Qualche mese fa la casa editrice romana Graphofeel ha dato alle stampe Mickey Mouse – La vera storia del topo più famoso del mondo, un agile saggio che ha l’obiettivo di raccontare la storia e l’evoluzione di Topolino, a partire dai primi cortometraggi animati in bianco e nero arrivando ai giorni nostri, passando per cinema, televisione, merchandising e ovviamente fumetti.
Tale uscita ha fornito l’occasione per fare un’intervista ai due autori del testo, Dario Amadei e Elena Sbaraglia, sulla genesi del libro e sulle fasi di lavorazione dello stesso, nonché per approfondire ulteriormente alcuni aspetti legati al personaggio secondo la loro opinione.
Ciao Dario, ciao Elena, benvenuti su Lo Spazio Bianco e grazie di aver accettato di rispondere alle nostre domande. Partiamo dall’inizio: da dove è nata l’esigenza di tracciare un profilo ragionato del personaggio di Mickey Mouse?
Per prima cosa, siamo entrambi da sempre appassionati delle sue storie e, quando abbiamo iniziato a collaborare, abbiamo portato nei nostri laboratori di bibliolettura interattiva nelle scuole e nelle biblioteche i corti e i fumetti di Topolino, rendendoci conto del fascino che il topo più famoso del mondo continua a esercitare sui suoi lettori. Con il passare del tempo, abbiamo raccolto tantissimo materiale e alla fine ci è venuto spontaneo pensare di utilizzarlo per un libro e dopo esserci confrontati con l’editore Graphofeel, che ha creduto sin dall’inizio nel nostro progetto, abbiamo deciso di scrivere una biografia romanzata con delle schede di approfondimento.
Dovendo affrontare una figura dell’immaginario con quasi 100 anni sulle spalle, quali sono stati i criteri iniziali che avete stabilito per studiare una “scaletta” e procedere nel lavoro?
Solitamente, quando pensiamo a una storia per una pubblicazione non ragioniamo mai su una scaletta, ma procediamo step by step, scendendo dall’idea iniziale lungo la scala della narrazione passo dopo passo, idea dopo idea. Nel caso di Mickey Mouse – La vera storia del topo più famoso del mondo abbiamo semplicemente ragionato partendo dal giorno in cui è nato e poi abbiamo ripercorso i suoi quasi cento anni cercando di soffermarci sugli episodi più significativi da un punto di vista storico, sociale e culturale.
Ogni sezione è divisa in due parti, distinte anche dal font usato: la prima più discorsiva e la seconda maggiormente focalizzata su fonti e dichiarazioni. Da dove nasce questa impostazione? Come vi siete suddivisi il lavoro in tale struttura?
La struttura del libro è stata pensata fin da subito in questo modo. La prima parte è stata scritta da Dario, distillando idee e emozioni dai corti e dai fumetti di Topolino e il risultato è stato, secondo noi, una biografia romanzata molto originale nei suoi contenuti. Elena ha poi integrato questa parte con delle schede preparate in seguito a una ricerca bibliografica approfondita: ha selezionato le voci più interessanti nel materiale disponibile, che è veramente smisurato. L’impostazione del testo, invece, è stata pensata dall’editore che ha scelto personalmente lo stile, il font e ha curato anche quei piccoli dettagli grafici che distinguono le parti e che, presi nell’insieme, non sono piccoli per niente, perché fanno vivere al lettore un impatto visivo immediato.
Ci sono stati argomenti e aspetti che avevate inizialmente considerato ma che poi avete espunto dalla versione finale?
Ci siamo dati una regola: citare nel libro solamente storie e fatti reali, basandoci su fonti accreditate per non incorrere in falsi storici, o parlare di cose non realmente accadute. Il mondo Disney ha un fandom molto agguerrito e su internet è facile incappare in fake news o in racconti falsati dalla narrazione di qualcuno che si lascia un po’ prendere la mano dalla sua interpretazione troppo personale delle storie. Abbiamo cercato di tratteggiare tutti i personaggi che ruotano intorno a Topolino e di riportare i fatti più salienti: non pretendiamo che la nostra sia una narrazione esaustiva, abbiamo solo cercato di riportare il più possibile, ma siamo ben consapevoli che ci sarebbe ancora tanto da raccontare.
Nei vari discorsi affrontati, vengono spesso citati cortometraggi o storie a fumetti a sostegno delle tesi esposte. Come vi orientavate nella scelta di questi esempi, dovendo pescare da un bacino così vasto?
Abbiamo visto praticamente tutti i corti di Topolino e letto moltissimi dei suoi fumetti più importanti e, procedendo in ordine cronologico, abbiamo identificato quelli che secondo noi erano i più significativi per descrivere un secolo di storia che Mickey Mouse ha attraversato senza mai rimanere indifferente, commentando sempre la sua epoca e risultando alcune volte addirittura profetico.
Vedete questo libro più come un saggio o più come una testimonianza d’affetto di stampo personale?
Possiamo rispondere: entrambe le cose. È una biografia romanzata, l’impronta stilistica è quella del saggio ma non neghiamo che tra le pagine si respira l’affetto che entrambi proviamo per Mickey Mouse.
In alcuni passaggi si respira un senso di nostalgia del passato, di tempi pionieristici e forse più semplici nei quali hanno mosso i primi passi Topolino e gli altri personaggi Disney: queste sensazioni suggeriscono che per voi i decenni seguenti hanno avuto meno spinte e hanno saputo capitalizzare meno il “tesoretto” disneyano?
Indubbiamente l’età d’oro dell’epopea di Topolino esercita un fascino avvolgente, perché in quegli anni è nato dal nulla qualcosa che non c’era e che innegabilmente emana, per i lettori meno giovani, il dolce profumo del ricordo di un’infanzia purtroppo ormai lontana. Questo, però, non significa che il Topolino del nuovo millennio sia meno affascinante o meno intrigante, perché la sua forza è proprio quella di rimanere al passo con i tempi senza mai rinnegare sé stesso. I disegnatori e gli sceneggiatori contemporanei trovano sempre nuove soluzioni, rimanendo però fedeli alla leggendaria scuola Disney di Floyd Gottfredson e, perché no, dei grandi fumettisti italiani. Pensiamo, ad esempio, a Casty, o a Roberto Gagnor, solo per citarne due, che continuano a regalarci delle storie che sono delle vere e proprie opere d’arte.
Approfondendo la figura di Walt Disney, in particolare attraverso alcune sue dichiarazioni ripescate dagli archivi, che idea vi siete fatti dell’uomo, dell’artista e dell’imprenditore?
Walt Disney è stato un pioniere, un visionario, un uomo che ha creduto nei suoi sogni e li ha realizzati. Non solo, è riuscito a far sognare anche quelli che non avevano un sogno. Molte sue dichiarazioni ci hanno colpito e hanno rafforzato l’idea che abbiamo di lui, che è quella di un uomo creativo e innovatore. Ha saputo sempre superare gli ostacoli che ha incontrato lungo il cammino e che sono stati per lui fonte di nuove idee e di nuove opportunità. Se Walt non avesse reagito al furto di Oswald il coniglio fortunato, Topolino non sarebbe mai nato. Se non avesse scelto di vendere la macchina, non ci sarebbe stato il primo film sonoro che gli è costato migliaia di dollari. Se non avesse immaginato un luogo dove far divertire non solo le sue figlie, ma anche sé stesso, non sarebbero nati i parchi di divertimento. È l’uomo che più di tanti altri ha dato forma all’immaginazione e per noi che ci nutriamo di storie è sicuramente un esempio da seguire. Walt Disney, come diciamo nel libro, è anche un simbolo di strategie aziendali e il suo metodo di lavoro è diventato nel tempo riconoscibile e riproducibile nelle organizzazioni che vogliono migliorare e sostenere il loro io creativo.
Quali sono secondo voi gli elementi fondanti di Topolino, quelli che gli hanno permesso di rimanere sulla cresta dell’onda per così tanti decenni senza passare mai di moda?
Topolino ha percorso quasi cento anni di storia e continua ancora a camminare, anzi a correre, con un’energia da far invidia. Riesce a essere sé stesso in ogni epoca e davanti a personaggi leggendari. Prende posizioni, a volte anche scomode, nel raccontare quello che accade. È sempre al passo con i tempi e a volte predice, ammonendo sulle possibili conseguenze di alcuni comportamenti, come nel Mistero dell’Uomo Nuvola in cui anticipa i gravi rischi legati all’utilizzo dell’energia atomica. Si è adattato ai cambiamenti sociali, ambientali, culturali ed è cresciuto, senza mai però invecchiare: all’inizio era un personaggio un po’ scanzonato che con il tempo è diventato serio e affidabile. Non è mai passato di moda perché ha sempre rispecchiato la sua epoca e ogni lettore si è riconosciuto in lui. Abbiamo incontrato nelle scuole dei giovani lettori di Topolino, appassionati alle sue storie come lo erano i loro genitori, i loro nonni e in alcuni casi anche i loro bisnonni e questo ha innegabilmente qualcosa di magico. È rimasto sé stesso ma si è adattato ai tempi, parlando i nuovi linguaggi: ultimamente, ad esempio, è approdato su internet perché vuole continuare a raggiungere tutti, ma proprio tutti.
Quanto della costruzione della figura di Mickey Mouse si deve al lavoro sui fumetti e quanto alla carriera dei corti animati? Ad oggi, di questi due “percorsi paralleli” e delle diverse peculiarità che portano sul personaggio, quale è quello che maggiormente connota Mickey Mouse per le nuove generazioni?
All’inizio Mickey Mouse era il protagonista dei corti, è nato come un attore cinematografico. Lo stesso Walt Disney era interessato al cinema e un susseguirsi di gag rendevano simpatico e giocherellone Mickey, che in alcune storie incarnava la figura dell’eroe americano molto in voga negli anni Trenta e Quaranta. Walt ha poi scelto di far diventare Topolino il protagonista delle strisce che apparivano sui quotidiani americani principalmente per fare pubblicità ai corti. Nel tempo però la genialità di Floyd Gottfredson e dei suoi sceneggiatori ha fatto crescere a dismisura il personaggio, contribuendo in maniera decisiva al mito di Topolino. Alla metà degli anni Cinquanta Mickey non venne più ritenuto adatto per i corti, perché i fumetti lo avevano fatto diventare troppo serio per le gag e Walt non voleva che fosse la spalla di altri personaggi, come Pippo, Paperino e, perché no, Pluto. Mentre continuava a crescere nei fumetti, Topolino è tornato, dopo molti anni, sugli schermi in alcuni lungometraggi e nelle serie televisive americane del nuovo millennio, che, strizzando l’occhio alla grande tradizione, sperimentano nuove formule comunicative dai ritmi spesso molto serrati. I fumetti, ancor’oggi, rappresentano un porto sicuro anche per le nuove generazioni che si fidelizzano leggendo delle storie in cui, d’altro canto, i lettori più attempati che stentano ad apprezzare le serie televisive, continuano a riconoscersi.
Intervista condotta via e-mail nel mese di febbraio 2023
DARIO AMADEI
Eclettico, ironico, poco razionale, molto sognatore, con pochi capelli ma molte idee e baffi grigi a cui ormai non potrebbe più rinunciare.
Medico con la passione per la scrittura o scrittore prestato alla medicina, ha fondato nel 2010, insieme ad Elena Sbaraglia, Magic Blue Ray, impresa culturale che lo fa sentire un uomo libero occupato in percorsi di condivisione e bibliolettura interattiva.
Le sue pubblicazioni più recenti, dedicate a quest’arte, sono Chiedilo ai libri (Castelvecchi), Nati per raccontare (Castelvecchi), scritti con Elena Sbaraglia, e Guarire con Basile (Castelvecchi). Con Graphofeel ha pubblicato Astutillo e il potere dell’anello e Nel mio paese c’era la guerra, scritto con Elena Sbaraglia.
ELENA SBARAGLIA
Psicologa del lavoro, operatrice culturale, formatrice e autrice. Da oltre dieci anni si impegna a livello professionale in ambiti formativi e di education facendo emergere il suo approccio innovativo.
Con Dario Amadei ha fondato nel 2010 Magic BlueRay e insieme, ispirandosi alla biblioterapia, un’arte terapeutica diffusa in particolar modo nei paesi anglosassoni, hanno per primi codificato i principi della bibliolettura interattiva.