Gli Eisner Awards 2020, l’autorevole premio del fumetto americano, prevedono una specifica sessione per i webcomic fin dal 2005. L’inserimento di tale categoria ha rappresentato un significativo riconoscimento dell’importanza di questo nuovo medium (in USA, i primi a premiarlo furono l’Eagle Award e l’Ignatz Award, ma gli Eisner restano il premio più rilevante). I vincitori hanno confermato globalmente un’annata molto al femminile.
Quest’anno il premio per il webcomic è quindi andato a Fried Rice, di Erica Eng (https://friedricecomic.com/). Si tratta di un classico “slice of life” di stampo autobiografico, che narra le vicende di una ragazza malese che vuole lavorare nel campo del fumetto e dell’animazione. Eng è la prima fumettista malese a ottenere un riconoscimento da quello che è considerato (con un po’ di enfasi) “l’Oscar del fumetto”. Come tipico di questo genere, la trama è volutamente esile, soffermandosi su minute sfumature di emozione vissute dalla protagonista e dai comprimari. La bellezza del segno è innegabile, con tavole acquerellate raffinate e curate. Tuttavia, stante l’alta qualità dell’opera, non vi è in questo caso uno specifico forte del webcomic: le tavole sono simili a quelle di un fumetto cartaceo, oltretutto nel formato a tre strisce tipico del fumetto italiano, con una gabbia sapientemente usata ma del tutto nel segno della tradizione. Appare evidente – e legittimo – che l’autrice pensi tale pubblicazione web come propedeutica a quella cartacea.
Lo stesso si può dirsi di reMIND, di Jason Brubaker (http://coffeetablecomics.com), che è un fumetto tradizionale di stampo fantastico, di indubbia buona qualità, reso disponibile in PDF – iscrivendosi al sito dell’autore – oppure disponibile, in forma adattata, su varie app.
Third Shift Society, di Meredith Moriarty è invece un fumetto tradizionale di argomento fantasy-weird. Una ragazza viene casualmente in contatto con un detective del sovrannaturale che, scoperti i suoi poteri nascosti, la assume come assistente. Siamo nei pressi di fiction sul tipo delle Witch disneyiane, a loro volta modellate su una tradizione di supernatural fiction tipica di prodotti come Charmed e affini. La storia, disegnata in un segno manga efficace ma piuttosto convenzionale, sfrutta piuttosto bene il verticalismo per la narrazione (ad esempio, con la dilatazione dello spazio bianco tra vignette per ragioni emotive o di suspense). Siamo quindi appieno nel webcomic, ma tutto sommato poco sperimentale.
Sotto il profilo dello specifico del formato, risultano più interessanti gli altri candidati, dove troviamo invece un tasso di sperimentalità abbastanza forte, almeno rispetto all’attuale scena italiana. Cabramatta, di Matt Huynh tratta della comunità vietnamita in Australia, della sua difficile integrazione, delle band vietnamite legate allo spaccio e al racket. Siamo quindi nei pressi, di nuovo, di un fumetto in parte autobiografico legato alla storia di una minoranza, anche se il ritmo narrativo è più veloce e ricco di eventi, e il segno essenziale e graffiante in un sintetico bianco e nero. La cosa più interessante è lo specifico tecnico del webcomic: un elegante slideshow di singole vignette su sfondo nero, con l’uso di molti espedienti correlati come l’uso di sonorizzazioni, o piccole animazioni della vignetta. Espedienti ormai poco frequenti nel webfumetto italiano, usati in parte agli inizi, con la novità del medium (ad esempio, in Eriadan) ma ultimamente tralasciati. In Cabramatta va notato inoltre come questa tecnica elimini la sequenzialità giustapposta che è considerata lo specifico del fumetto, non a caso proprio nella teoria di Eisner risistemata da Scott McCloud.
E non è inevitabile: un simile linguaggio è usato (con esiti profondamente diversi) in Chuckwagon at the End of the World, di Erik Lundy. La storia è un action surreale, reso estremamente dinamico grazie all’uso di una tecnica praticamente di stopmotion. Tuttavia, resta un montaggio sequenziale, con la compresenza di più vignette (totalmente libere nel tipo di montaggio) sullo schermo per costruire la storia. Per contro, l’elemento delle mini animazioni è così pervasivo da far interrogare su quale diventi il confine tra webcomic e cartone animato in stop motion.
The Eyes, di Javi de Castro, infine, è estremamente interessante: a nostro avviso, forse, il migliore nell’indagine dello specifico del webcomic. Si tratta di una serie di episodi autoconclusivi sul concetto di “guardare”, cosa che ha una inevitabile natura meta-narrativa che viene sviluppata con un uso forte dello specifico del medium. La struttura del comic è basata sul verticalismo, con un segno essenziale, pulito e preciso, a colori. Vi sono inserimenti di effetti di animazione, ma sono relativamente minoritari e prevale la struttura fumettistica. Gli interventi vanno tutti a giocare sul tema della visione. La prima storia, ad esempio, è sull’invisibilità, e abbiamo quindi un uomo invisibile, divenuto tale col classico siero, che appare e scompare dalla vignetta. Oltretutto, in ogni storia c’è un doppio piano di lettura: la prima certo parla di invisibilità in senso “fisico”, ma sotterraneamente tratta anche dell’invisibilità delle colpe dei padri agli occhi dei figli. Si struttura così un triplo piano di lettura: ogni storia ha un effetto diverso, collegato a un diverso tema fantastico (non realistico) sulla visione, che diviene un tema psicologico. In Miraggio abbiamo il glitching, in The evil eye la luminescenza, in Visions la simultaneità della visione, in Focus la sfocatura.
Sarebbe poi interessante analizzare anche le storie brevi candidate a questi Eisner Awards, in quanto molte di esse sono di fatto dei webcomic. Ma tutto ciò sarà oggetto di un prossimo approfondimento.