Tono Monogatari: tentativi e risultati di una ricerca antropologica a fumetti
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Tono Monogatari: tentativi e risultati di una ricerca antropologica a fumetti

Mizuki Shigeru (1922-2015) è stato uno dei maestri del fumetto giapponese e ha sempre dimostrato nel corso della sua carriera una grande attenzione verso il mondo rurale e le tradizioni folkloristiche giapponesi. Con Tono Monogatari (pubblicato nel 2008 in Giappone e nel 2022 in Italia per Canicola Edizioni con traduzione di Vincenzo Filosa) ha portato quindi a compimento un discorso lungo una vita: trasporre a fumetti il testo fondamentale omonimo di Yanagita Kunio (1875-1962), padre dei minzokugaku, gli studi sul folklore giapponese.
Questa trasposizione apre a discorsi fondamentali concernenti l’utilizzo dei fumetti come mezzo di ricerca, perché Mizuki non solo adatta ogni singola leggenda – è bene parlare di leggende, invece che di fiabe, come ha puntualizzato Richard M. Dorson, folklorista americano ed esperto dell’opera di Yanagita, sostenendo che il termine “leggende” mantiene una più forte personalità regionale e locale rispetto alle parole “fiabe” o “racconti”1 – ma si pone in diretto dialogo con Yanagita, cercando delle spiegazioni e commentando in prima persona gli eventi narrati. Quella di Mizuki è una vera e propria indagine etnografica a fumetti sul folklore e su cosa lo anima, sulle sue cause scatenanti e sugli effetti che produce sulle persone. È anche, però, il tentativo di riportare l’attenzione su di un’area, quella della cittadina di Tōno (situata nella prefettura di Iwate) e dei vicini villaggi, fin dalla Restaurazione Meiji (1868) considerata periferica rispetto al centro dello stato (Tōkyō e la sua area metropolitana), così come tutta la regione del Tōhoku in generale. L’indagine e il tentativo, tuttavia, non sono privi di criticità, ma pongono certamente quesiti interessanti che verranno debitamente analizzati nelle prossime righe.

Il libro di Yanagita e gli studi sul folklore

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Senza addentrarsi in profondità in un argomento così vasto, ciò che ha spinto Yanagita, attivo all’epoca nei circoli letterari della capitale, a scrivere questa raccolta di leggende riguardanti avvenimenti misteriosi e creature soprannaturali ambientate nella regione di Tono è stato l’incontro con Sasaki Kizen (1886-1933), nativo di Tono. Affascinato da ciò che Sasaki raccontava, Yanagita decise di visitare personalmente l’area nel 1909. Tono, una zona formata da aspre montagne e coltivazioni di riso nelle valli e nelle pianure, aveva numerose miniere d’oro e un clima adatto all’allevamento dei cavalli, ma la vita per i suoi abitati non era facile, caratterizzata com’era da limitati terreni coltivabili e condizioni meteorologiche che portavano spesso a raccolti magri2.
Gli scritti raccolti mettono in evidenza la metodologia di ricerca di Yanagita: l’ascolto attento delle tradizioni orali (narrate da Sasaki); l’osservazione tangibile della cultura del luogo; la verifica dei fatti con gli esperti locali; la messa per iscritto dei risultati in modo che il lettore medio potesse facilmente comprenderli e, infine, l’aggiunta di una sfumatura letteraria così da catturare la sensibilità locale. Per Yanagita, la geografia e la storia del luogo erano lo sfondo ideale per esplorare i sentimenti, la psicologia e le credenze degli abitanti di Tono. In Tono Monogatari esistono essenzialmente due mondi: il mondo osservabile, fatto di montagne, fiumi, case, e il mondo nascosto, dove spiriti e divinità si muovono a piacimento. I luoghi di culto della religione popolare giapponese (templi, festival, ecc.) connettevano questi due mondi e Tono diventava così un ecosistema attraversato da essere naturali e soprannaturali3. Yanagita vedeva il tempio shintoista locale come il centro della vita religiosa contadina e i festival, che si svolgevano solitamente durante i raccolti di agosto e settembre, come l’espressione stagionale della dimensione psicoculturale della fede popolare. Il tempio del villaggio era dove storia e religione, comunità e antenati, vivi e defunti si riunivano e davano un significato alla vita4. Anche Miyamoto Tsuneichi (1907-1981), altro grande studioso di folklore, segnalava come l’interesse per ricerche di questo tipo sia completamente diretto verso il modo in cui le persone di età avanzata trasmettono la conoscenza e come essa passi da una persona all’altra attraverso l’oralità5.
Bisogna comunque dire che Yanagita non aveva uno stile di scrittura accademico e all’epoca non era riuscito a giustificare scientificamente le sue ricerche, lasciando a volte lavori incompleti o una terminologia vaga, anche se in seguito alla sua morte il suo lavoro venne rivalutato e riscoperto con rinnovato interesse e la qualità letteraria dei suoi scritti apprezzata6.

L’indagine di Mizuki: aspetti strutturali, visivi e tematici

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Come nota Morse, Tono Monogatari ha un suo preciso carattere distintivo poiché si colloca tra diversi campi: antropologia culturale, storia, letteratura . Alcuni lettori trovano le implicazioni psicologiche delle leggende di primaria importanza; altri sono colpiti dal senso di intimità e stupore che i giapponesi provano di fronte alle divinità; altri ancora si soffermano sul senso di isolamento e solitudine che evocano i paesaggi di Tono e le leggende che lì sono ambientate7. Mizuki riesce a trasferire efficacemente tutte queste componenti nella sua opera, non mancando di evocare sottili sfumature emotive e forti sensazioni di meraviglia e timore reverenziale di fronte a ciò che non è possibile comprendere. Inoltre, emerge come il concentrarsi unicamente su di un’unica area geografica avvenga sì per il legame con Yanagita, ma anche perché la possibilità di penetrazione all’interno di un’area specifica, dello stile di vita e del modo di pensare dei suoi abitanti, aumenta drasticamente restringendo il campo d’azione, avendo così la possibilità di mettere in atto un’indagine più accurata8.
Come detto precedentemente, uno dei punti di forza del Tono Monogatari di Mizuki è il modo in cui si pone in dialogo con Yanagita. Questo fumetto non è solo la trasposizione dell’opera originale dello studioso, ma è anche un viaggio sulle sue tracce. Mizuki si propone di commentare, aggiungere dettagli e infine addirittura dialogare con lo stesso Yanagita. Se da un lato questa struttura narrativa riesce a coinvolgere maggiormente il lettore e rende evidente quanto la partecipazione di Mizuki sia sentita e attenta, dall’altro non manca di far sorgere dei dubbi sulla filosofia che la anima: siamo di fronte a una reale indagine antropologica, sulla scia di quella passata, oppure a un’operazione diversa? Secondo me, il racconto nel racconto che si dipana pagina dopo pagina, e che poi trova il suo senso sul finale, cerca di proporre un’alternativa al classico modo di indagare la realtà. Gli strumenti di Mizuki sono quelli del fumettista e dell’appassionato-diventato-studioso e adotta un preciso modo di venire a patti con la leggenda e con il suo manifestarsi attraverso le persone: non è tanto il mescolarsi di realtà e finzione, quanto usare la finzione per capire la realtà, dopo aver indagato l’una con i mezzi dell’altra. Per questo tutti gli aspetti tecnici che riguardano la costruzione del tono e del registro della narrazione non sono così palesi, perché Mizuki fonde ricerca, divulgazione e intrattenimento ed è solo possibile fare speculazioni – come fa spesso l’autore alla fine delle brevissime storie – sul significato intrinseco o nascosto delle leggende. Si può solo ipotizzare, per esempio, che le storie di sparizioni e rapimenti da parte di spiriti o esseri soprannaturali siano, per Mizuki, il simbolo del progressivo abbandono delle zone rurali verificatosi nel corso del Novecento in Giappone9, un tema già apparso in altre sue opere. Oppure si può sottolineare, questa volta con sicurezza, come evochi sorpresa e senso di alterità attraverso l’impostazione grafica e la relazione tra testi e immagini: molte didascalie provengono da un Altrove ignoto, l’alternanza di vignette dalla forma simile dona al racconto un sapore ciclico e la scelta di un character design cartoonesco e pulito permette una facile immedesimazione.

La rappresentazione del Giappone rurale: un confronto tra Mizuki, Katsumata e Yaguchi

La rappresentazione del Giappone rurale è un elemento chiave nei fumetti di Mizuki. La delineazione di paesaggi realistici e scenari naturali ricchi di dettagli10 dimostrano l’attenzione con la quale l’autore tendeva ad affrontare questo aspetto, conferendo inoltre un’ambientazione adeguata alle storie intrise di folklore e tradizioni e diventando spesso il centro di ciò che voleva veramente raccontare, come nel caso di Tono Monogatari. Quello che mi sembra interessante è fare un confronto tra come tre diversi autori, ovvero lo stesso Mizuki, Katsumata Susumu (1943-2007) e Yaguchi Takao (1939-2020), hanno rappresentato il Giappone rurale, per comprendere quali direttive filosofiche e concettuali hanno animato questa scelta in primis tematica, ma inscindibile, ovviamente, dalla parte grafico-visuale.

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Neve Rossa, Katsumata Susumu


Innanzitutto, credo ci sia una netta cesura tra la modalità di rappresentazione di Mizuki e quella di Katsumata. Il primo, raffigurando la ruralità, ha come scopo la sopravvivenza delle tradizioni e la perpetuazione delle stesse attraverso i fumetti. I boschi, le colline, le montagne e le pianure di Tono non sono luoghi confortevoli, ma nemmeno carichi di pericoli mortali: vengono invece presentati come misteriosi, l’aggettivo che più precisamente li qualifica. Il senso di mistero è ciò che li caratterizza, perché è proprio nel mistero che si celano fortune e sfortune degli esseri umani – d’altronde, Tono Monogatari è sempre il racconto di un’umanità vivace e vitale, nei momenti drammatici quanto in quelli divertenti. Il secondo, invece, evitando l’uso di un tratto minuzioso per evidenziare ogni dettaglio, cerca di evocare con pochi ambienti essenziali l’atmosfera che circonda i personaggi, il suo vero focus. Anche utilizzando yōkai – spesso umanizzati, per andare incontro al nucleo tematico che l’autore cerca di veicolare – come protagonisti, il fine di Katsumata non è la conservazione delle tradizioni, ma altresì la messa in scena della fine di un immaginario: è la fine del folklore e la nascita del realismo, dove il senso di perdita, solitudine e abbandono sono i sentimenti che emergono sia nei personaggi che nel lettore. Più che un commento sociale, c’è sempre un commento filosofico dietro le storie, che guarda alla grande difficoltà di vivere ai margini e quindi la necessità di lasciarsi tutto alle spalle, con tutto il dolore che questo comporta. Tutto ciò risulta chiaro in alcune sue storie come “Storia di Hanbe” (in Fukushima Anno Zero, Rizzoli Lizard, 2021) o “Torajirō” (in Neve Rossa, Coconino Press, 2018).

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Tsurikichi Sanpei (vol. 8), Yaguchi Takao

Yaguchi Takao, a differenza di Mizuki e Katsumata, adotta una terza via di rappresentazione del Giappone rurale, delineando personali modelli e forme visive. Sia in Tsurikichi Sanpei (1973-1983), sua opera più famosa, sia in lavori come Oragamura (1973-1975) o Furusato (1983-1985), è subito chiaro come, pur abbinando un character design cartoonesco a una rappresentazione dettagliata degli ambienti, la sua vocazione sia essenzialmente realistica nel visualizzare e immaginare11 gli spazi in cui si collocano i personaggi delle sue storie, non mancando inoltre di ricordare e perpetuare certe tradizioni culturali o attività ricreative. Questo probabilmente è dovuto alla componente autobiografica che Yaguchi tendeva a inserire nei suoi lavori, essendo nato e cresciuto in un piccolo villaggio di montagna costantemente circondato dalla natura. Nelle opere di Yaguchi si respira sempre un’atmosfera rilassata, perché i suoi paesaggi sono ancora oggi di una freschezza senza pari nell’offrire al possibile lettore uno spaccato del Giappone rurale. I piedi sono ben saldi a terra, e pur senza una vocazione pittorica, l’afflato visivo rimane dei più aulici.
Le tre vie di rappresentazione intraprese dagli autori12, comunque, dimostrano quanto sia possibile la varietà su uno steso tema grafico, individuando in maniera diversa le relazioni tra natura e uomo e tra spazio e personaggi13.

Conclusione

Per concludere, tornando a Tono Monogatari, si può affermare che sia un’opera che pone interessanti riflessioni su molti aspetti che riguardano il fumetto, l’antropologia, il realismo, il folklore, il Giappone rurale e il significato della ricerca. Probabilmente, al netto di una storicizzazione dell’autore che si è già concretizzata e che ha già definito alcune dei suoi lavori precedenti a questo come classici, Tono Monogatari è tra i fumetti più importanti di Mizuki, non solo per tutto quanto scritto precedentemente ma soprattutto per la fecondità dell’opera, così aperta a letture multimodali e comparate che si sviluppano in direzioni originali e imprevedibili. Di fronte a una ricchezza tematica e visiva così strabordante, quello che resta a lettori, critici e studiosi è il testamento di un autore che con una semplicità disarmante ha scandito il tempo mitico della vita invisibile.


  1. Ronald A. Morse, “Preface to the 100th Anniversary Edition”, in Yanagita Kunio, The Legends of Tono, trad. di Ronald A. Morse, Lahnam, Lexington Books, 2008, p. XI. 

  2. Ronald A. Morse, “Introduction”, in Yanagita Kunio, The Legends of Tono, trad. di Ronald A. Morse, Lahnam, Lexington Books, 2008, pp. XXI-XXII. 

  3. Morse, “Introduction”…, pp. XXIII-XXIV. 

  4. Morse, “Introduction”…, pp. XXV. 

  5. Miyamoto Tsuneichi, The Forgotten Japanese: Encounters with Rural Life and Folklore, trad. di Jeffrey S. Irish, Berkeley, Stone Bridge Press, 2010, p. 14. 

  6. Ronald A. Morse, Yanagita Kunio and the Folklore Movement: The Search for Japan’s National Character and Distinctiveness, New York, Routledge, 2015, p. XXVII-XXVIII. 

  7. Morse, “Introduction”…, pp. XXIX. 

  8. Miyamoto, The Forgotten…, p. 16. 

  9. In parte, anche per Yanagita l’urbanizzazione e l’industrializzazione di massa, che lo Stato Meiji aveva mobilitato, avevano causato la rovina delle campagne innescando la migrazione dei contadini verso la città.
    Tamanoi Mariko Asano, “The Countryside and The City 1: Yanagita Kunio and the Japanese Native Ethnology”, in Tamanoi Mariko Asano, Under the Shadow of Nationalism: Politics and Poetics of Rural Japanese Women, Honolulu, University of Hawai’i Press, 1998, p. 116. 

  10. È giusto notare, per dovere di completezza, l’uso costante di reference fotografiche da parte di Mizuki per realizzare i suoi fumetti, come segnalato da Ryan Holmberg, traduttore e studioso di manga, nel suo profilo Instagram (https://www.instagram.com/p/CX1GPKyLfk7/). Bisogna ribadire, per evitare qualsiasi malinteso, che l’utilizzo di reference fotografiche (o il moderno photobashing) non diminuisce il valore delle opere, ma è anzi un mezzo con cui il possibile autore o autrice si aiuta nella realizzazione o sperimenta soluzioni visive affascinanti. Anche altri grandi autori del fumetto giapponese, come Shirato Sanpei (1932-2021) e Tsuge Yoshiharu (1937-), usavano reference fotografiche. 

  11. Samura Hiroaki (1970-), in una doppia intervista-dialogo con Fujimoto Tatsuki (1993-), segnala come Yaguchi disegnasse i paesaggi senza reference fotografiche. Link: https://swordtranslations.wordpress.com/2021/01/30/fujimoto-tatsuki-and-samura-hiroaki-interview/ 

  12. Potrebbe essere individuata una quarta via di rappresentazione del Giappone rurale anche nelle opere di Shirato Sanpei, tuttavia il discorso esulerebbe dal focus di questo articolo, viste le complesse implicazioni storico-politiche delle opere dell’autore. 

  13. Dagli anni Novanta in avanti, molti autori e autrici giapponesi, non solo a fumetti, hanno concentrato l’attenzione sulla periferia e sul vuoto esistenziale che comporta o provoca nei personaggi che la abitano, invece che sulle campagne e i boschi. Questo shift da “rurale” a “periferico” necessita di ulteriori approfondimenti per delineare precise direttive tematiche e grafiche. 

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