Il fumetto autobiografico vanta una tradizione ormai lunga e in qualche modo illustre, con uno sviluppo e una fortuna che per un certo periodo hanno quasi coinciso con l’affermazione del graphic novel.
Il lavoro di M. S. Harkness, che esordisce con Tinderella, si inserisce a pieno titolo in questo filone, riprendendo alcuni elementi che caratterizzano, ad esempio, il lavoro di autori come Joe Matt o Bob Fingerman: un tratto curato, lievemente caricaturale ma realistico, e un registro prevalentemente comico, utile a rendere la lettura piacevole e allo stesso enfatizzare i momenti drammatici.
E, infine, come il titolo – con un felice gioco di parole – suggerisce, una cospicua dose di sesso.
Il fulcro reale attorno a cui si muove la protagonista, e con lei il libro, sono però gli affetti, intesi come relazioni familiari e sentimentali.
Attraverso un racconto che procede per episodi, ma che ha più la struttura del romanzo vero e proprio che della cronaca quotidiana, la protagonista racconta la difficoltà di tracciare una rotta soddisfacente in ambito amoroso, capace di conciliare il suo desiderio di autonomia e la necessità di avere qualcuno accanto (ma forse non vicino).
Poco importa sapere quanto di quello che la Harkness mette su pagina sia corrispondente al vero; è vero però che alcune delle pagine che più restano impresse sono quelle, mute, in cui la protagonista si confronta col padre. Una ripetizione di vignette in cui davvero sembra di poter percepire la frustrazione di una figlia nei confronti di un padre non degno di questa definizione.
Al netto di certe esagerazioni, perfettamente in linea con una narrazione che, come abbiamo detto si propone come un romanzo autobiografico, il libro della Harkness convince soprattutto per la capacità di cambiare registro in maniera naturale, senza stravolgere la narrazione, ma sfruttando il proprio alter ego per raccontare una reale insoddisfazione anche nei propri confronti, senza esagerare in patetismi o eccessi drammatici. Anche i comprimari sono ben tratteggiati: lo spazio dedicato al fratello e alla madre sembrano sottolineare come, nonostante questi siano stati perlopiù assenti dalla quotidianità dell’autrice, la loro presenza sia in realtà determinante e costante.
Dal punto di vista stilistico la Harkenss è molto più vicina (come gli autori citati in apertura) ai comic book che al fumetto che una volta avremmo chiamato underground: solo in un paio di casi l’autrice passa da un tratto pulito e rotondo a uno più nervoso e ruvido, ma la scelta – a giudizio di chi scrive – appare un po’ forzata e poco funzionale. La forza del suo lavoro sta soprattutto nel riuscire a raccontare in maniera diretta e credibile situazioni di “normale” miseria affettiva, in cui il sesso è utilizzato alla stregua di una droga capace di regalare qualche momento di oblio e lontananza da se stessi.
Il libro si chiude con un chiasmo che rimanda all’inizio o, per meglio dire. a un nuovo inizio. Un modo per dare appuntamento al lettore al prossimo libro (che c’è già e si chiama Desperate Pleasures), un invito a continuare a seguire l’evoluzione, anche stilistica, di un’autrice il cui esordio è un lavoro che riesce nel difficile compito di aggiungere qualcosa di personale e forte al (sovra) affollato genere del fumetto autobiografico.
Abbiamo parlato di:
Tinderella
M. S. Harkness
Traduzione di Alessandra Castellazzi
Add Editore, Aprile 2022
128 pagine, brossurato, bianco e nero – 14,00 €
ISBN: 9788867833528