Asso, ovvero l’iperbolica manifestazione mortale di Roberto Recchioni

Asso, ovvero l’iperbolica manifestazione mortale di Roberto Recchioni

Asso di Roberto Recchioni è un’autobiografia? Se sì, quali aspetti della sua vita e della vita di tutti mette in luce e in discussione? Proviamo a rispondere in un’analisi che interroga lo stesso autore.

Premessa

Leggendo Asso, il nuovo fumetto di Roberto Recchioni recentemente pubblicato da NPE, ho riflettuto a lungo sull’opportunità di scriverne e, in caso affermativo, di farlo in modo serio. Facendo finta che esso rappresenti una reale opportunità di conoscenza, di incontro con l’autore, con il suo percorso personale, con la sua manifestazione sulla terra (il termine esoterico sarà chiaro più avanti). Esistono due alternative altrettanto valide: non parlarne; parlarne in modo leggero e superficiale. La scelta è condizionata dal tentativo di rispondere alla domanda se Asso rappresenti o no un libro (pseudo)autobiografico di Roberto Recchioni, e, ancora, se i temi in esso trattati (malattia; morte; vita; sesso; arte; fumetto…) legittimino alcune riflessioni importanti, che sono certamente al centro della vita di ogni essere umano.
Decido che sì, ne vale la pena. E per questa semplice ragione, Asso rappresenta per il sottoscritto una bella opportunità anche se, come si leggerà più avanti, mostra alcuni limiti significativi sul piano più strettamente artistico.

 

Primo vertice: Meifumado

Se Asso ha un pregio immediato, per il sottoscritto, è quello di avermi ricordato Lone Wolf and Cub (Lupo Solitario e il suo Cucciolo), l’opera immortale di Kazuo Koike e Goseki Kojima. Il libro di Recchioni parte dal cuore di questo manga, il Meifumado, che non è un luogo (semplicisticamente l’inferno giapponese), ma una via, una strada, forse, più appropriatamente un non-luogo.
Ecco come lo stesso Recchioni lo descrive in una recente intervista:

Camminare nella via del Meifumado, (l’inferno nella cultura Giapponese, dove il concetto ha una valenza completamente diversa dalla nostra), significa camminare in mezzo alla morte e quindi apprezzare la vita. Essere pronti, in qualsiasi momento, a morire. Senza alcun rimorso o rimpianto. Perché si è agito sempre con la massima intensità.

Ma il Meifumado, nell’ottica del non-dualismo zen e della ricerca della libertà (mi si perdonino le semplificazioni), pratica in modo sistematico la rinuncia di qualunque piacere del corpo e della mente: si mangia quel che serve a sopravvivere, senza ricercare il piacere del gusto; si dorme per poter avere le forze per la propria missione il giorno dopo; si lascia spegnere la fiamma di qualunque passione; e così via. Portata alle estreme conseguenze, la via del Meidumado porta all’estinzione dell’io. Il punto di inizio e di fine di molte discipline orientali, in particolare quella zen.
Il primo vertice su cui è costruito Asso è quindi una (voluta?) distorsione del concetto di Meifumado, che da estinzione dell’io si trasforma in piena esaltazione dell’ego e dei suoi piaceri.

 

 

Secondo vertice: Malattia

Il secondo vertice sembra motivare la deriva del primo, ovvero la malattia. Nella nostra cultura occidentale, la malattia è un evento traumatico che produce un inceppamento, una rottura di un equilibrio che ci si illude essere eterno. Il malanno, grande o piccolo, in una società tutta votata alla prestazione e all’eccellenza, è un enorme disturbo, che va eliminato, sradicato il prima possibile, perché sembra violare i principi base che regolano l’accettazione dell’individuo nella comunità.
Secondo la prospettiva olistica orientale, che trova le sue radici nella Medicina Cinese Classica, la malattia è invece un’opportunità: impone il cambiamento, la necessità di osservarsi e comprendere le origini del disturbo, per trovare una strada nuova, che riconduca alla naturale omeostasi che la natura offre, su cui è basata l’esistenza dell’essere umano (e della vita tutta). Ma la malattia, specie se grave, in qualunque forma, smuove l’immaginario legato alla paura dell’annientamento, della morte. In questo caso, quindi, la morte dell’io inteso come entità presente sulla terra in questa vita.
Asso parte dalla malattia, attraversa il concetto (distorto) di Meifumado per raccogliere un insegnamento importante: vivi ogni momento come fosse l’ultimo. Un concetto che si avvicina, anch’esso, a un tema molto amato dalle discipline zen: vivi pienamente il momento presente, perché è l’unico che realmente esiste (come ha potuto comprendere chiunque abbia passato del tempo insieme ai bambini piccoli). Si avvicina, ma ne rappresenta il lato egoico e inverso: vivi ogni momento come fosse l’ultimo, in Asso, sembra tradursi in “prendi in mano la tua vita e goditela fino all’ultimo momento”.
Di nuovo, dall’estinzione dell’io delle discipline zen, all’esaltazione dell’ego.

 

Terzo vertice: Sessualità

Solo all’interno di questa prospettiva egoica (il Meifumado come potenza; la risposta alla malattia come godimento della vita fino in fondo), è possibile comprendere la svolta pornografica del libro e della vita dell’autore in esso rappresentata. Il sesso è l’esaltazione dell’io, il pieno appagamento, la concentrazione di tutte le energie e sensazioni nel culmine dell’orgasmo. Su un piano spirituale, rappresenta anche la forma più immediata di assaggio dell’assoluto. Soprattutto, è un’ottima risposta dell’io alla paura della morte, al timore di scomparire, perché nella sessualità si esercitano (onni)potenza, controllo e illusione dell’immortalità.
Il conflitto fantasmatico della malattia che in Asso si pone come punto di inizio (ciclicamente ricorrente, purtroppo) esige una reazione, una risposta che si sposta sul piano concreto nel “fotti più che puoi” (distorsione di godi la vita fino all’ultimo momento). Purtroppo, la sessualità è anche una grande illusione dell’io, perché dà un appagamento solo temporaneo e richiede una continua, inesausta ricerca, che può portare alla nevrosi e all’esaurimento (favorendo, di nuovo, l’insorgere della malattia).
Non sorprende, inoltre, che la ricerca della soddisfazione sessuale passi attraverso modalità chiaramente misogine, che richiedono l’umiliazione della donna. Il fantasma dell’onnipotenza lo prevede, così come, in chiave meno psicodinamica e più sociale, lo prevedono anche i riferimenti culturali e visivi che maggiormente si sono affrancati negli ultimi decenni. La pornografia, per sua stessa natura, porta all’esasperazione dei rapporti e delle relazioni, trasformandoli in finzioni narrative, o loro frammenti, nei quali il maschio rappresenta sia il destinatario che il principale referente.
Ciò non toglie che la pornografia nelle sue pieghe misogine, non abbia la donna come felice e soddisfatta complice o controparte. È un banale meccanismo di incontro basato sulla proiezione e l’identificazione, nel quale la donna/femmina si appropria dell’immaginario maschile per diventarne protagonista.
La misoginia sessuale annulla illusoriamente il rapporto con la propria parte profonda ricettiva, più debole, si direbbe con un termine impreciso, più sensibile e fragile. L’Yin della Medicina Cinese Classica, o l’Anima secondo l’analisi psicanalitica di Jung, è una parte viva e fondamentale nel profondo di ogni essere umano, uomo o donna che sia, che dovrebbe trovare un equilibrio con la controparte maschile (Yang o Animus). Nella ricerca della soddisfazione sessuale di Asso, la sensibilità femminile, se c’è, è strumentale alla possibilità di entrare in relazione con la controparte, con la donna (oggetto) che incarna la possibilità della soddisfazione del bisogno primario.

 

Quarto vertice: il Maestro

Il successo sessuale di Asso passa attraverso la sua visibilità come Maestro fantasmatico di un’arte o, forse più propriamente, di un mestiere che richiede visibilità, esperienza e determinazione: il fumetto. Il Maestro Asso conquista le sue donne (oggetto) attraverso il potere conquistato in un ambito, un settore nel quale è diventato punto di riferimento riconoscibile e vincente. È questo, a mio avviso, il vertice più interessante dell’intero libro, dove davvero tutte le forze messe in campo dal Recchioni reale convergono: dare forma e sostanza alla mitologia di Asso. È da questo punto di vista che il meccanismo narrativo si reinventa attraverso le sinergie con tutti gli strumenti meta comunicativi che l’autore sa abilmente utilizzare. Questo l’elemento di grande novità, che è inscindibile da qualunque valutazione su Asso.
Ma pone una questione critica essenziale, quanto complessa: qual è la reale portata di Asso come fumetto, ripulito l’effetto alone derivante dai diversi strumenti mediatici, dai paratesti e dagli ipertesti che vi ruotano intorno?

 

Asso di cuori o due di picche?

Da un punto di vista strettamente narrativo, Asso è un fumetto semplice nella scrittura, nell’impostazione e nel disegno. Si potrebbe dire furbo o, più coerentemente con quanto espresso sopra, seduttivo. Asso vuole esplicitamente sedurre il lettore, ma non il lettore qualunque. Quello che è già stato catturato o incuriosito dal fascino di Roberto Recchioni. È su questo piano che il libro sviluppa un cortocircuito emotivo con il lettore, che si identifica e partecipa. E gli spunti, i presupposti per questa identificazione sono diversi: il giovane autore che vorrebbe essere come Asso/Recchioni; la lettrice che vorrebbe essere amata da Asso/Recchioni; il lettore che vorrebbe partecipare alla grande festa che sembra essere diventata la vita di Asso/Recchioni (fotti più che puoi); la giovane autrice donna che vorrebbe essere formata (ammaestrata?!) dal Maestro Asso/Recchioni.
Il lettore immune o all’oscuro di tutto ciò, potrebbe più facilmente essere colpito dalla banalità di alcuni passaggi narrativi (il più debole, in questo senso, la breve storiella della gabbia) ed annoiato dalla ricorsività dello schema. Ciò anche alla luce del fatto che l’elemento pornografico, in Asso, non riesce realmente a catturare l’immaginario del lettore, non erotizza, non riesce a stimolare le fantasie sessuali. Neppure riesce a provocare o, in qualche modo, a stupire. Siamo di fronte a una semplice rappresentazione stereotipata di un certo modo di pensare alla sessualità. Approccio probabilmente voluto dall’autore, ma che si rivela controproducente.
Il riscatto, parziale, del lavoro, nasce da altri due elementi: l’ironia e la leggerezza grafica. Asso è un fumetto ironico, auto-compiaciuto ma anche divertito. L’egomania dell’autore è talmente accentuata da diventare in più momenti caricaturale. Trovo, in questa dimensione, una buona e leale consapevolezza da parte di Recchioni. La forza, la pregnanza delle riflessioni di cui sopra non sono ridimensionate da questa attenzione, perché rimangono centrali in tutta la narrazione. L’ironia consapevole tuttavia riesce a fare di Asso una lettura piacevole, quando il rischio era di trovarsi rinchiusi in un cortiletto sterile di vuoto autocompiacimento. U

n successo parziale, come detto, perché non risolve le problematiche connesse alla centralità di quell’io e alla banalità di certe situazioni.
Quella che ho chiamato “leggerezza grafica” è infine la componente più apprezzabile del libro. In un approccio quasi bulimico, Recchioni reinventa un proprio stile grafico che assimila di tutto (dal cartoon al manga a Pazienza a…) in un approccio che trovo felicemente leggero. Non ancora chiaro, non ancora determinato e coerente. In evoluzione, ma chiaramente in un processo di ricerca che trovo quanto meno apprezzabile. Il risultato non è ancora a livelli pienamente soddisfacenti, ma la ricerca divertita e curiosa che vi si legge dietro merita attenzione e sostegno.

 

Conclusioni

In definitiva, mi è piaciuto Asso come fumetto? Ammetto di no. Ma le sollecitazioni nate da questa manifestazione terrena di Roberto Recchioni meritano qualche riflessione in più delle solite che mi sembra stiano invadendo la rete, e che cadono religiosamente nello schema ideologico del tifo per una o per un’altra parte.

 

Abbiamo parlato di:
Asso
Roberto Recchioni e AAVV
Nicola Pesce Editore, 2012
128 pagine, cartonato, colori – 15,00€

1 Commento

1 Commento

  1. Luigi Galieni

    27 Novembre 2012 a 11:00

    La recensione mi pare seria ed interessante.
    Non capisco quindi il preambolo interlocutorio che usa frasi come “Facendo finta che…” oppure “due alternative: non parlarne o parlarne in modo leggero e superficiale”.
    Evidentemente la terza via esisteva ed è stata praticata. Grazie per averlo fatto.

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *