Quasi quindici anni fa, in un nostro dimenticato libercolo intitolato “Moralista da fumetto”1, avevamo coniato una categoria denominata «fumetti im-popolari» (scritto così, con il trattino, tanto per fare il verso ai post-strutturalisti francesi). In essa si dovrebbero far rientrare quegli albi a fumetti che, limitando al massimo le ambizioni «artistiche» o addirittura accantonandole completamente, si propongono di raggiungere un pubblico il più vasto e indifferenziato possibile, conseguendo però l’effetto opposto di risultare «invisibili», ossia essere ignorati da tutti al momento dell’uscita e, in breve tempo, finire nel dimenticatoio.
Pubblicazioni che, nate da un’ideale aspirazione al rango della popolarità, si rivelano insomma le più impopolari di tutte, ancor più di quelle che, concepite in partenza come elitarie, riescono tuttavia a raggiungere una loro sia pur limitata platea.
Di questo tipo di fumetti, che in genere scimmiottavano infelicemente un modello più alto (letterario, cinematografico o, a sua volta, fumettistico), è però più corretto parlare al passato, perché si tratta di un fenomeno esauritosi una ventina di anni fa, allorché l’editoria a fumetti italiana ha definitivamente smesso di frequentare i territori dell’improvvisazione e del volontarismo.
Diversi casi esemplari di «fumetti im-popolari» sono stati censiti, con tanto di riproduzione delle copertine di tutti i numeri di ogni collana, nel secondo tomo della monumentale opera Avventure Noir (pp. 236, euro 41, luca@mencaroni.it), in cui Luca Mencaroni ha censito i tascabili «minori» usciti nel nostro Paese tra gli anni Sessanta e Settanta, e riconducibili – oltre al noir che dà il titolo al volume – a generi come la fantascienza, il western, il poliziesco, lo spionistico e altri.
A parte mostrare le copertine di tutte le serie catalogate (con una magnifica qualità di stampa e su una carta che è una gioia per i sensi: la vista, il tatto e persino l’olfatto), il libro di Mencaroni fornisce una gran messe di rare informazioni non soltanto sulle serie stesse ma sugli autori e gli editori (spesso oscuri e misconosciuti) che diedero loro vita.
Molte di queste serie, proprio in quanto «im-popolari», ebbero una durata assai breve, e il loro principale fascino, dato che i contenuti sono per lo più di livello modestissimo, sta nel fatto che inducono a domandarsi come sia possibile che siano stati spesi dei soldi e almeno un poco di energie per realizzarle.
Come sia possibile, cioè, che qualcuno abbia ritenuto una buona idea investire in qualcosa che aveva palesemente inscritti in sé, fin dall’inizio, i geni del fallimento.
Sono interrogativi che non ci si può non porre di fronte a testate dal formato tascabile come Bill Boyd (tre numeri, ma il terzo in realtà risulta irreperibile, usciti nel 1963 per le edizioni S.I.T.E. di Roma e incentrati su una classica figura di pistolero del West), Il Cavaliere Nero (tre numeri usciti nel 1964 sempre per la S.I.T.E.: storie di ambientazione settecentesca al centro delle quali vi è un giustiziere mascherato), Guerra (due numeri usciti nel 1966 per la casa editrice romana L’Umorista e contenenti racconti bellici), Cupido (quattro numeri usciti nel 1966 per l’Editoriale Corno di Milano: novelle sentimentali), Flipper (quattro numeri usciti nel 1967 per le Edizioni Lysis di Milano: il protagonista è un giovane beatnik), Brancaleone (sei numeri usciti tra il 1968 e il 1969 per l’editore Comics di Milano: avventure picaresche ispirate al film di Mario Monicelli con Vittorio Gassman), Kalì (otto numeri usciti tra il 1969 e il 1970 per le Edizioni Alhambra di Milano: l’eroe è un epigono di Tarzan)…
Non lo si fosse capito, il fatto che i quesiti di cui sopra – sintetizzabili nella domanda «perché sono state commercializzate cose simili?» – non troveranno mai una risposta, produce un incantamento che non può non sedurre ogni vero amante della carta stampata. Un incatamento che il libro di Mencaroni, soavemente, amplifica.
Originariamente pubblicato su “Libero” dell’1 maggio 2014