Il fantasma non è nella macchina, ma nelle immagini

Il fantasma non è nella macchina, ma nelle immagini

Se c’è una cosa che bisogna dire subito è che Fastwalkers (D Editore), prima ancora di essere effettivamente letto, si presenta come un lavoro interessante da studiare.
Innanzitutto, è stato realizzato da Ilan Manouach, uno degli artisti concettuali legati al fumetto più notevoli degli ultimi anni: a parte il sorprendente Peanuts Minus Schultz, che esula dal focus di questo blog, si può guardare a ONEPIECE, una geniale opera concettuale dedicata all’omonimo famosissimo manga. ONEPIECE, sorta di megalibro in potenza, è costituito da tutti i volumi del manga bestseller mondiale assemblati in un unico libro di 21.540 pagine. La larghezza del dorso è di oltre 80 cm e ovviamente non può essere letto, vista l’impossibilità ad aprirlo, presentandosi così come una scultura. L’autore scrive che, nella proliferazione del fumetto fluido disponibile su ogni dispositivo, “ONEPIECE può essere contemplato solo come una materializzazione dell’ecosistema digitale saturo di media proprio del fumetto digitale”, ma io aggiungerei che ONEPIECE può essere letto come un progetto che dimostra l’importanza nella cultura popolare di un’opera, reificando la stessa come scultura di carta non scomponibile, un macigno inamovibile e non trascurabile. Manouach quindi si presenta già in principio come un’artista capace di lavorare con il manga come inteso come fumetto, medium e/o arte.
In secondo luogo, Fastwalkers è un’opera hentai – mi limito a definirla nel mondo in cui viene presentata, ma ho già discusso qui sul termine hentai e su come sia fondamentalmente una costruzione euro-americana – creata e disegnata da Manouach e da un’intelligenza artificiale con il modello text-to-image, utilizzando algoritmi generativi che sfruttano dataset creati dallo stesso autore, “dando in pasto” al programma una serie di anime e manga erotici e pornografici.

Lasciando da parte il discorso produttivo e realizzativo specificatamente tecnico e tecnologico, perché al di fuori delle mie competenze e conoscenze – consiglio di recuperare, per un’introduzione sul tema, i due articoli di Francesco D’Isa e Lorenzo Ceccotti (LRNZ) che illustrano bene i possibili sviluppi e le criticità di questo complesso argomento, che coinvolge diversi campi del sapere e della cultura – quello che mi interessa analizzare è l’estetica di un lavoro stratificato come Fastwalkers, le sottili linee filosofiche che corrono dietro le immagini e i testi e il rapporto inscindibile tra questi.

Nel delirio post-delueziano che si scorge fin dal principio della lettura, si possono intravedere delle direttive che muovono l’intero progetto, a cominciare dal concetto di simulacro. Le immagini che il lettore vede scorrere sotto i suoi occhi non rimandano a nulla, non c’è una realtà alla loro base, sono vuote. Anzi, sarebbe meglio dire che sono piatte, nel senso attribuito a questo termine dalla corrente Superflat. Tuttavia, le immagini melliflue di corpi che si fondono tra di loro e che non mostrano nulla di pruriginoso sfidano l’immaginario di partenza, ci giocano furbescamente: sono già state consumate, ma spingono per essere consumate all’inverosimile, allo sfinimento, fino a sfaldarsi. Pur svuotandosi della loro componente pornografica, ma mantenendo un grande fascino, tendono comunque all’eccesso evadendo l’oblio che dovrebbero portare.
Il fantasma non è nella macchina, cioè nell’intelligenza artificiale che, sotto i prompt di chi scrive, sviluppa il prodotto del suo lavoro, ma è nelle immagini stesse: nel solco del pensiero intorno al discorso di hauntology, la loro qualità “futuristica” condivide i concetti del “gotico”1 e più che rifarsi al cyberpunk – per l’uso dell’IA piuttosto che per il resto, perché il concetto di punk mi pare abbastanza flebile: nonostante sia presente una componente DIY, molte altre caratteristiche vengono a mancare – prendono ispirazione dall’attitudine hyperpop.
Sembra paradossale dirlo, ma le immagini conservano una plasticità particolare, forse proprio per la loro natura di simulacri, vista la natura completamente fittizia del loro essere e tenendo in conto il fatto che la plastica è spesso sinonimo di finzione.

Fastwalkers è sì creato a partire da database, ma esso stesso è uno dei database teorizzati da Azuma Hiroki2, solo che contiene dati ormai scaduti, fuori tempo massimo, immagini non visualizzabili, un errore 404 in formato libro, soprattutto nell’intrigante insistenza di legare l’“erotico” – perché, in fin dei conti, non esiste l’erotico in tutto questo, ne rimane solo l’aroma come direbbero i suoi personaggi – e guerra: sono molte, infatti, le vignette che contengono disparate armi e armamenti militari, in una presa di posizione non politica ma nuovamente estetica. D’altronde l’opera è una dichiarazione di guerra al lettore, nel suo essere volutamente poco fruibile e poco accessibile.
Il legame tra estetica moe e guerra è ormai un classico in Giappone, dove proliferano opere a fumetti, animate e videoludiche che abbinano questi due elementi. Non si tratta, come banalmente si potrebbe pensare, di rendere appetibile il conflitto o, al contrario, criticarne la ferocia mettendo in pericolo giovani ragazze indifese, ma è invece uno stilema che funziona, che attira l’occhio dei fruitori, che affascina con la sua ambiguità3.
A complicare la possibile fruizione dell’opera, comunque, subentra una costruzione della pagina che si reitera, con vignette che tendono a riempire ogni anfratto della tavola, assaltando i sensi di chi osserva sovrastandone la comprensione. Un effetto ricercato e voluto, che sottolinea lo sforzo dell’autore nel costruire layer di significati con lo stesso set di significanti.
Ma, in conclusione, è poi un fumetto Fastwalkers? Si potrebbe rispondere in modi molto diversi, ma credo si possa intendere come un lavoro che abbraccia modi espressivi e forme d’arte da ambiti differenti per essere un lavoro che mette davanti a tutto la sua unicità, in linea con i precedenti progetti di Manouach: uno studio sul fumetto, sull’arte, sul senso dell’erotismo, sulle intelligenze artificiali, sulla bidimensionalità delle immagini, sui fantasmi estetici che ci perseguitano.

Ora, in tutto questo mix di elementi, potrebbe essere che questo articolo sia fuori fuoco, poco coerente o sconclusionato. In generale, non voglio andare a parare da nessuna parte né consigliarvi all’acquisto in stile Mastrota. Non sono la figura adatta a farlo. Su questo blog mi limito solamente a constatare la radicalità di certe opere nel contesto in cui si collocano o vengono collocate e questa, in maniera alquanto decisa, è sicuramente un’opera radicale, sperimentale, per una serie di motivi che ho provato a spiegare cercando di basarmi su alcune fonti. Le opere di cui parlo solitamente su questo blog mi stimolano alla scrittura e questa lo ha fatto più che degnamente, attivando delle connessioni con il mio vissuto e le mie esperienze di studio. L’obiettivo è sempre quello di fare critica, non influencing, e tutte le volte che riempio pagine mi chiedo se sto facendo bene quello che faccio. Nella speranza che sia così, come una qualsiasi delle fluide figure di Fastwalkers, viaggio tra i fantasmi delle mie immagini passate e future nell’attesa della rottura della matrice.


  1. Mark Fisher, “What is Hauntology?”, Film Quarterly, Vol. 66, N. 1, 2012, p. 16 

  2. Nel libro Otaku: Japan’s Database Animals, un’indagine filosofica dell’universo post-moderno consumista e delle sue conseguenze, soprattutto in relazione alla cultura otaku. Ne già parlato qui riguardo a Palepoli di Furuya Usamaru, ma sembra che questa tendenza sia ormai diventata transnazionale e non più confinata al solo Giappone, essendo quest’ultimo uno dei maggiori esportatori di cultura popolare negli ultimi 45 anni, come sottolinea bene Iwabuchi Koichi nel suo fondamentale testo Recentering Globalization: Popular Culture and Japanese Transnationalism

  3. Tamaki Saito, nel suo eccellente Beautiful Fighting Girl, ricostruisce ed espande in senso socioculturale e psicologico nel contesto giapponese il mito pop della giovane ragazza bellissima e letale. A questo link, inoltre, un brillante articolo in merito sul rapporto tra estetica moe e guerra.