o tubi attraverso cui i personaggi passano, come in un platform game.
Ne deriva un racconto stratificato, solo in apparenza semplice, in cui Salvemini conduce per mano il lettore, avendo ben chiaro il messaggio che intende comunicare e mantenendo questo intento al centro della narrazione: la volontà era quella di una storia comunque leggibile e ben chiara, un esperimento del tutto riuscito.
Dopo un esordio così psichedelico, positivo e carico di significato, sarebbe stimolante in futuro vedere l’autore cimentarsi con un linguaggio fumettistico più strutturato e meno legato ai codici dell’illustrazione, oltre a una storia che, senza il timore di non apparire autoevidente, dia maggior fiducia alla capacità del lettore di andare oltre le apparenze.
Abbiamo parlato di:
Kaleido
Davide Bart Salvemini
Eris Edizioni, settembre 2018
152 pagine, brossurato, colori – 16,00 €
ISBN: 9788898644575
walter Chendi
7 Giugno 2019 a 15:54
Finalmente ho capito cos’è un fumetto!
Grazie, grazie mille.
la redazione
12 Giugno 2019 a 13:54
Non capiamo il commento ironico-polemico: il fumetto è tante cose, tanti stili, tante visioni, tante sensibilità, può essere sperimentazione e classicismo, innovatore o tradizionale, narrazione pura o astrattismo… che importa? L’importante è che lasci qualcosa o possa essere spunto per riflettere. Parliamo di tanti fumetti, di tutti i tipi.