Un’artista da Eisner: intervista a Elena Casagrande

Un’artista da Eisner: intervista a Elena Casagrande

È una delle più apprezzate artiste italiane negli USA, reduce dal successo della serie Black Widow: ecco cosa ci racconta Elena Casagrande di questa esperienza.

Dopo la pausa estiva, tornano le interviste ai talenti italiani che lavorano nel fumetto statunitense. E non potevamo che ripartire con Elena Casagrande, reduce dal successo di Black Widow, che è valso a lei e al team composto da Kelly Thompson e Jordie Bellaire il premio Eisner come Best New Series. Con lei abbiamo parlato del suo lavoro su questo fumetto, delle sue impressioni dopo aver lavorato al primo numero della serie e dell’emozione provata per questo importante riconoscimento.


Cover_BlackWidowCiao Elena e grazie per il tuo tempo.
Partiamo subito col botto: hai vinto un Eisner per Black Widow come miglior nuova serie! Come ti sei sentita? E come si è sentito tutto il team dietro a questo fumetto?

Ciao e innanzitutto grazie a Lo Spazio Bianco per questa intervista! Non voglio fare la finta umile né passare per ingenuotta, ma la vittoria dell’Eisner è stata per me una bella sorpresa. Una sensazione di stupore partita già quando abbiamo avuto la nomination: mai mi sarei aspettata di arrivare tra i candidati con un seriale e pensavo veramente, soprattutto vedendo gli altri candidati, che la soddisfazione si sarebbe fermata a quello. Non ho mai lavorato con lo scopo di vincere un premio, tanto meno l’Eisner, anche se è sempre stato nei miei pensieri come “un giorno forse potrei riuscirci, sarebbe bello, anche come prova tangibile che qualcosa di buono l’ho lasciato”, ma era un sogno latente, che ritenevo veramente lontano. Su Black Widow ho lavorato sempre e solo col pensiero di divertirmi, e l’aver avuto carta bianca dall’editor e una particolare affinità con lo script di Kelly Thompson, mi ha permesso davvero di poter essere creativa senza ansie particolari: mi piace pensare che sia stato questo aspetto a esser ricompensato. Tutto il team ne è rimasto profondamente entusiasta, felice e ne ha giovato la sinergia con cui ancora oggi continuiamo a lavorare. Abbiamo voglia di fare qualcosa in più e questo mi rende ancor più motivata nel mio lavoro.

Partiamo dall’inizio di questa storia. Credo che non sia un mistero che il progetto di una nuova serie sulla Vedova Nera sia nato sull’onda del film Marvel su Black Widow, ma come si è strutturata l’idea di questa  testata e come sei entrata nel gruppo di lavoro?
Sì, ovviamente l’uscita della serie era legata a quella del film, si sarebbero dovuti spingere a vicenda, o almeno la serie ne avrebbe giovato di più. Ma la pandemia ha colpito anche la nostra testata, che prima della fine della run iniziale, fu addirittura sospesa come progetto da valutare se proseguire o meno. Ci fermammo per un paio di mesi circa, poi per fortuna potemmo ripartire, ma sempre nell’indecisione della data di uscita, visti i continui rimandi della pellicola nei cinema. Alla fine gli editor decisero che non si poteva aspettare oltre e così uscimmo prima del film, ma la cosa pare non averci penalizzati! La serie è strutturata, come succede spesso, per rappresentare un punto di inizio di lettura per i nuovi fan, ma essere anche godibile dai lettori di vecchia data; una sorta di rilancio del personaggio, messo di fronte a una svolta decisiva nella sua vita narrativa in quanto non ci sarà più un ritorno allo status quo, ma le vicende del primo ciclo avranno costanti ripercussioni sul futuro di Natasha.  Io fui contattata mentre lavoravo alla DC: avevo da poco concluso una storia celebrativa di Wonder Woman e le collaborazioni con la casa editrice anche se piccole erano costanti. Ricevetti un’email dalla mia attuale editor e Rickey Purdin (Talent Relations Director/talent scout per Marvel Comics, NdR) cercò di incontrarmi a Lucca Comics, ma gli impegni reciproci ce lo impedirono; era comunque evidente che avessero forti intenzioni di collaborare sul rilancio della Vedova Nera. Io ero timorosa nel tornare su una testata che era potenzialmente seriale, perché da dopo la gravidanza le mie ore lavorative si sono ridotte drasticamente, quindi temevo di non poter mantenere la puntualità nelle consegne. Vedendo che le mie condizioni furono ascoltate, alla fine mi convinsi a provare, dopo aver letto solo il pitch della storia. Non ci è riuscito un bimbo di due anni e mezzo, bensì una pandemia a far saltare tutte le tempistiche, tuttavia stiamo ancora oggi portando il bottino a casa: la serie vive di rinnovo ogni cinque numeri e il feedback del pubblico le sta permettendo una costante prosecuzione.

BlackWidow_2Come si svolge il lavoro tra te e Kelly Thompson? Quale è stato il contributo da te fornito che ti ha dato più soddisfazioni?
Le modalità di lavoro tra noi sono molto semplici: innanzitutto è un vero e proprio lavoro di team, partendo dal fatto che i nostri scambi di email avvengono sempre con l’editor in copia, Sarah Brunstad, che contribuisce a sua volta con idee ed eventuali correzioni. Kelly ha sempre la premura di buttar sul fuoco ottimi input sia per me sia per i colori, per i quali ci affidiamo alle abili mani di Jordie Bellaire. Se c’è qualche nuovo personaggio nel numero in lavorazione, la prima cosa che si fa è buttar giù uno studio che lo definisca, sia per capire se visivamente è quello che Kelly aveva in mente, sia perché ora che i collaboratori sono aumentati (vedi la collaborazione su pagine e numeri interi di Rafael Delatorre) è sempre meglio ottimizzare la comunicazione per non creare gap di continuità tra storie e artisti. Poi leggo lo script, vedo se ho dubbi, chiedo references (e Kelly è sempre super esaustiva su questo fronte) e comincio a buttar giù i thumbs di tutto il numero. Questa fase, nonostante sia quella che definisce storytelling e regia, è composta da scarabocchi talmente piccoli e incomprensibili che li tengo per me; è solo quando trasformo i thumbs in matite che Kelly e Sarah possono dirmi se c’è qualcosa che non funziona. Sulle pagine con scene d’azione più complesse (come alcune delle doppie splash page), prima di renderle a matita creo degli schemi per avere da loro un feedback sulla comprensibilità della pagina. Alcune volte i tempi stretti non hanno permesso cambi di immagine, ma è stata Kelly a riadattare i testi in base ai disegni.
Sicuramente quello che credo di aver fatto diventare il biglietto da visita della serie sono le doppie splash page, nelle quali, senza volerlo, sin dal primo numero ho riversato tutta la mia creatività: le indicazioni erano minime ed essenziali, sono poi io che ho dovuto far coincidere tutti i pezzi del puzzle e renderlo accattivante e comprensibile visivamente. Questo mi ha dato e continua a darmi molte soddisfazioni, perché rappresenta ormai a ogni numero un appuntamento fisso che però ogni volta deve essere diverso per non annoiare!

In questo lavoro ho visto una grande evoluzione del tuo stile: pur partendo da una base molto dinamica, in questa il tuo tratto e il tuo storytelling sono arrivati a un altro livello, raggiungendo un bilanciamento tra azione e emozione, recitazione e struttura della tavola davvero notevoli. Che lavoro hai compiuto in questi anni? Ci sono state influenze ulteriori che hanno plasmato il tuo stile?
Innanzitutto ti ringrazio dei complimenti! Se devo essere onesta in questi anni il lavoro maggiore l’ho compiuto su me stessa, e di conseguenza sui mio lavoro: mentalmente, a livello di reference visive, bagaglio culturale e fumettistico, non sono andata molto oltre quello che avevo quando ad esempio lavoravo su Suicide Risk; sicuramente ho aggiunto qualche autore nuovo e letto nuove storie, ma le influenze principali marchiate a fuoco nella mia mente rimangono le letture che mi hanno accompagnato da piccola, quindi manga, i maestri del fumetto italiano che pubblicavano i classici della letteratura a fumetti e il cinema. Quello che è cambiato sono stati i tempi di lavorazione, ovvero l’avere l’opportunità di passare più tempo sulle pagine per curarne meglio i dettagli e la narrazione, aggiungere effetti speciali e correggere le imperfezioni, cose che prima molto spesso mi ritrovavo a sacrificare, sia perché lavoravo su più cose contemporaneamente, sia perché già di base avevo consegne più strette. Quello che quindi ho capito, dopo essermi fermata per un attimo con l’arrivo del bimbo, è che la prima cosa di cui avevo bisogno era il tempo: le collaborazioni con la DC hanno permesso di maturare l’idea e attuarla, con l’arrivo del lavoro su Black Widow ho avuto conferma che la qualità la ottenevo a suon di tempo: ho quindi cominciato a dedicarmi a un solo progetto alla volta, ma dedicandomici con il massimo delle mie energie. La possibilità di evitare il senso di oppressione costante con cui ho lavorato quasi sempre (nonostante rimanga la pressione di rispettare i tempi di consegna, fattore che comunque aiuta a scaltrirsi nel trovare determinate soluzioni grafiche), ha come dilatato il mio portfolio di “strumenti” con cui lavorare e non ho fatto altro attingere e ibridare quel che già conoscevo: linguaggio del fumetto e linguaggio del cinema.
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Dato che sul nostro sito abbiamo una rubrica dedicata alle First Issue, vorrei chiederti quali sono state le sensazioni che hai avuto leggendo il primo script di Black Widow e quando hai concluso l’albo di esordio.
Lo script di Kelly mi ha catturata sin dalla prima lettura, perché le promesse per una storia avvincente, triste e romantica c’erano tutte: adoravo il fatto di avere in campo altri personaggi conosciuti come Hawkeye e Winter Soldier e doverne creare di nuovi, come James; adoravo che ci fosse un inizio super confortevole con una scena classica di una classica missione, per poi essere sconvolta con un salto spazio temporale; ho adorato anche la possibilità di raccontare San Francisco (città che ho visitato e di cui mi sono innamorata) con una pagina tutta muta, solo di panoramiche. Kelly scrive in un modo che facilita tantissimo la trasposizione in immagini, appena leggo già so come sarà la scena, e la storia ha anche quei momenti che pizzicano proprio le mie corde: la vendetta, la maternità, l’amore e la lontananza.

Ci piacerebbe che ci descrivessi la nascita di questo primo numero e magari una tavola particolare che ha richiesto delle decisioni particolari, o che ti è più piaciuta realizzare rispetto ad altre.
Non c’è stato un preciso processo creativo, semplicemente leggevo e immaginavo: la scena iniziale è un esordio conosciuto, Natasha è nel suo ambiente, come rendere la cosa “accogliente” per il lettore ma non noiosa? Ho messo dentro tutto quello di cui parlavo sopra: inquadrature da 007 e una doppia splash ispirata al piano sequenza nella prima stagione della serie televisiva di Daredevil; c’è un siparietto tra Clint e Bucky, e allora come non potermi ispirare all’Occhio di Falco di David Aja? La nuova Natasha è un’architetta, c’è una scena sui grattacieli: più vignette verticali e ricche di panoramiche; ha una nuova moto? Facciamola vedere bene!  Lo stesso vale per San Francisco, che è protagonista quanto lei. E poi si finisce con un pizzico di romanticismo interrotto da un vecchio nemico della Vedova, che come spesso succede ai cattivi, trama nell’oscurità dietro uno schermo.
Di questo primo numero adoro la doppia splash, perché è partita dallo spunto televisivo citato prima, ma ha unito quello a molte altre cose: sono molto contenta di esserci riuscita. A questo aggiungo la pagina muta con il viaggio in moto di Natasha, molto cinematografico e poco fumettistico (soprattutto per il mercato americano) sin dallo script di Kelly, che temeva infatti non le fosse approvato.

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Oltre al lavoro su Black Widow, stai lavorando ad altri progetti, sia Marvel che esterni?
Come detto poco fa, per ora la decisione di lavorare su un progetto solo alla volta perdura, sia per una questione di voler mantenere una certa qualità, sia perché alla fin fine davvero non mi rimane tempo per altro, dato che non lavoro full time come un tempo. Riesco a infilare piccolissime collaborazioni ogni tanto, come le cover per la Bugs Comics o illustrazioni per altri progetti, ma per ora rimango concentrata su Black Widow. In futuro ci potrebbe essere altro, ma, ripeto, una cosa alla volta.

Grazie ancora Elena, e buon lavoro sulla Vedova!

Intervista realizzata via mail a settembre 2021

Elena Casagrande

ElenaCasagrande

Dopo aver frequentato la Scuola Internazionale di Comics, debutta nel 2006 come professionista in USA con la IDW Publishing (Star Trek, Ghost Whisperer, Angel, Doctor Who, X-Files). Ha pubblicato con Marvel (Hulk Rosso), Image (Hack/Slash), BOOM! Studios (Suicide Risk, con Mike Carey, edito in Italia da Bao Publishing), Titan Comics (Doctor Who: The Tenth Doctor), DC Comics (Vigilante:Southland, Batgirl, Catwoman). Attualmente è sulla serie di Black Widow su sceneggiature di Kelly Thompson e colori di Jordie Bellaire, con la quale ha vinto il premio Eisner 2021 come Best New Series. Insegna alla Scuola Romana del Fumetto.

 

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