Agape di Martina Masaya: l’eterno ritorno di amore e morte

Agape di Martina Masaya: l’eterno ritorno di amore e morte

Dopo "Giacinto" Martina Masaya torna a occuparsi del suo mito con un volume che ne approfondisce la storia, i temi e i personaggi umani e divini.

In Giacinto, volume che precede questo lavoro, sempre scritto e disegnato da Martina Masaya per Manfont, abbiamo conosciuto il mitologico personaggio del principe spartano Giacinto, innamorato del dio Apollo e da lui ricambiato, ma che trova la morte per colpa di Zefiro, geloso dei due e disposto a tutto pur di separarli.

La storia, seguendo le orme del mito greco, era finita; ma evidentemente non per la sua autrice, che a un anno di distanza si ripresenta con Agape, un fumetto autoconclusivo dedicato ad approfondire i temi e i personaggi apparsi nel volume precedente, spesso costretti in quelle pagine a recitare un ruolo di secondo piano. Qui invece eccoli diventare protagonisti, mentre riflettono sul grande e infinito tema dell’amore dopo la fine della tragica storia del principe Giacinto, trasformato in fiore rosso (di sangue) dalle lacrime di Apollo.

Abbiamo dunque tre capitoli dedicati rispettivamente ad Afrodite, dea delle bellezza e dell’amore,, che si sente parzialmente responsabile di ciò che è accaduto; ad Eros (il desiderio carnale nella sua indomabilità) e a suo fratello Anteros (figura meno conosciuta che simboleggia l’amore ricambiato, senza il quale Eros non può “crescere”) forze inesorabili e irrefrenabili che giocano con le vite di mortali e immortali; e infine a Cinorta, fratello di Giacinto, che non riesce ad accettare la sua morte.

Tutto questo in un volume che si pone grandi obiettivi, che cerca di dare risposte a domande vecchie di millenni ma ancora attuali, di dare voce a tormenti insiti nella natura umana, e che coraggiosamente “interrompe” la narrazione per esplorare le conseguenze di un racconto, l’epilogo che molto spesso nessun autore si ferma a narrarci. Abbiamo dunque un fumetto nel quale tutto è già successo e quasi niente succederà, dove a farla da padrone sono i personaggi superstiti, i loro pensieri e le loro emozioni, che poi sono quelle di tutti noi.

Agape (in greco l’amore disinteressato, puro, che si contrappone a quello egoistico che spesso distrugge gli amanti) è dunque un lavoro interessante soprattutto per questo motivo, per il suo tornare “sul luogo del delitto” nel tentativo di raccogliere gli ultimi pezzi rimasti di un racconto, e trovare forse un senso a una tragedia nata dall’amore (puro, erotico, disinteressato o egoistico). Martina Masaya compie quindi un atto di fede nei confronti dei propri lettori non offrendo loro qualcosa di nuovo, ma invitandoli a tornare sui loro passi per fermarsi a pensare insieme a lei.

Va detto che Agape è leggibile a se stante, senza che si sia necessariamente letto Giacinto, e che la classicità del mito fa si che non sia un problema il fatto che la nuova opera sveli la trama della precedente. La lettura rimane agevole, non si ha la sensazione di entrare in medias res o di essere stati defraudati di qualcosa, ma si riesce immediatamente ad accedere al racconto, del resto così “umano” nei contenuti da essere facilmente decifrabile e adattabile a ogni fruitore.

In quanto al resto, cioè all’approccio usato dall’autrice, va detto che è improntato anch’esso alla massima semplicità e comprensibilità: il lettore viene preso per mano e accompagnato lungo i capitoli con la massima disinvoltura grazie anche all’aiuto di didascalie che illustrano il pensiero e i ragionamenti dei vari protagonisti.

Ma c’è, a dire il vero, qualche eccesso di tragedia, così come un eccesso di periodi che si concludono con un punto di domanda (metodo narrativo, quello delle cosiddette domande retoriche, da sempre ritenuto poco valido, eccessivamente aulico, inutilmente prolisso, tipico dei narratori giovani e mai consigliato). I personaggi piangono e si lamentano molto, e un lettore più maturo potrebbe considerare stucchevole questo eccessivo sentimentalismo forse più adatto a un pubblico giovane, romantico e femminile; ma in ogni caso Agape riesce a centrare il suo obiettivo senza risultare patetico o esageratamente autocompiaciuto.

L’argomento della tragedia greca, l’essere il fumetto ambientato subito dopo la triste fine del principe, i disegni e le tavole di matrice vagamente nipponica/disneyana, gli acquerelli caldi e declinati sulle note del rosso sangue, riescono a rendere la vicenda coerente con se stessa e non estremizzata nelle sue esternazioni.

Riguardo i personaggi il migliore pare essere Giacinto stesso, che in un certo senso brilla per la sua assenza: rivisto solo nei pensieri e nei ricordi degli altri, assume un ruolo di grande importanza acuito dalla valida scelta dell’autrice di non inquadrarlo quasi mai in viso, se non in pochissimi momenti importanti.

Questa scelta conferisce al principe una dolcezza e un’aura tragica che lo rendono personaggio emblematico e commovente allo stesso tempo, così come le sue apparizioni sono rese ancora più significative. La resa di Giacinto è positiva anche dal punto di vista grafico: il suo viso rigato dal sangue versato, eppure sorridente, è forse il momento più emozionale dell’intero fumetto.

Discorso inverso va fatto per Afrodite, che molto sembra aver sofferto dalla tragedia appena compiuta e della quale si sente in parte responsabile o viene accusata di esserlo. Nonostante i suoi dubbi e le sue debolezze più umane vengano ben espressi dall’autrice, il personaggio pare avere scarso carisma: non certo una dea quanto piuttosto una ragazzina dalla lacrima facile, che si contorce in espressioni di sofferenza a tratti davvero esagerate e che in alcune occasioni sembrano virare malauguratamente in un grottesco/comico forse non voluto, ma che rende difficile prendere sul serio le passioni che la sconvolgono.

La dea riesce verso la fine dell’albo a trascendere se stessa, e riacquistare in parte una sua dignità di donna e divinità, ma a lasciare perplessi sono anche le fattezze di questa Afrodite molto popolana, dall’enorme seno sempre in bella vista: per quanto la nudità si addica a una dea dell’amore anche fisico, questo straripare di forme e boccucce carnose sembra un po’ riduttivo per un personaggio di tale importanza, che si riduce a una versione femminile fin troppo stereotipata. Una visione del genere è qualcosa che non ci si aspetterebbe da un’autrice donna.

Oltretutto, è proprio nelle varie scene con protagonista Afrodite che si assiste anche al maggior numero di incertezze riguardo al disegno: prospettive ingloriose, movimenti poco efficaci, posizioni troppo statiche, semplificazioni eccessive compaiono via via minando in parte uno stile che riesce ugualmente a fare bene il suo dovere, e che sfruttando un montaggio della pagina molto libero riesce a comunicare bene il senso di tragedia, il dolore e la sofferenza.

Se Afrodite più che una dea ci ricorda Angelina, il personaggio di Mirka Andolfo, e quasi tutti i personaggi tendono a una semplificazione a volte eccessiva, che li rende giovanissimi e neutri, da cartone animato, per il resto l’approccio di Masaya è piacevole, adatto alla sua storia e soprattutto più forte dagli acquerelli e dalla palette di colori usati. Primo tra tutti, come già detto, il rosso del sangue che permea numerose pagine esprimendo di volta in volta il calore della vita, la passione dell’amore, il fuoco del desiderio, il ricordo della colpa e la tragicità della morte. Il sangue che scorre in Agape, a volte addirittura inatteso come nella potente scena dell’amplesso con Ares, è dunque un elemento tra i migliori.

In definitiva, Agape è un progetto interessante e coraggioso che – cosa rara di questi tempi – si prende tutto il tempo per approfondire un discorso invece di narrarne un altro, e che nonostante qualche incertezza e retorica di troppo (sempre in agguato con argomenti simili) riesce a comunicare bene i propri sentimenti e le emozioni dei personaggi, provando anche a fornire un senso a domande antiche come l’uomo.

Positivo pur nella tragedia della quale rappresenta una vera e propria catarsi, Agape è un fumetto che pone al centro di tutto il sentimento: lo fa in vari modi, con diversi livelli di efficacia, e risulta per sua stessa natura un prodotto più adatto a un pubblico giovane e femminile, ma di certo è apprezzabile sia per il suo pubblico di riferimento sia per chi potrebbe scoprirlo casualmente.

La levità e semplicità con la quale gli argomenti sono stati trattati ha di certo favorito la narrazione, priva di morbosità, ansie, depressioni o inutili violenze, e anche nelle poche pagine a disposizione l’autrice è riuscita a sviluppare in modo valido le tesi che si proponeva di dimostrare (sarebbe però stato interessante conoscere anche il punto di vista di Apollo, amante di Giacinto); mentre per quel che riguarda il disegno abbiamo una prova che alterna momenti particolarmente riusciti (solitamente quelli più statici, da illustrazione) ad altri incerti (lì dove è presente azione, movimento, velocità, forse non ancora ben padroneggiati).

Degno rappresentante del fermento dei giovani autori attivi oggi, capace di destare interesse sotto numerosi aspetti tecnici e narrativi, buono nella progettazione e nell’esecuzione sebbene ancora non paragonabile a opere di autori più maturi o professionali e non privo di difetti dovuti più che altro alla giovane età della narratrice, Agape risulta comunque un prodotto degno di nota, e che sembra promettere sviluppi più che positivi.

Abbiamo parlato di:
Agape
Martina Masaya
Manfont, 2017
72 pagine, brossurato, colori – € 10,00
ISBN: 9788899587512

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