Un'ora con Suehiro Maruo

Un’ora con Suehiro Maruo

Il 1° novembre 2019 si è tenuto a Lucca Comics & Games, in una stanza quasi appartata della Biblioteca Civica Agorà, il workshop a numero chiuso del maestro dell’ero-guro Suehiro Maruo (1956), uno dei grandi ospiti della rassegna. L’incontro è stato moderato da Paolo La Marca e Livio Tallini, due dei traduttori/curatori delle collane Gekiga e Doku per Coconino Press insieme a Vincenzo Filosa, anche lui presente in sala.
Sono state molte le domande interessanti da parte dei moderatori, così come gli spunti che il sensei ha dispensato attraverso le sue risposte secche, ma vorrei concentrarmi in particolare su alcuni aspetti che meritano di essere messi in luce.

Innanzitutto la sua vita: Maruo è un mangaka autodidatta, che ha lasciato la scuola superiore per dedicarsi al disegno. Quando a diciott’anni provò ad inviare il suo primo lavoro (troppo spinto ed esplicito, a suo dire) a Shōnen Jump venne prontamente rifiutato e così abbandonò temporaneamente i manga. A ventiquattro anni ricomincia a disegnare e la sua prima storia in stile ero-guro viene accettata, lanciando così la sua carriera, seppur tra una ristretta cerchia di appassionati, visto le tematiche di critica sociale e le visioni disturbanti presenti nei suoi lavori.

A questo si collega poi il discorso fatto sulla censura e su quanto sia oggi comunque implicitamente presente all’interno del panorama editoriale giapponese, nel quale se non rientri in determinati binari e stilemi grafico-narrativi sei automaticamente escluso dal mercato mainstream, in una sorta di autocensura da parte dello stesso settore.

Si è parlato anche di altri autori, più distanti come Tezuka, o più vicini al sensei come Kazuichi Hanawa, in Italia praticamente sconosciuto ma ben noto agli appassionati di fumetto giapponese, visto il pesante ascendente avuto su Maruo. I due, entrambi influenzati dalle stampe muzan-e (無残絵) (letteralmente “stampe sanguinolente”), create con lo stesso metodo di quelle ukiyo-e ma con soggetti truculenti e natura violenta, hanno realizzato un libro intitolato Bloody Ukiyo-e in 1866 e 1988 (1988) nel quale, inglobando riferimenti alla pop culture e alla vita contemporanea, mostrano come il loro stile sia perfettamente in linea con quel tipo di passato visuale (doveroso notare come due grandi artisti ukiyo-e del passato, Yoshitoshi e Yoshiiku, abbiano realizzato la collezione Twenty-Eight Famous Murders with Verse, ovvero una delle prime e più importanti collezioni di muzan-e, punto quindi necessario per capire su quale percorso artistico si sono voluti collocare Maruo e Hanawa).

Una delle parti più consistenti dell’incontro è stata dedicata al cinema, del quale il maestro è appassionato conoscitore, anche di quello italiano (i suoi registi preferiti sono Fellini e Visconti). Sono stati fatti confronti e paragoni tra illustrazioni e fotografie dei divi del cinema, mostrando come Maruo sia affascinato dal divismo e al contempo cerchi di scardinarlo graficamente: attraverso un’accurata selezione degli elementi inseriti, si nota come alcuni di essi ritornino nelle cover per i volumi (per esempio gli insetti, che Maruo collezionava da bambino). Dove si può davvero notare quanto il cinema sia stato fondamentale per la definizione del sensei, come artista e mangaka, è nell’analisi delle sue tavole presenti alla mostra La luna è un buco nel cielo, situata all’interno del Palazzo Ducale di Lucca. Il montaggio delle vignette e la costruzione di ogni tavola è curatissima, denotando la presenza perenne di tecniche cinematografiche: dall’abbondanza di piani e angoli (dal basso, dall’alto, fish-eye, primi e primissimi piani) all’enfatizzazione estrema di dettagli, passando per un tappeto sonoro fatto di onomatopee che, seguendo il senso di lettura, veicolano strati plurimi di significato.
Quello che interessa mostrare all’autore è ciò che si nasconde nell’ombra, disvelarlo a volte improvvisamente e a volte lentamente, shockando con intuizioni visive assurde e dettagli compositivi disturbanti.

Infine si è parlato della parte più tecnica del lavoro da mangaka, ovvero gli strumenti che usa per disegnare (tra cui l’immancabile marupen (g-pen) che caratterizza il processo di inchiostrazione), l’utilizzo di assistenti (affermando di non averne mai usufruito e di non volerne in futuro assumere) e la sempre più insistente presenza del digitale nel disegno (dal quale Maruo è colpito nonostante non ne capisca assolutamente nulla, come ha ammesso in maniera divertita).

È stato quindi un workshop stimolante, che penso abbia lasciato non solo me ma tutti gli altri partecipanti con un’ulteriore voglia di scoprire uno dei più importanti autori alternativi di fumetto giapponese.