L’importanza dei dialoghi (parte prima)

L’importanza dei dialoghi (parte prima)

I dialoghi nei fumetti svolgono diverse funzioni contemporaneamente: devono portare avanti la narrazione, fornire informazioni al lettore e caratterizzare i personaggi che li pronunciano.
Scrivere i dialoghi di una storia è personalmente la parte che preferisco, ma non per questo la più semplice. Non è un caso se è mia abitudine riscriverne molti nel corso della lavorazione, anche a storia conclusa e disegnata, prima di mandarla in stampa (privilegio di cui ho potuto quasi sempre godere grazie al fatto di essere stato curatore delle mie serie!). Generalmente li scrivo di getto durante la stesura della sceneggiatura pe rpoi rivederli, appunto, a storia disegnata. Questo mi risparmia, il più delle volte,di bloccarmi su un’intera tavola o scena solo perché non mi viene o non mi suona il dialogo di una vignetta. E quando, dopo settimane o mesi, riprendo in mano la storia per la revisione, le situazioni si sono “sedimentate”, ho più chiaro l’intero svolgimento e anche i dialoghi fluiscono più coerentemente con il succedersi degli eventi.I dialoghi svolgono infatti diverse funzioni contemporaneamente: devono portare avanti la narrazione, fornire informazioni al lettore e caratterizzare i personaggi che li pronunciano. Ed è proprio quest’ultima la parte più delicata e complessa.
Perché ognuno di noi possiede un proprio lessico, un proprio modo di parlare, e la tendenza che ci viene naturale è quella di mettere in bocca a tutti i personaggi, che spesso costituiscono differenti proiezioni della nostra personalità, quel lessico personale. Lo sforzo da compiere, perciò, è quello di “uscire” da se stessi e calarsi nei personaggi, trasformarli in persone indipendenti da noi. E se già questo compito non fosse sufficientemente arduo, occorre portarlo a termine senza rendere i dialoghi fasulli e magari ridicoli: le esclamazioni pittoresche sono una “classico” e una via semplice da seguire, per esempio, ma se stiamo scrivendo una storia drammatica, non possiamo pensare di caratterizzare un personaggio con esclamazioni tipo “per tutte le scimmie spastiche del Madagascar!“.
Eppure questo genere di attenzione ai dialoghi, quando eseguita come si deve, non solo rende più piacevole ed efficace la lettura, ma presenta anche aspetti pratici: pensate a quante volte può capitare che i personaggi che parlano siano fuori campo o in campo lungo e quindi non riconoscibili. Il loro modo di parlare, una volta familiare al lettore, consentirà di identificarli ugualmente e renderà più scorrevole la lettura della storia.Prendiamo a esempio il trio di protagonisti di Jonathan Steele, la serie che ho creato per la Bonelli: Jonathan, Myriam e Jasmine.
Jonathan, il protagonista, è un uomo che ha vissuto per la maggior parte della propria vita in ambienti militareschi o pericolosi, che lo hanno abituato a non aprirsi e a comunicare lo stretto necessario e velocemente. Quindi usa un linguaggio diretto e sintetico, ma -e questo è il suo carattere- spesso venato di ironia (al limite del sarcastico).
Tipico di Myriam, che è invece una ragazza allegra e solare, è un linguaggio colorito, ricco di espressioni buffe e termini improvvisati.
Jasmine, infine, è cresciuta nella classica “buona famiglia” e ha un carattere quasi altero quindi il suo linguaggio è forbito e formale
Questi tre modi di parlare, molto diversi fra loro, ci permettono di attribuire correttamente ogni battuta al personaggio che la pronuncia persino in una tavola con le vignette nere a causa della totale oscurità.

Un esempio della differenza di linguaggio fra Myriam e Jasmine.
Un esempio della differenza di linguaggio fra Myriam e Jasmine.

Senza arrivare alle esclamazioni pittoresche, a volte bastano pochi tocchi per caratterizzare un personaggio: un intercalare ricorrente (come il ripetere nelle frasi la parola “cioè” o la frase “voglio dire”), un eccesso di frasi sospese, inflessioni dialettali, un linguaggio sgrammaticato…

Tanti possono essere gli espedienti e, come sempre, è sufficiente prestare attenzione alla realtà che ci circondo per trovarli.
Si dice sempre che un creativo debba essere come una “spugna” nei confronti dell’ambiente circostante e anche in questo caso il principio è valido: se comincerete a prestare attenzione al modo di parlare della gente (dai parenti e amici agli sconosciuti del tavolino accanto), l’ispirazione non mancherà di certo!

John Byrne X-Men 109 p 17
Chris Claremont ha lavorato molto sul modo di parlare degli X-Men per caratterizzarli ulteriormente. Personaggi come Wolverine o, più avanti, Gambit utilizzano uno slang che rende persino difficile la lettura per il pubblico non di madrelingua! Ma il loro peculiare linguaggio conferisce un minimo di spessore in più ai personaggi. Nel caso di Gambit, per esempio, la sua parlata “cajun” già ne determina la regione di provenienza (la Louisiana) e il retaggio culturale.
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