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    Il fumetto come esperimento: intervista a Brandon Graham

    Abbiamo intervistato Brandon Graham, ospite a Lucca Comics 2016 per Panini Comics, e abbiamo parlato con lui degli esordi, delle sue opere e del suo futuro.

    tumblr_n02qin3mx01qj97xmo1_1280Brandon Graham, classe 1976, nasce in Ohio e cresce a Seattle, Washington, dove entra in contatto con il mondo del fumetto e dei graffiti. Influenzato da una miriade di fonti diverse, dai manga al fumetto europeo passando per l’underground statunitense, esordisce in Antartic Press, per poi lavorare con la Oni Press e la Image Comics, realizzando opere come Multiple Warheads, King City, Prophet, che lo consacrano come una delle più interessanti voci fuori dal coro del mainstream americano. Lo abbiamo intervistato su progetti passati e presenti e sulla sua visione del fumetto statunitense.

    Ciao Brandon e grazie per la tua disponibilità. Parto con una domanda banale ma necessaria: quando hai capito che il fumetto sarebbe stato la tua forma espressiva prediletta, dopo aver mosso i primi passi come graffiti artist?
    Ho sempre voluto essere un fumettista, dissi a mia madre che avrei voluto passare la mia vita a fare quello. Entrare in contatto con il mondo dei graffiti è stato qualcosa di connesso all’ambiente in cui vivevo, non conoscevo molti fumettisti a Seattle, mentre conoscevo molti graffiti artist. È stato comunque interessante, il mio sistema di pensiero e di credenze è legato a quel mondo, a volte non sempre trasferibili a quello del fumetto. È stato interessante entrare in una comunità artistica e crescere al suo interno. Poi sono riuscito a venire pubblicato intorno ai 19 anni da una piccola casa editrice, la Antartic Press. Però ho iniziato a vivere scrivendo fumetti solo alla fine dei venti/inizio trent’anni, quindi all’inizio lo facevo più per me stesso che non per vivere.

    All’inizio della tua carriera ti sei mosso nel circuito underground e hai sperimentato molto, dal fumetto erotico a quello fantascientifico. Quali sono state le influenze che ti hanno inspirato e spinto in molte direzioni diverse?
    Sono stato molto fortunato ad avere un fratello maggiore che leggeva fumetti. Anche i miei genitori lo facevano. Mia madre aveva addirittura un lucido da scarpe dell’Uomo Ragno che usava al college, mentre mio padre leggeva molti fumetti underground, quelli di Gilbert Shelton e Captain Piss-Gums (and his Pervert Pirates, di S. Clay Wilson), di cui mi parlava sempre anche quando ero troppo piccolo per capire. Anche le riviste di Heavy Metal erano sempre lì, con i lavori di Moebius e altri. Ho scoperto Milo Manara quando ero probabilmente troppo giovane. E poi anche tutti i fumetti giapponesi: a Seattle c’era e c’è tuttora una grossa comunità giapponese e quando andavo al negozio di prodotti asiatici, cercavo sempre i grossi settimanali manga, come Dragon Ball e altro.

    In effetti questa grossa influenza warheadsmanga si vede in Multiple Warheads.

    Sì, esatto!

    Sempre parlando di Multiple Warheads, oltre alle influenze orientali sopra citate, mi è sembrato di vedere anche spunti della fantascienza “sociale ” italiana degli anni ’80, quella di Ranxerox di Tamburini, per citare l’opera più famosa. Come è nata l’idea per questa tua storia?
    Sì, conosco Ranxerox e quelle opere. Passando a Multiple Warheads, all’inizio l’unico modo di venire pagato era quello di fare fumetti pornografici. Ma a parte il dover mostrare scene di sesso, avevo completa libertà in questi fumetti: all’editore non interessava cosa facessi in quei fumetti. In quel periodo era tutto un po’ strano, vivevo a New York immediatamente dopo l’undici settembre e l’attacco al World Trade Center, la sicurezza era molto alta, c’erano soldati nella metropolitana con i fucili, davvero surreale. Quindi ho iniziato il primo capitolo di Multiple Warheads, ambientato in una Russia immaginaria dietro la cortina di ferro. Era un po’ come fare terapia artistica per parlare di queste cose difficili, anche se era strano farlo in un fumetto porno. Questa era l’idea di base, questa donna che sgattaiola dalla sicurezza, passa attraverso i controlli (e questo accadeva spesso a New York in quel periodo) e regala un pene di licantropo al suo ragazzo per il compleanno, e questi si trasforma anch’esso in un licantropo. Adesso suona ridicolo, cercando di spiegarlo! (Ride)

    prophet-marian-coverPassando a Prophet, questa è stata una vera sorpresa per tutti i fan che ricordavano il personaggio degli anni ’90. Una totale riscrittura che pesca a piene mani sia dai romanzi degli anni ’50 che da un gusto tipico della fantascienza europea, in particolare quella di Metal Hurlant. Prima di tutto mi piacerebbe capire perché tu e la Image avete scelto di rivitalizzare questo personaggio in questo modo e in particolare come avete lavorato tu e il disegnatore per realizzare questo progetto.
    Inizialmente Eric Stephenson (CEO della Image) aveva pensato di rilanciare due o tre vecchi fumetti che Rob Liefield aveva realizzato all’inizio della storia Image. Penso che all’inizio volesse James Stokoe per rilanciare Prophet, ma lui rifiutò. Quando chiese a me, rifiutai anche io, perché non mi vedevo a lavorare su quello: ero impegnato con Multiple Warheads al tempo e non volevo fare nient’altro. D’altro canto, una cosa che mi è sempre piaciuta,  è pensare a cosa avrei potuto fare con un’opera preesistente: spesso io e i miei amici ci sedevamo e iniziavamo a parlare di cosa avremmo fatto con Aquaman, per esempio, trasformandolo in qualcosa che ci sarebbe piaciuto leggere. È stato divertente pensare cosa avrei voluto fare con Prophet e a quel punto il mio amico Joe Keatinge mi ha suggerito di scrivere e lavorare con il mio amico Simon (Roy) e vedere cosa succedeva. È stato un azzardo, Simon è ben più giovane di me e al tempo stava per iniziare a lavorare come macellaio, perciò per me è stato facile fargli questa proposta. Quando il Prophet originale usciva a metà anni ’90, io ero molto frustrato dalla scena mainstream del fumetto americano, perciò molto del lavoro è stato trasformare un qualcosa che non mi piaceva quando ero giovane in qualcosa che avrei voluto leggere adesso che ero adulto, quindi avrei dovuto togliere molte cose e creare qualcosa di nuovo. Il Prophet originale aveva un tono molto religioso, cristiano, e noi abbiamo tolto tutto questo e tenuto solo qualcosa. E poi abbiamo iniziato a pensare a cosa potrebbe accadere a un supereroe che sopravvive diecimila anni dopo la fine dell’umanità. È stato molto divertente vedere cosa sarebbe successo. Sono anche stato in grado di ingaggiare alcuni miei amici e altri sono diventati amici durante il percorso. Conoscevo Simon Roy, Farel (Darlymple) ed io siamo amici dal 2000, Giannis (Milogiannis), che ha fatto la maggior parte del lavoro, è stato coinvolto perché ho conosciuto le sue opere su internet più o meno nello stesso tempo in cui ho conosciuto Simon. L’idea di mostrare ogni versione e ogni punto di vista con un diverso artista era interessante, usare lo storytelling piuttosto che lo stile e la linea per creare una connessione, anche se non mi piace mai molto quando un artista cambia durante la serie. Prophet è stata comunque un’esperienza che ha creato forti legami, ognuno di noi ha un tatuaggio di Prophet, io sull’avambraccio, Farel dietro al braccio, Simon sulla spalla.

    Quindi è stata veramente un’esperienza di vita!prophet-tattoo
    Sì, e la maggior parte dei tatuaggi è stata fatta da Joseph Bergin III, che ha colorato la serie. Quindi si è formato un bel gruppo di persone!

    Dopo la fine di Prophet, hai intrapreso due progetti interessanti in casa Image: l’antologico Island e 8house. Partendo da Island, vorrei chiederti come si inserisce un antologico del genere in un mercato che ad oggi si basa sempre meno sulle uscite mensile e si sta sempre più spostando su quelle TPB da fumetterie?
    Non penso sia adatto al mercato, riflette ciò che vorrei leggere io quando vado in negozio. Quindi c’è un sacco di lavoro dietro per far sì che ogni fumetto che c’è dentro sia qualcosa che io o la mia amica Emma Rios (co-supervisore del progetto) saremmo felici di leggere e facciamo in modo che sia il più denso possibile, con 30 pagine per ogni storia vendute a un prezzo onesto. Il prezzo medio di un fumetto è 4 dollari, noi vendiamo 72 pagine per 7 dollari, mettendo insieme un gruppo di fumetti divertenti che non potreste mai vedere in questo formato a questa distribuzione. All’inizio abbiamo selezionato soprattutto autori unici, perché la Image di solito si focalizza su scrittore e disegnatore separatamente e poi li mette a lavorare insieme con cadenza mensile, mentre Island è una scusa per far realizzare ad un autore unico testi, disegni, colori, lettering, tutto da soli, e pubblicare quando hanno finito, senza una scadenza mensile, poiché molti artisti lavorano sull’antologico. È un esperimento e spero rimanga ancora in circolazione, perché in passato negli USA se un artista voleva creare un fumetto, spesso doveva iniziare lavorando con uno sceneggiatore e provare di valere prima di venire fuori. Penso che sia veramente frustrante, quindi ho voluto tagliare l’intermediario, chiedere alle persone quale fosse il loro sogno e aiutarli a realizzarlo. Ci sono ovviamente molte persone a cui piace collaborare, ma c’è molto spazio per queste collaborazioni e purtroppo molto poco per fumettisti che vogliono sperimentare, in questo momento.

    island_magazine

    8House rappresenta invece il tentativo di sviluppare un universo condiviso formato da storie molto diverse tra loro per rappresentazione e narrazione, un equilibrio tra coerenza e libertà espressiva. Quali sono le difficoltà di questo progetto?
    Beh, 8house come progetto non esiste più, ma i fumetti individuali continuano. Di nuovo, questa era una scusa per me per mettere insieme fumettisti e sceneggiatori sotto un’unica etichetta. Penso che l’idea di universo condiviso fosse un po’ confusa, quindi adesso le storie sono separate.

    Quindi adesso ognuno è per la sua strada…
    Sì, questa era solo l’idea iniziale, un cosiddetto universo condiviso come la Marvel era all’inizio. Non penso che all’inizio gli X-Men e Thor fossero in universi drasticamente diversi, e andando avanti hanno cercato di unirli insieme. Quindi l’idea era di non mettere troppe restrizioni nel mezzo, abbiamo detto solo “facciamo un fumetto di fantasia” e poi creiamo un universo e discutiamo come funziona. Sono sempre curioso ed eccitato nell’iniziare qualcosa e vedere cosa succede quando metti insieme vari creatori e gli dai libertà. A volte funziona, a volte no.

    Quindi un po’ tutta la tua esperienza di fumettista può essere descritta come una continua tendenza a sperimentare.
    Sì, assolutamente.

    Ultima domanda di rito: a fianco di questi due progetti, c’è altro che frulla in quella tua imprevedibile testa?
    Ho finito tutti i miei impegni di scrittura, ho appena concluso di scrivere l’ultimo numero di Archlight 8House, e anche Prophet è finito. Adesso sto finendo Multiple Warheads e sto lavorando ad un nuovo fumetto di fantascienza che parla di -suona sempre strano quando lo descrivo- un supercriminale che scarica il suo cervello nel corpo di un maggiordomo. È uno strano universo distopico popolato da immortali e con una moda tipica degli Stati Uniti degli anni ’20. È molto divertente, il mio editore mi ha chiesto qualcosa di simile a King City, con un inizio e una fine, visto che Multiple Warheads è ancora tutto in divenire. Sta venendo fuori una cosa diversa da King City, ma sto cercando di sperimentare e giocare un po’ con una storia molto strutturata e con le aspettative dei lettori. King City era molto “mio”, mi prendevo gioco di una avventura di tipo standard, adesso voglio muovermi verso altre direzioni… e vedere se riesco a dargli un senso! (Ride)

    Grazie mille Brandon!
    Grazie a voi.

    Intervista realizzata live a Lucca Comics 2016 il 29 ottobre 2016

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