Gotham Central: da che parte sta Batman?

Gotham Central: da che parte sta Batman?

Le relazioni tra Batman, Gotham e i suoi abitanti, Joker e gli altri criminali: da Gotham Central ai capolavori del canone batmaniano.

batman_comesNelle vicende di Batman, il rapporto con Gotham e i suoi abitanti è ovviamente centrale, fin da quando l’uomo pipistrello era “semplicemente” il più grande dei detective.
In questo articolo ne ragioniamo partendo da un spunto offerto da Bersagli Facili, arco narrativo di Gotham Central, serie che assume il punto di vista dei poliziotti di Gotham (Ed Brubaker, Greg Rucka, Michael Lark, Gotham Central #12-15), e alla luce di tre celebri opere canoniche batmaniane: Il ritorno del Cavaliere Oscuro (Frank Miller); The Killing Joke (Alan Moore, Brian Bolland), Cosa è successo al Cavaliere Oscuro? (Neil Gaiman, Andy Kubert).
Per le nostre riflessioni, ci concentreremo sulle storie e i personaggi, lasciando ai margini le considerazioni sugli aspetti metanarrativi.

E se…?

Nella scena finale di Bersagli Facili, il commissario Michael Atkins chiede al capitano Maggie Sawyer, che ha servito svariati anni a Metropolis prima di aggregarsi alla Unità Grandi Crimini di Gotham: “Non hai mai dubitato che Superman stesse dalla tua parte, vero, Maggie, a Metropolis intendo?“.
Dopo la risposta negativa del capitano, il commissario prosegue: “Si crede che Patton [un agente della UGC] sia vittima della guerra fra Batman e il Joker“. soft_targets_end
Ecco la frase che dà voce a una delle possibilità più inquietanti su Batman: che stia combattendo una guerra privata e non in difesa di Gotham e dei suoi abitanti. Batman, quindi, come un signore della guerra, posto sullo stesso piano del Joker. Questa ipotesi modificherebbe il senso del comportamento dell’eroe, in particolare del suo rifiuto di uccidere gli avversari.

Nella conclusione dell’arco narrativo Vite a metà (Greg Ruka, Michael Lark, Gotham Central #6 – 10), il detective Renee Montoya grida a Batman, che l’ha appena salvata da Due Facce: “Così, quando evaderà fra un anno o due mi farà passare di nuovo tutto questo? È così che te ne occupi?“.
Batman risponde: “Lui avrebbe ucciso te o tu avresti ucciso lui. Nessuna opzione era accettabile“.
Questa risposta è coerente con la sua etica canonica: per quanto oscuro è comunque un cavaliere, e i cavalieri seguono le regole, compreso il non uccidere, anche riferito a criminali apparentemente irredimibili.
C’è una linea netta che separa i buoni dai cattivi e Batman sta dalla parte giusta di quella linea.

Tuttavia, nella prospettiva delle paure espresse dal commissario Atkins, questa condotta sarebbe motivata non tanto dal rifiuto di diventare come l’avversario, quanto dal fatto che, appartenendo a una stessa categoria (aristocrazia vs. popolo ordinario?), i signori della guerra non si uccidono fra loro. Combatterebbero una loro guerra e in tale scenario bellico le persone ordinarie sarebbero elementi del paesaggio, vittime della necessità di sviluppare il gioco. Nei loro confronti, non ci sarebbe quindi nemmeno odio, quanto disprezzo. In questa visione, la posta in palio sarebbe la propria affermazione sui rivali, di cui il controllo di Gotham finisce per essere qualcosa fra un corollario e una scusa, ma non la ragione profonda.

La linea che separa i buoni dai cattivi

killing_joke_endSoffermiamoci a questo punto su una delle scene più celebri del canone batmaniano, quella che chiude The Killing Joke. Sconfitto per l’ennesima volta, il Joker racconta una barzelletta a Batman che resta da prima impassibile e poi si unisce all’avversario nella risata. I due sono in piedi nella pioggia e Batman allunga le braccia e stringe le spalle del Joker, in un gesto di complicità che inquieta.

Superficialmente, l’inquietudine nasce dal fatto che tale gesto possa alludere a un’affinità fra i due: sia Joker sia Batman sono frutto di una giornata sbagliata, ed è qualcosa di simile al caso ciò che ha trasformato l’uno in un criminale e l’altro in un eroe. Forse, tutta la differenza sta nel fatto che Joker è psicotico e Batman solo nevrotico: stanno da parti opposte rispetto a una linea estremamente labile.
Tuttavia, più profondamente, quello che veramente inquieta e che quella scena insinua, è proprio il sospetto espresso dal commissario Atkins: che i due appartengano a un loro mondo, separato da quello dell’umanità ordinaria.

Moore prima e Brubaker poi non lo affermano; lo alludono tramite la storia (Moore) e tramite i dialoghi dei personaggi (Brubaker). Attorno a Batman si crea un’aura di ambiguità che suscita diffidenza: quanto è affidabile l’Uomo pipistrello?
Tralasciando l’aspetto metanarrativo di riflessione sul rapporto fra la figura del supereroe e i valori con cui si confronta, il punto forte dell’opera di Moore è proprio questo snaturamento di Batman, di cui i dubbi dei personaggi di Brubaker sono il riflesso a distanza, o, forse, l’interpretazione più lineare, almeno dal punto di vista dell’umanità ordinaria, di quella comunanza di spirito messa sulla pagina dallo sceneggiatore inglese.

La distanza dal canone

Per apprezzare la distanza di questa suggestione dalla rappresentazione canonica di Batman, consideriamo quanto raccontato ne Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller e in Cosa è successo al Cavaliere Oscuro? di Neil Gaiman.
Nel primo, Batman ha a cuore Gotham e le sue persone: si confronta con un mondo che cambia e dichiara esplicitamente i propri valori. Agisce “con” le persone, è di fatto un agente attivo e consapevole nella maturazione degli altri e forma un gruppo di cittadini che si prende in carico la difesa della città. Trasmette loro il senso di responsabilità, la speranza stessa di poter contribuire a formare il futuro, non solo in senso individuale, ma comunitario.
Questo Batman, insomma, crede nelle persone (l’interpretazione di Miller è al limite del canone proprio per questa sua fiducia nei valori di comunità e individuali).

bga_footerjpg
Il Batman di Gaiman non è una guida per le persone, è una figura isolata che si prende cura con amore dei propri concittadini e della propria città. È al loro servizio e proprio questo è il (e non semplicemente “dà”) senso della sua vita: Batman è Batman perché si prende cura di Gotham e dei suoi abitanti; è questo e non gli scontri con suoi nemici a definirne la figura. Riflettendo sulla propria esistenza, l’Uomo Pipistrello comprende che proprio le persone ordinarie sono al centro della sua missione; tutto il resto passa e può cambiare; i super nemici diventare alleati e viceversa, ma Gotham e i suoi abitanti restano. È la profondità e purezza di questo amore a illuminare la vita di Batman e a rassicurarci (l’interpretazione di Gaiman è al limite del canone proprio per questa sua purezza e luminosità).

Quello di Brubaker in Gotham Central invece è un Batman silenzioso, sfuggente. Compare al momento giusto, certo, e salva persone e città. Ma la reazione degli agenti è: “Perché compare solo all’ultimo momento?“; “Perché salva le persone, la città E i criminali?“.
Che giustizia è quella che si accontenta di fermare criminali come il Joker o Due Facce in maniera sconsolatamente temporanea (un altro soggiorno ad Arkham, da dove fuggiranno appena ne avranno voglia), offrendo loro di fatto l’occasione per tornare a uccidere e seminare terrore? Il Joker e i suoi simili sono forse più importanti dei cittadini ordinari?
Insomma, nei confronti di questi supercriminali: Batman confida nella loro possibilità di cambiare o in realtà evita che siano eliminati perché membri della sua stessa comunità di individui comunque straordinari? Questi dubbi non hanno risposta: sono l’eco amplificata di quella risata sotto la pioggia che ha unito Batman e Joker e uno degli aspetti più intriganti di Gotham Central.

whatever_doppia

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *