L’evento crossover Crisis on Infinite Earths offre l’occasione di riflettere sulla lunga epopea dell’universo DC/CW, tra i suoi pregi e le sue mancanze, dagli inizi fino alle ultime iterazioni. Di seguito, la prima parte della nostra serie di tre approfondimenti nei quali facciamo un balzo nel passato per analizzare i primissimi tasselli del puzzle da cui tutto ha avuto inizio.
EMERALD DAWN – La nascita dell’Arrowverse
Anno 2012. Il precedente, maggior successo della DC in ambito televisivo, Smallville, si era concluso solo l’anno precedente con la decima stagione, e già a gennaio The CW aveva dato luce verde ad Andrew Kreisberg, Greg Berlanti e Marc Guggenheim per produrre il pilot di una nuova serie dedicata al personaggio di Freccia Verde. Così, il 10 ottobre va in onda il primo episodio di Arrow, il primissimo mattoncino di un universo narrativo che negli anni a seguire sarebbe esploso nel media franchise coeso e sfaccettato che è oggi.
Dopo essere rimasto confinato cinque anni su un’isola apparentemente deserta, in seguito a un naufragio nel quale è rimasto coinvolto anche il padre, il playboy miliardario Oliver Queen (Stephen Amell) ritorna nella sua città, Starling City, forte di una rinnovata risolutezza e con una missione: liberare la città dai criminali e dai corrotti che la infestano. Per conseguire tale scopo, Oliver può fare affidamento su una lista di nomi lasciatagli dal genitore, sulle incredibili capacità di combattimento e di tiro con l’arco maturate nel tempo trascorso lontano da casa e su alcuni alleati che via via decidono di unirsi alla sua crociata.
Fin dal suo debutto, l’accoglienza riservata dal pubblico alla prima stagione di Arrow è molto positiva. A decretarne il successo è un insieme di fattori, tra i quali un’impostazione molto nolaniana nel modo di approcciare la materia supereroistica, dove a farla da padrone sono le atmosfere cupe e la volontà di calare il personaggio di Freccia Verde in un contesto quanto più realistico possibile. A riprova di ciò, vi è il fatto che in questa prima fase lo show sia del tutto privo di superpoteri o elementi sci-fi. La serie può anche contare su una gestione dell’intreccio ben studiata e dal ritmo incalzante, con uno sviluppo narrativo che procede lungo due piani temporali distinti. Gli spettatori sono infatti testimoni delle peripezie di Oliver come vigilante nel presente, nonché di svariati flashback del suo tempo passato sull’isola, dei quali i secondi risultano essere a tratti persino più intriganti dei primi. Infine, a vivacizzare le avventure live action dell’Arciere di Smeraldo ci pensa una rosa di personaggi carismatici, tra i quali non si possono non citare l’esuberante maga dell’informatica Felicity Smoak (Emily Bett Rickards), l’ex militare tutto d’un pezzo – e primo alleato di Oliver nella sua lotta al crimine – John Diggle (David Ramsey) e il cattivo principale della stagione, l’Arciere Oscuro Malcolm Merlyn (John Barrowman).
Se già la prima stagione può dirsi una scommessa vinta, la seconda riesce ad alzare ulteriormente l’asticella. Segnato dalla recente morte del suo migliore amico Tommy (Colin Donnell) , Oliver inizia un percorso di introspezione e maturazione, che lo porta a rivedere il suo approccio alla lotta al crimine e a fare i conti coi fantasmi del proprio passato. Il motivo principale per cui questa stagione viene ricordata con tanto affetto dai fan è però il main villain, Deathstroke. Introdotto già nelle primissime puntate della prima stagione attraverso i flashback dell’isola, il personaggio di Slade Wilson (Manu Bennett) è diventato a buon diritto il più memorabile tra tutti gli antagonisti apparsi nella serie. Questo è dovuto proprio al corposo build-up che ha ricevuto: gli spettatori hanno avuto due intere stagioni per apprenderne il background, osservarne lo sviluppo psicologico e appassionarsi all’evoluzione dello stretto rapporto che lo lega al protagonista (cosa che denota una coerenza di scrittura e una progettualità ad ampio respiro che purtroppo gli autori non sono più riusciti a replicare in seguito). L’attore, poi, è riuscito a fare completamente suo il ruolo, offrendo un’interpretazione sentita e diventata subito iconica. Una narrazione dal ritmo serrato, che cresce di intensità via via che ci si avvicina al finale, e una cura lodevole nella realizzazione delle sequenze action – già notevoli nella prima stagione, ma che qui appaiono ulteriormente affinate – riescono infine a tenere costantemente vivo l’interesse del pubblico. È da questo momento, inoltre, che il cast comincia ad allargarsi, con l’introduzione di personaggi come Roy Harper/Arsenal (Colton Haynes) e Sara Lance/Canary (Caity Lotz), che diventano preziosi alleati per la squadra dei protagonisti e comprimari importanti all’interno della serie.
THE BRAVE AND THE BOLD – Flash si unisce alla lotta
Dopo essere già stato introdotto nell’Arrowverse attraverso due puntate della seconda stagione di Arrow (l’ottava e la nona), il Velocista Scarlatto debutta sull’emittente The CW a ottobre del 2014 con la prima stagione della sua serie monografica.
Quando era bambino, Barry Allen (Grant Gustin) è stato testimone dell’omicidio della madre per mano di un misterioso uomo che indossava un costume giallo e si muoveva a supervelocità, in una scia di fulmini rossi. Tuttavia nessuno gli ha creduto e suo padre è stato ingiustamente accusato del delitto e arrestato. Da adulto Barry ha dunque scelto la carriera di scienziato forense, dedicando la propria vita alla ricerca di prove dell’esistenza dell’impossibile, nella speranza di poter un giorno dimostrare l’innocenza del genitore. Una notte, l’esplosione di un acceleratore di particelle gli conferisce il potere di muoversi a velocità sovrumana: decide così di mettere le sue nuove abilità al servizio della giustizia, in particolare per fermare quei criminali che, come lui, hanno ricevuto dei superpoteri dall’energia scaturita dall’acceleratore.
La prima stagione di The Flash segna un altro grosso successo per Berlanti e soci, riscuotendo consensi quasi unanimi da parte di critica e pubblico. La serie si contraddistingue per il tono solare e brioso, in netto contrasto con la sorella maggiore Arrow, spiccando in particolar modo grazie a un cast di personaggi ben assortito e dall’alchimia pressoché perfetta. Una scrittura efficace, che verte principalmente attorno al conflitto con l’Anti-Flash (l’uomo in giallo responsabile dell’omicidio di Nora Allen): lo scontro riesce ad avvincere gli spettatori dall’inizio alla fine, grazie al modo brillante con cui viene imbastito il mistero sulla reale identità del cattivone. A ciò si aggiunge una trattazione delle tematiche sci-fi – come, ad esempio, i viaggi nel tempo – decisamente campy ma proprio per questo intrigante. Anche in questo caso, è il villain uno degli elementi maggiormente riusciti. Il merito va in larghissima parte all’interpretazione dell’attore Tom Cavanagh, che tratteggia un cattivo carismatico e risoluto, oltre ovviamente a una scrittura accorta, in grado di far appassionare alla relazione che viene a crearsi tra lui e i protagonisti.
Il perfetto equilibrio tra tutti questi fattori, in definitiva, ha consentito alla prima stagione di The Flash di distinguersi come una delle migliori produzioni all’interno dell’Arrowverse.
Da segnalare, infine, che si ha qui il primo accenno in assoluto agli eventi che si sono dipanati solo adesso, a quasi sei anni di distanza, in Crisis on Infinite Earths: un articolo di giornale, giunto dal futuro, che preannuncia la scomparsa di Flash proprio durante una Crisi. Certo, verosimilmente al tempo sarà stato inserito dagli autori come semplice easter egg o poco più (tanto che all’inizio la data riportata era il 2024 e solo recentemente, con la scusa di mutamenti nella linea temporale, è stata aggiornata al 2019). Ad ogni modo, ripensando a questo particolare con la visione d’insieme di cui si dispone ora, se ne ricava una sensazione di coerenza narrativa decisamente apprezzabile.
Un po’ meno incisiva ma comunque molto valida la seconda stagione, uscita l’anno seguente. Ora il nostro eroe deve fronteggiare la minaccia di Zoom, un velocista malvagio proveniente da una Terra parallela e intenzionato a portare il caos nel multiverso. Tra i punti di forza della stagione, per l’ennesima volta, troviamo il cattivo. Pur essendo anch’egli un velocista, Zoom è in realtà un villain molto diverso dall’Anti-Flash e, sotto certi aspetti, addirittura più memorabile. Se Eobard Thawne era machiavellico, subdolo e mosso da motivazioni distorte ma comprensibili, Hunter Zolomon è sadico, diretto e spinto unicamente da un primordiale istinto di seminare morte e distruzione che sfugge a ogni razionalità. Tanto a livello di caratterizzazione quanto di character design, con il costume completamente nero che gli dà un aspetto demoniaco, appare come una figura a dir poco terrificante e che non può non rimanere impressa.
Tra gli altri meriti di questa seconda stagione, vi sono poi l’introduzione di nuovi personaggi in grado di portare una ventata di brio in un cast già accattivante (come Wally West (Keiynan Lonsdale) che in breve tempo finisce per affiancare Barry nei panni di Kid Flash) e una narrazione spedita, capace di regalare momenti intensi e colpi di scena. Tuttavia, c’è anche da dire che la sceneggiatura non sempre riesce a mantenersi su livelli ottimali, e questo porta all’insorgere di alcuni episodi più sottotono dal distinto sapore di filler. Inoltre il ricorso a dinamiche riciclate dalla prima stagione, essenzialmente nel modo in cui viene sviluppato il rapporto tra i buoni e il cattivo, si porta appresso una leggera sensazione di ridondanza.
Infine, vale la pena di sottolineare che è in questa occasione che si fa menzione per la prima volta del multiverso. Un concetto destinato a diventare, da qui in avanti, uno dei cardini narrativi fondamentali di tutto l’Arrowverse; fino ad arrivare, per l’appunto, alla recente Crisi, nella quale l’esistenza stessa del multiverso è a rischio.
Se la nuova serie dedicata al Velocista Scarlatto può dirsi partita col botto, parallelamente quella incentrata sull’Arciere di Smeraldo prosegue la sua corsa con risultati ben diversi. È infatti a partire dalla terza stagione che Arrow comincia ad avviarsi lungo una parabola discendente, in termini qualitativi, dalla quale non è mai riuscita a riprendersi del tutto (almeno fino all’odierna ottava stagione, che tratteremo più avanti).
La trama orizzontale, sviluppata attorno al conflitto con Ra’s al Ghul e la Lega degli Assassini, offre in realtà diversi spunti interessanti (su tutti, la decisione del villain di prendere Oliver sotto la sua ala e istruirlo per succedergli come leader della setta di ninja). Nel complesso, a essere onesti, sarebbe ingiusto affermare che questa terza stagione sia del tutto priva di momenti riusciti: per esempio il primo, vero combattimento tra il protagonista e la Testa del Demone, con l’apparente morte dell’eroe, è piuttosto d’impatto. Tuttavia, ciò che di buono la stagione ha da offrire viene messo in ombra da una scrittura per la gran parte pasticciata.
Le caratterizzazioni dei personaggi vengono molto spesso stravolte o innaturalmente piegate per adattarsi alla direzione che gli sceneggiatori hanno arbitrariamente deciso per loro. Il ritmo diventa oltremodo discontinuo, laddove l’eccessivo e mal dosato ricorso a involute sottotrame sentimentali – che in alcuni frangenti raggiungono, senza esagerazione, un livello da soap opera – danno adito a diversi episodi soporiferi, nei quali il plot principale non avanza di una virgola. A ciò si unisce il continuo ricorso a twist ending, nel maldestro tentativo di controbilanciare tale flemmatico avanzamento della trama, che però risultano essere del tutto estemporanei e denotano solo una certa pigrizia nella stesura della sceneggiatura.
Ancor più sconfortante la quarta stagione, la quale ripropone le medesime problematiche che affliggevano la precedente, aggiungendone però di nuove. Tra queste una preponderanza all’interno della storia della componente soprannaturale, incarnata dal nuovo cattivo Damian Darhk, che finisce per snaturare eccessivamente il mood simil-realistico della serie. Una scrittura ancor più raffazzonata, come testimoniato dalla morte illustre che avviene in una delle ultime puntate e attorno alla quale viene creata aspettativa fin dall’inizio della stagione mediante alcuni flashforward che, per stessa ammissione degli autori, non era stata programmata ma decisa praticamente all’ultimo momento. Si moltiplicano gli episodi filler, e anche i flashback del tempo trascorso da Oliver sull’isola diventano nulla più che tediosi intermezzi volti a portare avanti una vicenda collaterale banale e priva di inventiva.
Comunque, con l’arrivo di Flash e le sue avventure, che affiancano Arrow nel palinsesto, prende il via anche un’importante pratica che da questo momento viene ripetuta puntualmente con cadenza annuale e che è diventata uno dei punti di maggior interesse per gli appassionati dell’Arrowverse: quella dei crossover. All’inizio questi sono estremamente modesti, come portata e intenzioni, ma col passare del tempo assumono proporzioni sempre maggiori e si fanno portatori di ambizioni sempre più grandiose. Il pinnacolo di questa escalation è ovviamente rappresentato dalla Crisi di recente messa in onda, la cui portata può essere descritta solo come epocale.
Il primo crossover in assoluto è limitato a delle semplici ospitate di ciascuno dei due eroi nella serie dell’altro per combattere il villain of the week, nella più classica tradizione dei team-up supereroistici. Il secondo, già più strutturato, vede invece Oliver e Barry unire le forze con Hawkman e Hawkgirl per contrastare l’immortale Vandal Savage, in un doppio episodio che svolge anche la funzione di set-up per la nuova serie che avrebbe debuttato di lì a pochi mesi: Legends of Tomorrow.
Si conclude qui il primo dei tre articoli sulla storia dell’Arrowverse. Appuntamento al prossimo per un approfondimento sul periodo più recente di questo universo narrativo e sulle nuove serie che si sono aggiunte, nel corso del tempo, al suo sempre più variegato palinsesto.