I fans di Alita, cyborg guerriera ideata dal mangaka Yukito Kishiro, aspettavano da anni la trasposizione cinematografica del manga, pubblicato integralmente per la prima volta in Italia in diciotto numeri sul finire degli anni Novanta da Planet Manga.
I rumor su un possibile adattamento sul grande schermo da parte del visionario regista di Avatar, James Cameron, si sono inseguiti a partire dal 2003, ma per i tanti impegni del regista il lavoro è stato procrastinato per anni. Fino al 2015, quando Cameron annuncia di aver scritturato Robert Rodriguez per dirigere la pellicola, mentre lui stesso e Jon Landau ne sarebbero stati i produttori. Rendendo ancora più “pulpitante” l’attesa degli appassionati.
Le riprese cominciano nel 2017 e il 14 febbraio del 2019 abbiamo potuto finalmente immergerci nel mondo post-industriale, cyberpunk e meccanico della città sospesa, Salem (Zalem nel film), e della metropoli-discarica di sotto (La Città di Ferro), nell’universo di Alita e del dottor Daisuke Ido.
Fin dai primi fotogrammi sembra di tornare fra le pagine del fumetto, con tutta l’emozione del colore in luogo del bianco e nero molto potente che caratterizzava la versione manga. Il film comincia con il ritrovamento nell’immensa discarica del moncherino, poco più che un mezzo busto sprovvisto di arti, di Alita (Rosa Salazar) da parte di Ido (Christoph Waltz). Le immagini di film e fumetto si possono quasi sovrapporre. Non è Alita il suo vero nome: la ragazza meccanica non ricorda nulla della sua vita passata, avvenuta probabilmente fra i duecento e i trecento anni prima, nel periodo della Grande Guerra e della Caduta, in cui solo Salem è rimasta in piedi fra tutte le città sospese nel cielo.
Il film opera una sintesi e rimescola le carte del manga per arrivare a un nucleo narrativo coeso, dinamico e ricco d’azione. Se nel fumetto il nome Alita è un omaggio al gatto di Ido, morto poco tempo prima, nel film è il nome della figlia del dottore, barbaramente uccisa da un tossico criminale curatosi nella clinica/officina di Ido. La fusione e il riadattamento del fumetto per trasformarlo in una narrazione cinematografica compatta è stata operata da Rodriguez stesso, ed è veramente incredibile come, nonostante le tante differenze, si ritrovino molto spesso dei fotogrammi identici ad alcune vignette, anche alle più dinamiche.
Penso per esempio all’attacco notturno della cyborg ai danni del dottor Ido, immortalato nella sua veste di cacciatore di taglie, allo scontro fra Yugo (nel film Hugo, interpretato da Keean Johnson) e Zapan (Ed Skrein), il cacciatore narcisista, in cui quest’ultimo gli infila le dita d’acciaio nella spalla, alla rissa al bar o nei sotterranei e tante altre scene topiche e drammatiche, non ultima quella dell’ascesa di Alita e Hugo verso Salem.
L’aspetto più squisitamente cyberpunk, il declino della società cooperativa e le droghe che compaiono in maniera massiccia nell’opera di Yukito Kishiro, rendendo il fumetto una vera perla di genere, vengono tralasciate a favore di azione e battaglie, in uno sviluppo estremamente realistico della tecnica di lotta di Alita, il Panzer Kunst, studiata circa trecento anni prima per la programmazione dei prototipi di cyborg guerrieri, di cui vi è ampia memoria nel nucleo cerebrale della cyborg.
L’Angelo della Battaglia è dunque innanzitutto un film action. Anche le sfide del violentissimo sport denominato Motorball sono funzionali a questo aspetto. Così, nella resa visiva dell’immenso stadio pieno di spettatori in visibilio per l’evento non viene mai meno l’aderenza all’opera originale e al dinamismo dei corpi. Cyborg e mecha, uomini in armature robotiche, armi scintillanti, make-up selvaggio, catene semoventi, lame e ruote letali sono elementi fondamentali della narrazione, la cui crudeltà viene in parte smorzata dalla ironica (e azzeccatissima) cronaca sportiva della gara di Motorball doppiata in italiano da Guido Meda, l’iconica voce televisiva delle cronache delle gare di MotoGP.
Affinità e divergenze fra pellicola e manga
Il purismo a tutti i costi e la fedeltà all’opera, quando si parla di adattamenti da un medium all’altro, non sono mai una buona idea. Un professionista della pellicola quale è Rodriguez, che già in passato ha lavorato su adattamenti di questo tipo (come l’ottimo Sin City tratto dall’omonima serie a fumetti di Frank Miller) ovviamente ne è ben conscio.
Alita: Angelo della Battaglia non è quindi un riassunto visivo del manga; presenta blocchi narrativi, scene e personaggi presi dall’originale ma riadattati per un contesto e per una storia che in parte se ne discostano. L’enigmatico Desty Nova (Edward Norton) compare nel film, almeno come entità che de facto guida le sorti degli altri personaggi, fin dalle prime scene: nel fumetto arriva molto dopo, anzi non ha quasi a che fare con i personaggi negativi e i villains che compaiono nella pellicola e nei primi numeri di Alita, come il gigante Makaku (nel film Grewishka, interpretato da Jackie Earle Haley) che è originariamente un cane sciolto che va a caccia di cervelli da cui sintetizzare endorfina; il cacciatore Zapan o l’allibratore Vector (Mahershala Ali, fresco di Oscar come miglior attore non protagonista per Green Book). Nel film compaiono anche la figlia e la moglie del dottor Ido, Cherin, quest’ultima interpretata da una sempre elegante Jennifer Connelly, che nel manga non esistono.
La sintesi riguarda quindi anche il background dei personaggi: si è cercato di trattenere gli spunti presenti nell’opera originale in una sorta di “upgrade” dei protagonisti, fissandovi alcune caratteristiche che nel manga sono proprie dei comprimari. Alcuni character importanti nel fumetto sono d’altra parte relegati al ruolo di comparse, come il cyborg samurai e Murdock, il cacciatore di taglie con i tre cani meccanici al seguito: è comunque notevole la volontà di non dimenticare neppure per un momento la bibbia grafica di Kishiro. Il film si chiude più o meno al volume #6 del manga italiano, con una sorta di cliffhanger che fa presagire un sequel.
Effetti speciali e animazione 3D
L’effetto speciale che più salta all’occhio, e che ha fatto storcere il naso a più di una persona quando è stato lanciato il primo trailer, sono indubbiamente i grandi occhi in stile manga con cui si è scelto di distorcere il volto dell’attrice protagonista, Rosa Salazar, per rendere ulteriore omaggio all’opera da cui prende vita la pellicola. Fin dalle prime scene del film lo spettatore si rende però conto che quei grandi occhi sono solo uno degli aspetti curati con la computer graphic, che tocca in questo film delle vette molto alte grazie alla collaborazione con Weta Digital, azienda neozelandese specializzata in motion capture e visual effects (oltre ad Alita, hanno curato il settore in Avatar, Game of Thrones, Deadpool 2, Avengers: Infinity War e Planet of the Apes, tanto per citarne alcuni).
Le immagini digitali e quelle realistiche sono perfettamente integrate fra loro, tanto che lo spettatore, una volta immerso nella storia, perde quasi la capacità di scindere fra ciò che è reale e ciò che è frutto della tecnologia, in una sorta di sospensione dell’incredulità che risponde alla volontà di godere a pieno di una storia fantastica, termine inteso in senso letterario e narrativo più che come mero aggettivo. CGI e recitazione sono così unite che si è portati a vedere Alita come un’umana, con tutte le sfumature emotive che questo comporta, più che come una cyborg o un’entità artefatta: anche in questo si centra la poetica dell’opera originaria, in cui l’angelo della battaglia è alla continua ricerca della sua identità, del suo io più profondo, dell’umanità perduta.
Il film è costato alla produzione ben 200 milioni di dollari, che possono sembrare molti ma in realtà hanno dato vita a uno spettacolo visivo unico, a una sorta di realtà aumentata, più che a un mondo onirico in cui lo spettatore è consapevole di trovarsi in una realtà “altra”. I pareri della critica sono contrastanti e non del tutto positivi: c’è chi individua dei punti deboli, che vanno dall’aspetto tecnico a quello del mancato approfondimento psicologico dei personaggi. Secondo altri la trama è ingarbugliata e non si capisce bene il vero obiettivo di Alita: cacciatrice di taglie o campione di motorball? Cyborg alla ricerca dell’identità o adolescente ribelle? Questioni che però non tengono conto del lato sentimentale e del rapporto di amore fra Alita e Hugo che nel film fa eco all’opera originaria, evidenziandoli. Così come è reso più manifesto il rapporto filiale fra Alita e il dottor Ido.
Critiche che assumono poi una diversa valenza andando a confrontare il film con il manga originale: la velocità con cui cambia la sceneggiatura, e più in generale la visione del mondo nell’opera di Kishiro, è molto più “schizofrenica” che nella sua trasposizione cinematografica, che è un tentativo riuscito di dare un’altra vita a un universo narrativo vastissimo e multiforme come quello ideato dal mangaka, catturandone i “sentimenti universali”.
Non si fonde dunque solo la poetica di Kishiro a quella del regista, ma anche quella di Rodriguez, più introspettiva, a quella di Cameron che della maestosità scenografica ha fatto il suo punto di forza. Sul piano del puro intrattenimento, poi, l’opera di Cameron, Rodriguez e Landau è capace di staccare lo spettatore dal mondo esterno in maniera naturale, senza che quasi se ne renda conto. Per questo mi auguro vivamente che il manga venga preso (o ripreso) in mano, letto e apprezzato anche da chi ha conosciuto Alita solo attraverso il film o, ancora meglio, che si guardi il film dopo la lettura.
Abbiamo parlato di:
Alita: Angelo della battaglia
James Cameron, Robert Rodriguez, Jon Landau
Twenty Century Fox, 2019
[2h, 22m]