Igort: un approfondimento su 5

Igort: un approfondimento su 5

Abbiamo incontrato Igort nelle tre giornate del Comicon. Non poteva esserci occasione migliore per parlare di "5 Il numero perfetto", il cui successo, a distanza di quasi dieci anni dalla sua prima pubblicazione, sembra non avere fine. Una chiacchierata intima, che esce dal fumetto per arrivare a Igort come persona....

IgortSardo, ma racconta Napoli. Igort, al secolo Igor Tuveri, non si risparmia alle nostre domande, confidandoci il suo particolare rapporto con la città partenopea. Non solo amore, ma anche dubbi e preoccupazioni per il particolare momento che vive la città. Ma Igort non parla solo di 5 e di Napoli ma anche del suo passato, del suo presente e del suo futuro attraverso dichiarazioni inedite e qualche notizia in esclusiva.

Siamo qui con Igort per parlare di 5, che qui al Comicon gode di una bellissima mostra. In questa opera non troviamo semplicemente le vicissitudini di Peppino Lo Cicero o la storia della sua vendetta, ma tramite i personaggi abbiamo una rappresentazione della stessa Napoli. Perché realizzare una storia così particolare ambientata proprio qui?
5 è il numero perfetto è una storia che ha molti livelli, è una storia un po’ esoterica in questo senso appartiene molto a Napoli come città. Napoli è una stratificazione nel tempo di culture diverse, e contemporaneamente una città-stato che ha le sue regole, le sue star, le sue televisioni, i suoi comportamenti. Ero in Giappone nel ’94, stavo lavorando per la Kodansha, e i giapponesi mi chiedevano: “Come è l’Italia? Ci piacerebbe capire come voi mangiate, che cosa vi piace, come vestite, cosa pensate“. Lì cominciai un’altra storia che si chiama Amore, tuttora inedita in Italia, pero’ contemporaneamente riflettevo e pensavo, volevo realizzare una storia che raccontasse il nostro sud all’Europa, e come saprete la città del sud a cui sono più affezionato e Napoli.
Questo perché cura la mia “sardità” in qualche modo, cioé io sono bianco e nero perché la Sardegna è così, invece Napoli ha un modo molto dolce di vedere le cose, anche le difficoltà. È una città che ha moltissime cicatrici e ti insegna a vivere anche negli spazi più strani, più minimi. Per esempio una cosa che a me piace molto è girare in auto a Napoli quando guidano i miei amici napoletani: qualsiasi cosa succeda non fanno una piega, neanche aprono la bocca, non si lamentano neppure, magari ci sono macchine in tripla fila…

Posso testimoniare che è così, io sono napoletano ma i miei amici che vengono da fuori si divertono molto a vedere cose come un vigile che ti fa andare contromano…
È una scuola di vita, ma non è anarchia: è la possibilità di riuscire a sopportare anche condizioni difficili con il sorriso. E questo passa dalla vita di tutti i giorni alle commedie di Edoardo. Napoli secondo me ha una grandissima potenza visionaria e culturale, ma veramente spaventosa. Io vado a comprare i cracker al supermercato e c’é la signora che è su una scala a mettere a posto i biscotti che sta cantando, e canta benissimo, perché a Napoli cantano tutti. Non devi essere Murolo per cantare a Napoli, invece a Milano sì, lì c’é la professione, cantano i professionisti. Milano ha il culto del professionismo. Napoli è una città stratificata di dolore, di sorriso, di morte, di cultura, di grandissima spinta vitale…in questo senso per me quando volevo raccontare una storia italiana, ho pensato che Napoli era un elemento potente per raccontare l’Italia e anche per provare a raccontare una cultura piena di contrastiDentro c’é sempre un elemento che fa parte della vita di Napoli, quasi di ironia anche nel tragico, e in questo senso raccontare italiano voleva dire secondo me anche imparare a raccontare secondo le regole nostre, anche perché quando poi parlo con un autore come Mazzucchelli mi dice ma finalmente una storia nella quale si vede l’Italia, si vede come mangiate, come siete vestiti, le macchine. Mazzucchelli ama l’Italia, pero lui è americano e a volte mi chiede come mai i fumetti italiani sono sempre tutti ambientati in questa finta metropoli americana. Allora ti vengono dei dubbi e ti chiedi: “ma forse gli italiani non conoscono bene la cultura italiana?“.
Per me era importante questa sfida ed è stato un vero casino, perché mentre New York la disegna anche un bambino perché è stata disegnata dai più grandi autori del mondo, per quel che riguarda Napoli io mi dovevo inventare il modo di rappresentarla, reinventarla graficamente: questo non è facile perché se tu lavori con la visione e con l’immagine devi capire qual è il modo di sfuggire dal realismo piatto, di far capire agli altri che non conoscono la città che il posto e la sua storia ti affascinano.
La tragedia è stata quando hanno provato a tradurre 5 in inglese, perché il “sense of humour” britannico non ha niente a che vedere con l’iperbole napoletana, cioé le parole che ci sono nel linguaggio normale di Napoli o nel modo di vivere di Napoli, sono secondo me intraducibili per gli inglesi, quindi io passavo delle ore e dei giorni a discutere con loro…

Prima abbiamo citato Edoardo. Ricordo che in “5” vengono citati altri personaggi simbolo della “napoletanità” come Caruso, Toto’… questa scelta di ambientarla a Napoli è anche perché sei rimasto colpito dalla sensibilità dei napoletani, dal fatto che riescano a vivere i sentimenti più intensamente rispetto ad altre parti del mondo. Volevo anche capire, e lo dico complimentandomi da napoletano, come sei riuscito a raggiungere una rappresentazione di Napoli così veritiera?
Io suono con musicisti napoletani e loro rimangono stupiti di questo mio amore per la città. Ai miei amici napoletani racconto Edoardo perché loro non lo leggono, hanno 28 – 29 anni, suonano con me, sono dei grandissimo talenti, pero’ non leggono e io racconto. Ogni tanto gli chiedo: “ma ‘buffettoné (schiaffo dato con particolare forza, ndr) si dice ancora?“. Loro di tutta risposta mi prendono in giro rispondendomi: “Igort preferiresti l’oscar o le chiavi della città di Napoli?“, perché per me Napoli è un valore particolare.
Quando ho cominciato a realizzare “5”, di tanto in tanto venivo a fare foto e non potevo stare più di 4 o 5 giorni, perché la città mi stordiva, era troppo importante: l’effetto emotivo che aveva su di me era devastante. Adesso pero’ riesco a rimanere per più tempo e visto che sto per affrontare “C’era una volta Napoli” (che è il seguito di 5), prendero’ probabilmente una casa in affitto per un mese e verro’ a “pascolare” un po’ per la città, per esserle ancora più vicino. Napoli è una bella donna, è una questione quasi irrazionale di sensualità.
Purtroppo pero’ l’ultima volta che sono stato qui l’ho trovata molto più decadente del solito, come se perdesse pezzi, con i miei amici napoletani che dicono di voler andare via.
Ma l’orgoglio dei napoletani è più forte. Ad esempio, una cosa che è successa dovuta all’orgoglio dei napoletani, non sempre veniva preso bene il fato che un sardo facesse una storia su Napoli. Toni Servillo, con cui siamo diventati amici, mi ha detto: “La prima volta che mi hanno detto che un sardo ha fatto una storia su Napoli e su un camorrista mi sono girate le palle..

Probabilmente pensava che si volesse rappresentare il cliché “Napoli=criminalità”
Servillo poi si è ricreduto, e ha raccontato quello che gli piace di 5 in una conferenza a Milano, dove io ho faticato a non lacrimare sul palco. Secondo me Napoli è una febbre, quando ti prende è una specie di delirio, sei in una specie di flusso e non ci sono motivi altri che quelli dell’affetto e dell’amore. Con la mia donna, abbiamo fatto un lungo giro a piedi l’altro giorno per attraversarla quasi tutta, e lei mi ha detto: “Adesso ho capito perché parli sempre di Napoli…“.
Per me è già una scelta dire “io sto con i terroni”, “mi sento terrone”, per me la nostra cultura è questa: se devo raccontare a uno straniero la ricchezza dell’Italia io non gli racconto né le teorie di Bossi sulla Padania, né la civiltà dell’Emilia, ma la potenza ancestrale che c’é qua, nella Magna Grecia e nelle culture stratificate di Napoli. Ho i brividi quando parlo di queste cose con loro e spesso penso: “ma dove cazzo sono gli autori italiani?”. Perché non la raccontano? Perché devo essere io che non sono di Napoli a raccontarla? Vi rendete conto che in Italia si conosce molto meglio Marilyn Manson di Edoardo De Filippo? Non è patetico questo?

Ci sono ragazzi molto giovani che pur essendo di Napoli, non conoscono Toto’ né Edoardo.
Qui c’é tutta una cultura mostruosa, ci sono grandi autori che vengono studiati all’estero, il problema è questo, è drammatico. Il punto è che c’é una micro-ottica, come dice sempre Servillo ne “Il sindaco del rione Sanità”: da un piccolo quartiere Edoardo racconta il mondo. Edoardo parte dal particolare come Fellini in Amarcord partiva da Rimini, che in Giappone non sanno neanche cosa è per parlare di se stesso, dell’Italia, del Fascismo e del mondo, dell’uomo. Bisogna avere la capacità di parlare come si mangia, essere consapevoli di non vivere in una metropoli o in una megalopoli, perché la città più grande italiana è molto distante da quella che può essere Tokyo, Seul o la stessa Parigi. Perché raccontiamo solo storie di metropoli fantascientifiche? Perché i nostri personaggi si chiamano tutti con nomi stranieri? Perché quando tu dici per la prima volta Peppino Lo Cicero sembra quasi una scherzo che un personaggio non si chiami John Doe, Nathan Never, Tex Willer, cioé possiamo fare una lista che non finiamo più.

5 ha come protagonisti dei criminali con dei loro valori, almeno rispetto a quelli di oggi, oggi la città è allo sbando. È sicuramente bello fare un giro turistico per Napoli per Napoli, ma si dovrebbe sapere che ci sono quartieri dove è bene girare con la luce accesa in macchina. 5 ti fa notare anche questa cosa: la differenza c’é tra la Napoli di 5 e la Napoli di oggi.
Voi mi state proprio trafiggendo… A settembre ho fatto un’intervista per La Repubblica quando è uscito 5 per Rizzoli e mi domandavano queste cose su Napoli, così ho tirato fuori la spada e ho detto : “no, no Napoli ce la fa, non è vero che sta morendo; è tutta una cosa mediatica…“. Adesso non la penso più così, è terribile questa cosa. Quando ho disegnato Napoli l’ho fatta molto pittorica, ad esempio disegnando palazzi con molta muffa, che stanno cadendo a pezzi…Gli amici con cui suono hanno il loro studio dietro il centro direzionale, una zona in pieno decadimento, così ai miei amici ho detto: “qua è ancora peggio”. Se dovessi disegnarla adesso Napoli sarebbe ancora più pittorica, e quando l’ho disegnata credevo di esagerare, e mi frenavo, mi dicevo di non esagerare con le pennellate espressioniste. Ora invece ci calcherei la mano, come se questa città stesse cadendo.

Ma secondo me non sta cadendo a pezzi, sta collassando. Io alle volta in quella zona ho l’impressione che i palazzi stiano per crollare
Il centro direzionale sembra Tokyo, un innesto che non c’entra niente con la storia di Napoli, che sembra un’isola. Subito dietro la città diventa cupa, spoglia, sembra disabitata, ci sono dei campi con decine di cani liberi, randagi che cercano da mangiare, dormono in mezzo alla strada. Questa visione è apocalittica, sarebbe piaciuta a Pasolini. Secondo me è lo specchio di quello di cui parlavamo prima, cioé la storia di Peppino Lo Cicero è una storia crepuscolare, ma è anche l’ultimo barlume di una visione quasi da cavaliere, cosa che ho sottolineato quando abbiamo staso la sceneggiatura del film. Ha un’etica precisa, ha una visione del mondo in cui lui si ritira perché sta subentrando un altro costume. Se avete notato il figlio di Peppino Lo Cicero si veste come negli anni ’50 anche se siamo negli anni ’70, perché è un prolungamento della vita del padre: per loro si è fermato tutto negli anni ’50, quando c’erano certi codici.

separatorearticolo Un rito possiamo dire…
Esatto, c’é questa componente rituale

Come nel regalo della pistola che Peppino fa al figlio.
Infatti, anche il regalo della pistola, il fatto che lui deve essere vestito bene, che quando va a uccidere gli deve fare tutta questa cosa dello sberleffo, sono tutti rituali scaramantici.

L’assassino del figlio di Peppino è uno straniero. Rappresenta forse il passaggio di consegne a una Napoli che forse è diventata straniera all’interno di se stessa
La cosa che io cercavo di raccontare è che è nel riflesso dell’acqua la vera essenza del reale…Napoli raccontata attraverso il grottesco e il paradosso è la vera Napoli, non è la Napoli del monumento o del palazzo o della fotografia, a me quello che interessava era rappresentare uno spirito, e questa è stata la fatica più grossa.Adesso che lo tradurranno in indonesiano non so cosa ne verrà fuori.

Peppino Lo Cicero da una cover di 5Quantomeno per i rumori onomatopeici che sono così caratteristici nella storia. Risulta difficile pensarli scritti in un’altra maniera.
Quando abbiamo pensato al film mi hanno chiesto di ambientarlo a Londra, perché la visione che ho messo di Napoli è molto piovosa oltre che deserta, mentre Napoli è formicolante, direi quasi metafisica. Io naturalmente mi sono opposto con tutte le mie forze, ho fatto presente che non lavoro al film se si fa una cosa del genere.
Non avrei mai potuto cambiare città anche per il ruolo delle donne nella storia, se la stessa storia l’avessi voluta ambientare in Sicilia non sarebbe stato possibile perché il ruolo delle donne a Napoli o nella Camorra non è lo stesso che hanno nella mafia. Le donne napoletane sono fortissime, hanno una potenza molto diversa da quella di una qualunque altra regione del sud, dalle sarde o dalle siciliane, non c’é lo stesso spirito.Leggendo i documenti antichi sull’influenza degli spagnoli a Napoli, i francesi che con il loro snobismo rileggevano la storia e dicevano che gli spagnoli avevano portato il ladrocinio, la truffa, il mercanteggiare, l’omosessualità, lì si legge anche tutto, la ricchezza di questa città fatta di un coacervo di influenze e poi anche di crisi drammatiche. Quando uno percorre questa città vede che era una capitale, ci sono certi palazzi che al confronto Montecitorio è insignificante. Questa è una città anche imponente, tutto il Rettifilo [1] ha una visionarietà urbanistica propria dei fasti importanti, che secondo me rimangono sulla pelle dei napoletani. Contemporaneamente i napoletani conoscono tutta una serie di codici, che sono codici per vivere e sopravvivere, che se non conosci sono problemi tuoi, perché in certi ambiti non è lecita l’ignoranza. Questa è una cosa che mi ha molto fatto pensare su come strutturare 5, che è una storia piena di cassetti nascosti, di montaggi paralleli ribaltati dopo tavole, ci sono simbologie sul 5 che non sono solo quella cosa che viene dichiarata, ci sono strutture, appunto un protagonista segreto, e questa costruzione esoterica che è un po’ come la costruzione di una sfinge o di una piramide egizia con tutti i cunicoli è stata suggerita per forza dalla struttura di Napoli come città. Non avrebbe potuto aver luogo in nessuna altra città.

Sarebbe stato diverso tutto.
Sarebbe stata diversa tutta l’architettura del racconto perché la stratificazione di lingue e anche di codici è quella che ha suggerito proprio la parte più profonda del racconto. Credo che sia per questo che Servillo ama tanto questo libro che mi cita a volte in alcuni contesti o che mi fa vedere secondo lui come si muoverebbe il personaggio al teatro o al cinema, prendendo i movimenti in prestito da Edoardo.

Secondo lei è corretto dire che questa opera è come un fiume nel quale sfociano diversi affluenti e ognuno di questi affluenti rappresenta un possibile livello di letture o un’interpretazione del testo? Voglio dire che racchiude al suo interno riflessioni su Napoli, sull’uomo, sul fumetto… È questa secondo te la vera forza di 5? Il motivo per cui a distanza di anni abbiamo ancora ristampe e mostre dedicate a 5?
Non so, questa cosa che dici mi lusinga molto, mi farebbe molto piacere che sia tutto questo. Io ho un solo modo di concepire il racconto che non è legato al tempo, il tempo per me è un elemento di sedimentazione, quando io sto lavorando a una scena, se stride, se c’é qualcosa che non va io la fermo e poi ci ritorno. Il punto è che per me i fumetti devono rimanere, io ormai è quasi trenta anni che faccio fumetti, dal ’79, e ci sono molti fumetti miei che io potrei ripubblicare e che non ripubblico.5 è un libro che era per me una sfida, volevo fare una cosa che non si consumasse dopo 5 minuti o anche un anno o due anni che era stata pubblicata. Forse ho aperto una strada nel mio lavoro, e spero anche nel fumetto in generale, o almeno mi piacerebbe che fosse così. Io credo che se un lavoro è complesso ha una stratificazione e una ricchezza a causa della quale non copri tutto la prima volta. La velocità con cui noi leggiamo le cose adesso e con cui la nostra società tende a farci consumare è sbagliata, non è umana, noi non siamo una macchina rapida, l’uomo è una macchina lenta e il suo bello è proprio questo. “Elogio della lentezza” era una scritta che mettevo su tutte le dediche. Ci spero che sia come dici tu, un fiume dove affluiscono tante cose.
Adesso affronto la seconda parte della storia, in cui parlo di Caruso e parlo del codice, che è il codice in cui il padre di Peppino insegna a Peppino il valore della musica, che cosa è la musica e che cosa è il fatto che l’uomo deve avere un codice, quello che sta trasmettendo in quel momento è il senso dell’esistere, attraverso un dettaglio insignificante: si mette la brillantina e in quel momento sta ascoltando Caruso. I dischi di Caruso nella storia avranno un senso particolare, perché quando la famiglia si sfascia completamente, metà delle persone partono, la sorella Titina va in America e lui rimane con lo zio squilibrato che è un giocatore e un donnaiolo, lo zio comincia a vendere a pezzi tutta la proprietà ma l’unica cosa che Peppino salva sono il fonografo con i dischi di Caruso. Lo zio che è diventato una camicia nera e che fa un po’ il playboy, che punisce il macellaio mandandolo al confino perché non gli faceva credito e lo fa passare per anarchico comunista durante il fascismo, approfitta della sua posizione e insieme a Peppino salvano quel patrimonio che è la musica, ed è un elemento per cui in qualche modo sta salvando la sua iniziazione. Questo senso del rito e dell’iniziazione è secondo me il senso di una cultura che stava svanendo in quel momento e che prima della morte del figlio va preservata. Peppino si ritira e va a pesca anche se potrebbe continuare a lavorare, non è vecchio, ha 62 anni, pero’ è come se fosse chiuso un capitolo della sua vita, poi ritorna molto incazzato quando il figlio viene ucciso, perché in quel momento una ruota illogica comincia a girare al contrario.

Quando un genitore vede morire il figlio è la cosa più atroce, non c’é neanche una parola per descriverlo: chi perde il genitore si definisce “orfano”, chi il proprio coniuge “vedovo”, ma non c’é una parola per definire la morte del figlio. Ma per Peppino è ancora peggio perché il figlio finisce ucciso in una vita che ha ereditato da lui, come se lo avesse consegnato alla morte.
Esatto, c’é anche la riflessione quando all’inizio lui non torna: “forse è meglio che pensiamo a un lavoro meno pericoloso“, quando ormai è troppo tardi. Ma c’é anche un dubbio: chiaramente Peppino ha l’istinto dell’uomo che vive in mezzo ai guai, che ha vissuto in mezzo ai guai per tutta la vita, intuisce che c’é qualcosa che non sta andando e quando alle 5 del mattino va a pesca riflette sul fatto che il figlio comincia a dargli dei pensieri. Sto lavorando su una cosa che per me è anche la mia carne viva, e voglio mettermi in pericolo, cioé mi piace giocare con questa cosa, di Napoli, dei miei amori, del fatto di cercare di raccontare un po’ chi cazzo siamo noi, perché questa cosa la puoi raccontare se riesci a capire o creare un affresco. Se noi vogliamo raccontare che cosa è la nostra identità o la nostra storia dobbiamo riuscire a creare un affresco il più possibile autentico…

Comunque basato su un’architettura strutturale che si basa su quello di cui abbiamo parlato sinora…
A me dispiace che un regista che io amo molto e che trovo sia un grande sceneggiatore, Paolo Sorrentino, a me dispiace che lui faccia un film su Andreotti, che secondo me va anche fatto, pero’ perde un po’ di “napoletanità”. Mi piacerebbe che Sorrentino rimanesse napoletano, come Edoardo che parlasse al mondo di Napoli, lui che ha avuto le palle di fare un film come “Le conseguenze dell’amore” che è scritto benissimo. Mentre lo vedevo ero contento di sapere che c’era qualcuno in grado di scrivere così nel cinema italiano e che non mi presentasse sempre l’affresco minimalista della crisi di famiglia, del trentenne che sta in casa…ma chi se ne frega? Ma non è vera questa cosa, è cronaca, è un realismo finto, non mi parla dell’uomo.

A questo punto visto che siamo in ambito cinematografico che ci puoi dire del film di 5? Si farà? Non si farà? Ci puoi dire qualcosa?
Servillo ha posto una clausola mortale, cioé lui fa 5 se lo dirigo io: questo è un problema serio che ha complicato molto le cose, perché io voglio lavorare assolutamente con Servillo che a mio avviso è il più grande attore italiano vivente. Una cosa che è stata meravigliosa è stata una presentazione che abbiamo fatto a Milano, di cui ho parlato sopra.
Questo non lo sa nessuno adesso ve lo racconto: per una cosa che abbiamo fatto a Torino io ho voluto Iaia Forte che parlasse di 5, lei l’ha letto ed è rimasta folgorata, ma lei non sapeva che quando io ho fatto Rita io pensavo a Iaia Forte. Una volta ho visto in televisione “I buchi neri” di Corsicato, e ho pensato: “madonna ma chi è questa?“. Io odio gli attori italiani, fanno quasi tutti schifo per me, ma quando ho visto Iaia Forte sono rimasto fulminato, lei ha una potenza che irradia, è la nuova Anna Magnani secondo me, ed è napoletana. Non vi rendete conto della fortuna che ha questa città, che ha i più grandi attori che ci sono in Europa e vivono tutti qui, si scazzano, si frequentano.
Quando mi hanno chiesto chi sono gli attori che vorresti, mi hanno fatto vedere Servillo e io da due foto ho capito che Servillo è Peppino Lo Cicero, lo può fare solo lui. Quando ci siamo incontrati la prima volta c’é stato un riconoscersi, ci siamo abbracciati come vecchi amici, cosa che non è successa con altri grandi attori e attrici che poi ho conosciuto per il film, perché a me non impressiona lo status dell’attore famoso. Quando ho visto Servillo ho capito che lui aveva completamente il personaggio nelle sue corde, per esempio da come mi parlava delle scene. Servillo è un grandissimo attore, uno che è deciso a mettersi in discussione, un attore della sua levatura che mi dice “io mi metto il naso finto” e rischia la pagliacciata, vuol dire che ha davvero coraggio e che sa che è sicuro di non sputtanarsi, è sicuro di giocarsela in quel crinale fra serio e grottesco.

E crede nella storia…
Lui ci crede moltissimo nella storia. Poi Toni ha fatto leggere a tutta la sua compagnia teatrale, mentre stava facendo “Sabato, Domenica e Lunedì” di Edoardo e a me sarebbe venuto un infarto se mi avessero detto che gli facevano leggere il libro mentre stava recitando Edoardo a teatro, quindi c’é stato un impatto fortissimo. Iaia è la prima attrice che ho pensato quando mi hanno chiesto chi potesse impersonare Rita. Deve essere Iaia Forte, perché quando io pensavo a un certo tipo di donna napoletana pensavo a lei che ha una bellezza interiore potentissima, perché non è Naomi Campbell, pero’ secondo me è bellissima, è molto affascinante, molto magnetica.

Anche per il suo aspetto: occhi celesti, capelli chiari e ricci
Pensa che Rita ha i capelli neri e lisci, per cui quando dicevo che Rita era Iaia Forte mi guardavano come se fossi impazzito, perché pensavano a un’altra tipologia di attore. Le ho parlato e le ho detto che, semmai dovesse succedere che io dirigo il film, tu sei l’attrice, altrimenti non se ne fa nulla. Adesso io sto scrivendo un’altra cosa, perché i diritti li ho venduti e per cinque anni sono della produzione. Un’altra cosa che io voglio dirigere in cui ci saranno in ogni caso Iaia Forte e Toni Servillo e naturalmente è un’altra storia ambientata a Napoli. Tornando al film di 5, hanno acquisito i diritti, della sceneggiatura hanno fatto una prima stesura, e anche la seconda stesura è stata approvata, hanno trovato una parte dei finanziamenti e hanno una serie di proposte per il seguito, cioé per il resto dei finanziamenti, devono decidere come dividersi gli equilibri economici.

Quindi siamo in una fase di pre-produzione già avanzata, bisogna risolvere solo alcune questioni economiche e burocratiche
Ho ricevuto già tre opzioni da Hollywood per il film, che vogliono perché credono nella storia e dicono che sarebbe perfetto per un grande vecchio attore americano. Io non ho potuto vendere a loro i diritti, per una questione di correttezza oltre che legale, pero’ tra due anni scadono. Mi hanno giurato che questo autunno cominciano a girarlo, se così non fosse io aspetto che scadano perché poi tornano nelle mie mani.

La gloria di 5 sembra non voler finire mai, quest’anno Napoli gli dedica anche una mostra, che in genere si dedica a un autore o a un fumetto nuovo. Noi l’abbiamo visitata e ci ha incuriosito che la mostra non si limita alle tavole originali del fumetto, ma ha tutto un allestimento particolare, la valigia di Peppino con su scritto Igort, la macchina di Peppino, la macchinetta del caffé. Chi ne ha curato l’allestimento?
La mostra è stata curata da Paola Bristot che segue il mio lavoro e organizza le mie mostre, insieme all’organizzazione di Napoli Comicon che ha lavorato in una maniera secondo me esemplare, in quanto si sono posti l’obbiettivo di analizzare quelle che erano le sottostrutture di 5. Hanno valorizzato gli elementi importanti per il mio lavoro che sono nella storia come appunto l’idea di viaggio, l’idea di rinascita, e anche delle cose tipicamente partenopee come la caffettiera. Ma l’idea del viaggio è un concetto importante perché è un viaggio nella memoria quello che c’é dentro il libro, ed è anche una rinascita. Il protagonista segreto di 5 è Rita, la donna che aspetta Peppino Lo Cicero, che crede essere il suo uomo, per più di venti anni e che a differenza di Peppino sa benissimo dove vuole arrivare. Rita ha un’idea della vita che è diversa da quella del camorrista gregario che è partito con strumenti culturali limitati e ha vissuto quella cosa come oggettiva, ossia “la vita è obbedire a certi ordini”, eseguire le commissioni dopo di ché cercare di fare questa specie di scalata sociale che può essere più o meno infame o più o meno eticamente riprovevole. Il punto è che all’interno di questa dimensione lei vede una prospettiva di vita diversa. Questa è la storia di una rinascita, cioé di un uomo che ha accettato con serenità la vecchiaia e l’idea di passare il testimone al figlio e aspetta tranquillamente di morire senza nessun rimpianto, e poi scopre che non ha capito un cazzo della vita e che la vita non era quella cosa lì.
Da questo punto di vista l’idea del viaggio era fondamentale perché il viaggio significa l’inizio di una nuova esistenza, e i ragazzi del Comicon, quelli che hanno studiato l’allestimento hanno lavorato sui concetti, e questo è secondo me importantissimo. Con il fumetto non stiamo facendo solamente entertainment ma cerchiamo di raccontare l’uomo, cerchiamo di portare un’idea di fumetto che sia complessa e articolata.

Note:
[1]
– nella parte storica della città: in seguito all’ epidemia del colera del 1884, il comune realizzo’ un piano di risanamento che interesso’ la parte meridionale della città, tra le zone più interessate ci fu il quartiere Pedino; quest’ultimo alla fine del 1800 risulto’ diviso in due dal Corso Umberto I e fu chiamato il “Rettifilo

Riferimenti
Il sito ufficiale di Igort: www.igort.com
Il blog di Igort: igort.blogspot.com
Coconino Press: www.coconinopress.com
Recensione di “5” all’interno della collana “Graphic Novel di Repubblica”

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