Fante Bukowski di Noah Van Sciver è un’interessante riflessione sulla scrittura, profondamente intrisa di riferimenti metaletterari e anche, come diremo, metafumettistici.
La cosa è evidente fin dal titolo, che riprende lo pseudonimo che si dà il protagonista, inetto e velleitario aspirante scrittore: Charles Bukowski rappresenta l’ideale cui vorrebbe tendere, l’artista maledetto alcolizzato ma geniale. La copertina originale del fumetto addirittura riprende quella di Factotum, romanzo di Bukowsky, a rimarcare ancor più il collegamento e l’edizione del secondo volume italiano ha voluto imitare lo stilema, riprendendo le copertine dei tascabili Bompiani.
Fante Bukowski tuttavia fallisce nell’imitare il suo mito, apparendo così uno scrittore fallito modellato sull’Arturo Bandini di John Fante, in un ritratto ancora più crudele (e, rispetto a Fante, più monodimensionale e caricaturale). La prima tavola del primo romanzo a fumetti, una splash che mostra il personaggio, si apre con un’impietosa citazione da Stephen King, che è l’antifrasi del protagonista: “i dilettanti aspettano l’ispirazione, noialtri semplicemente ci alziamo e andiamo a lavorare” (King è, non a caso, il modello dello scrittore “professionale”, opposto al tardo mito romantico incarnato dal mito di Bukowksi o di certe figure della beat generation).
Il fumetto iniziale prosegue poi con la presentazione della vita di Fante Bukowski da marginale senza speranze all’interno del sottobosco letterario, descritto con caustica precisione. Il tutto punteggiato con citazioni, stavolta, di autori a cui il protagonista mira disperatamente ad assomigliare: Ernst Hemingway, Kurt Vonnegut (che in Kilgore Trout aveva creato un’efficace maschera di scrittore fallito, sul viale del tramonto, nel secondo volume diviene il nome di una libreria) e altri. La storia prosegue con un prevedibile calvario di insuccessi fino al crollo finale.
La narrazione di Van Sciver, in contrasto con il suo velleitario protagonista, narratore e poeta sperimentale, è piuttosto regolare, usando una griglia su tre striscie molto leggibile e convenzionale, salvo l’espediente delle vignette dai margini irregolari, per suggerire una distanza dal fumetto “tradizionale”. Anche il segno, salvo un tratteggio similmente nervoso e volutamente approssimato, è chiaro ed efficace nel rendere i vari personaggi con impietosa resa caricaturale: velleitari scrittori alternativi, veri e disperati membri dei bassifondi, rampanti editor dell’elite libraria.
Lo stile rimanda alle scelte dell’underground americano, e ricorda in particolare il Gilbert Shelton dei Freak Brothers, citato in modo ancor più evidente nel secondo albo. Come l’underground, il segno di Von Sciver appare una decostruzione di un tradizionale tratto cartoonistico (con tanto di citazioni deformate dai fumetti convenzionali: il giovane yuppie che lavora nello studio del padre di Fante Bukowksi ha, ad esempio, il volto di Archie, il principale personaggio di Archie Comics, fumetti per ragazzi in voga negli anni ’40 e ’50).
Il secondo volume continua a infierire sulle disavventure di Fante Bukowski, che si è spostato di città ma rimane intrappolato nello stesso milieu senza riuscire ad emergere. Il volume rimarca ancor più evidente il parallelismo con l’Arturo Bandini di Fante, mettendo il protagonista al centro di un ciclo letterario, e non di un singolo volume.
A tratti, le pur gustose situazioni risultano anche un po’ ripetitive: l’unica grossa novità è il fatto che Fante Bukowski, invece di elemosinare una impossibile pubblicazione, si autoproduca con esiti ovviamente disastrosi. Intanto la sua vecchia fiamma si fidanza con lo stesso Van Sciver, offrendo l’occasione per un ulteriore incastro metanarrativo.
Van Sciver si raffigura infatti all’interno dell’opera con impietosa autoironia, trasformandosi in uno dei tanti ambiziosi letterati in cerca d’autopromozione, appena un po’ più di successo del fallito protagonista.
A parte queste variazioni sul tema, il secondo romanzo continua a mantenere la piacevolezza di lettura del primo, ma in sostanza riprende il discorso del precedente volume senza significative variazioni.
Tuttavia, con un brillante plot twist finale, Fante Bukowski azzecca – in modo del tutto inconsapevole – una mossa spregiudicata nello spietato mondo letterario in cui si muove, e sfruttando involontariamente una preziosa informazione, lasciando presagire un possibile terzo volume segnato dall’arrivo di un relativo successo per il protagonista.
Il merito di Von Sciver in questo ciclo è quello di riuscire nella non facile impresa di effigiare in Fante Bukowski un incapace totale, e tuttavia suscitare nel lettore una simpatia di fondo per questo caparbio inetto in una società letteraria ossessionata dal profitto fine a sé stesso, in mano a rapaci squali che hanno trasformato il Parnaso in Wall Street.
In questo modo, dietro la divertente e spietata satira del tragicomico antieroe, passa una più sottile critica alla scena letteraria e, forse, a un secondo livello, anche fumettistica: quel fumetto che si vuole sdoganare nei salotti buoni, come lo stesso Van Sciver personaggio fa nel secondo volume.
Ma sarà necessaria la chiusura del ciclo per poter davvero trarre le somme su questo efficace affresco metanarrativo.
Abbiamo parlato di:
Fante Bukowski #1 e #2
Noah Van Sciver
Traduzione di Stefano Secchitella
Coconino Press, 2017 e 2018
80 e 176 pagine, cartonato, a colori, 16,00 € e 19,00 €
ISBN: 9788876183003 e 9781683960010