Sono un giovane mediocre è una delle opere più importanti di un fumettista francese fondamentale, Gérard Lauzier. Nato a Marsiglia nel 1932, Lauzier studia architettura e filosofia e si occupa inizialmente di pubblicità; in Brasile, dove soggiorna per un paio d’anni, realizza caricature per il Giornale di Bahia (1958-1959), attività che prosegue al suo ritorno in Francia. L’esordio nel fumetto avviene relativamente tardi, nel 1974, collaborando con Pilote per cui crea Zizi e Panpan, per poi sviluppare la sua caustica serie di satira sociale, Tranches de Vie (1974-1978).
Una satira sociale spietata è presente anche in quest’opera, che si compone di due parti: la prima, Souvenirs d’un Jeune Homme (1982), dedicata alla tarda adolescenza del diciottenne Michel Choupon; la seconda, Portrait de l’Artiste (1992) lo vede ormai sulla soglia dei trent’anni, di fronte a un primo impietoso bilancio esistenziale. Le due parti, strettamente interconnesse tra loro, formano un grande romanzo dell’Inetto novecentesco, di cui Choupon è una delle più tarde – e più efficaci – incarnazioni.
Le pagine del narcisistico diario del protagonista fanno da raccordo tra le varie sequenze fumettistiche della storia, in cui si snoda la sua velleitaria ribellione al perbenismo piccolo-borghese della sua famiglia dell’alto ceto medio, solo per scoprire che i mondi che idealizza – la famiglia progressista e disinibita del suo miglior amico, il mondo sottoproletario da cui proviene la bellissima Selima di cui si innamora – sono inferni in una stanza ancor peggiori da quello da cui finge di fuggire.
La sferza distruttrice della satira di Lauzier è potente in quanto specificamente fumettistica, ovvero giocata sul contrasto tra testo e disegno: il primo è falso e altisonante (quello scritto dei testi di raccordo ancor più del “parlato” fumettistico, che è comunque menzognero), in contrasto con la verità del segno, asciutto ed essenziale, ma efficacissimo nell’incatenare con magari una sola linea precisa ogni personaggio alle sue falsità e ipocrisie. Seguiamo così Choupon nella sua progressiva autodistruzione – in fin dei conti simulata anch’essa, come tutto quello che circonda il personaggio – fino a una conclusione apparentemente consolatoria, in cui il protagonista rilegge quelle pagine giunto all’età adulta.
E proprio quest’ultima pagina manoscritta ci porta alla prima pagina dattiloscritta della seconda parte. Il passaggio dalla scrittura manuale a quella a macchina segna un surplus di ipocrisia nel personaggio, trasferitosi da Parigi in Provenza: diventa infatti ancor più marcata la falsità dello scrivere diaristico, che assume palesemente l’aspetto di una stesura di “Memorie” pubbliche; elemento che è reso evidente dalle imbellettanti correzioni a biro della prima stesura a macchina. Anche l’ipocrisia della provincia risulta ancor più marcata di quella della città, per la sua intrinseca piccineria.
Mentre nel primo atto vedevamo descritta la società in generale, qui Choupon si è inserito, ai margini, in quel parassitario tessuto para-culturale che vivacchia di sovvenzioni statali con grettissima avidità da mercante ma ostentando nobile amore per la cultura. A Selima, sottoproletaria, si sostituisce qui un oggetto d’amore altoborghese, Madaleine (proustiana fin dal nome…), che Choupon inseguirà con la stessa inetta impotenza.
La differenza principale è che se nel primo atto il giovane Choupon poteva ancora in parte credere alle menzogne che raccontava a sé stesso, qui è ormai consapevole, in fondo, di non essere altro che un fallito, per quanto si sforzi di negarlo. Il gioco del contrasto tra testi (falso) e disegni (vero) si fa ancora più raffinato: i pensieri falsanti di Choupon, siano le sue pagine battute a macchina o le nuvolette di pensiero, sono testuali, com’è normale che sia. Ma quando l’idea rappresenta una ossessione reale, questa assume l’aspetto di un disegno contenuto in una nuvoletta di pensiero.
La chiusura è particolarmente potente, con le vignette che si fanno nere e Choupon che, al limite ormai della dissociazione mentale, inventa al buio un epilogo che lo giustifichi; nel testo finale, con uguale delirio, abbandona il realistico sconforto che l’aveva preso per ricadere, nel suo viaggio verso Parigi, nell’illusione di essere un grande artista.
Impreziosiscono l’opera la prefazione e la postfazione: la prima è di Raffaele Ventura, autore del saggio imprescindibile di questi anni, Teoria della classe disagiata, che ha analizzato in quest’opera il cupo destino di una generazione illusa dagli studi umanistici di poter avere un grande ruolo in ambito creativo e che qui evidenzia il valore profetico; la seconda è del traduttore dell’opera, Boris Battaglia, che analizza con notevole precisione lo specifico fumettistico di Lauzier.
Insomma, un ritratto di sorprendente attualità delle frustrazioni del ceto medio con velleità intellettuali: velenoso farmaco in grado di cauterizzare, nel lettore accorto, ogni fumosa illusione di essere speciale.
Abbiamo parlato di
Sono un giovane mediocre
Gerard Lauzier
Traduzione di Boris Battaglia
Rizzoli Lizard, 2018
140 pagine, cartonato, colori – 22,00 €
ISBN: 8817105236