La storia dell’Arrowverse – Parte 2: l’espansione

La storia dell’Arrowverse – Parte 2: l’espansione

L'Arrowverse, l'universo narrativo composto dalle numerose serie tv sui supereroi DC Comics trasmesse dall'emittente americana The CW, si è sviluppato nell'arco di otto anni. Ripercorriamo la sua storia dalla prima, iconica stagione di Arrow, fino al recente evento crossover Crisis on Infinite Earths

Nel precedente articolo abbiamo esplorato gli albori dell’Arrowverse, analizzando i primissimi passi mossi dalle due serie “ammiraglie”, Arrow e The Flash. In questa seconda parte del trittico, passiamo a esaminare il periodo più recente di questo universo narrativo firmato DC e The CW, caratterizzato da un netto e significativo ampliamento dei suoi orizzonti.

THE NEW FRONTIER – I confini dell’Arrowverse si espandono

Nel periodo che va dal 2015 al 2018, l’Arrowverse va incontro a un deciso ampliamento, grazie alla messa in onda di tre nuove serie.

La prima, che debutta a ottobre del 2015, è Supergirl, all’inizio trasmessa sul canale CBS e solo a partire dalla seconda stagione ricollocata su The CW. Ambientata in un universo alternativo (Terra-38), rispetto alle due precedenti serie (Terra-1), Supergirl segue le gesta di Kara Zor-El (Melissa Benoist): kryptoniana cugina del ben più celebre Kal-El/Superman, giunge sulla Terra diverso tempo dopo di lui e si adatta a vivere una vita normale tra i terrestri. Almeno finché, per scongiurare un disastro aereo, non è costretta a utilizzare i suoi poteri metaumani, rivelando dunque al mondo la propria esistenza. Inizia così a proteggere la città di National City vestendo i panni della Ragazza d’Acciaio che dà il titolo alla serie, collaborando con la sorella adottiva Alex (Chyler Leigh) e con il DEO, agenzia per la difesa contro le minacce extraterrestri.

Tra i pregi della serie è sicuramente da segnalare un cast particolarmente azzeccato (a spiccare in particolar modo è proprio la protagonista, perfetta sia come phisique du role sia come interpretazione), oltre che una propensione a trattare tematiche molto attuali e sentite, come l’omosessualità e il razzismo. Purtroppo, però, a ciò si accompagna una scrittura generalmente poco ispirata. Se l’eccessiva tendenza a costruire la narrazione attorno ai rapporti interpersonali e alle sottotrame sentimentali può essere giustificata dalla volontà di fare maggiore presa su un target femminile, meno scusabile è la banalità che si ritrova nella gran parte delle sceneggiature dei singoli episodi e nello sviluppo delle trame orizzontali delle varie stagioni.

Trame con poco mordente e dalle risoluzioni spesso frettolose, antagonisti dallo scarso carisma e una leggera ripetitività rendono Supergirl una visione a lungo andare monotona. Se non altro qualche elemento degno di nota c’è, come un paio di simpatici crossover con The Flash nelle prime due stagioni e l’introduzione a tutti gli effetti di Superman (Tyler Hoechlin) a partire dalla seconda stagione (quando la DC ha allentato le restrizioni imposte sull’utilizzo del personaggio), oltre che della sua arcinemesi Lex Luthor (Jon Cryer) a partire dalla quarta. L’Azzurrone può anch’egli contare su una scelta di casting decisamente convincente, ed è di pochi mesi fa la notizia secondo cui The CW avrebbe deciso di mettere in produzione Superman & Lois, serie spin-off incentrata, per l’appunto, sull’Uomo d’Acciaio e la reporter del Daily Planet (anch’ella già apparsa e interpretata da Elizabeth Tulloch).

Successivamente, nel gennaio 2016, è l’ora del debutto di Legends of Tomorrow (serie ufficialmente chiamata DC’s Legends of Tomorrow).
Nel 2166 Vandal Savage (Casper Crump) ha preso il potere a livello globale, instaurando un regime dittatoriale nel quale ogni forma di dissenso viene repressa con la violenza. Il Time Master Rip Hunter (Arthur Darvill), la cui famiglia è stata uccisa proprio dal tiranno immortale, viaggia dunque indietro nel tempo con la sua nave Waverider fino ai giorni nostri, deciso a radunare una squadra di eroi che possa aiutarlo a fermare Savage ancor prima che questi dia inizio alla sua campagna di dominio.

Legends of Tomorrow nasce come serie collaterale nella quale far convergere vari comprimari già apparsi in Arrow e The Flash, allo scopo di dare loro rinnovata visibilità. Tanto è vero che il gruppo dei protagonisti annovera volti noti quali Sara Lance/White Canary (Caity Lotz); Ray Palmer/Atom (Brandon Routh); le due metà del supereroe nucleare Firestorm Martin Stein e Jefferson Jackson (rispettivamente Victor Garber e Franz Drameh); Leonard Snart/Capitan Cold (Wentworth Miller); Mick Rory/Heatwave (Dominic Purcell); oltre a Kendra Saunders/Hawkgirl e Carter Hall/Hawkman (Ciara Renée e Falk Hentschel), introdotti nel precedente crossover.

Fin da subito, la serie riesce a spiccare all’interno dell’Arrowverse per il suo stile nettamente più “caciarone” e sopra le righe rispetto ai prodotti che l’hanno preceduta. È infatti contraddistinta da uno spiccato gusto per l’esagerazione, sia dal punto di vista visivo (laddove non si lesina sulle scene d’azione roboanti e sugli effetti speciali), sia da quello narrativo (con trame così cartoonescamente pompose e spassose da non far pesare gli sforzi di sospensione dell’incredulità necessari per godersele). L’alchimia tra i personaggi principali è ben riuscita, mentre l’espediente dei viaggi nel tempo garantisce una varietà di ambientazioni e situazioni tale da mantenere vivo l’interesse dello spettatore, oltre a consentire agli autori l’inserimento di numerosi elementi di gustoso fan service. Infine, il numero ridotto di episodi – sedici nella prima stagione, contro i canonici ventitré – fa sì che il ritmo non subisca mai flessioni verso il basso.

Questa formula votata all’intrattenimento fracassone e scanzonato, già pienamente funzionale nella prima stagione ma ancora un po’ limitata da alcune scelte pacchiane, nonché da soluzioni narrative talvolta artificiose e da una gestione a tratti impacciata delle dinamiche interpersonali, raggiunge piena maturazione nella seconda. Stavolta le Leggende sono chiamate a fronteggiare la diabolica Legion of Doom (gruppo formato dall’Anti-Flash, Malcolm Merlyn e Damian Darhk), intenzionata a recuperare i pezzi della Lancia del Destino disseminati attraverso il tempo, così da poter riscrivere la realtà a proprio piacimento.

A rendere questa stagione più memorabile della precedente – oltre che una delle più riuscite dell’intero panorama dell’Arrowverse fino a oggi – è un approccio alla narrazione più consapevole, che riesce a limare le problematiche succitate e a offrire un prodotto più coeso e stimolante. L’introduzione di nuovi personaggi, come i membri della Justice Society of America che affiancano talora i nostri eroi nelle loro peregrinazioni, riesce a infondere freschezza e dinamicità a un cast quantomai numeroso. Inoltre, l’espediente dei viaggi nel tempo viene finalmente sfruttato appieno: i protagonisti si ritrovano sovente a interagire non solo con personaggi storici (come George Washington e Albert Einstein), ma anche con icone della letteratura e della cultura pop (come Tolkien e un giovane George Lucas). Questo, naturalmente, riesce a rendere le trame dei vari episodi ancor più coinvolgenti.

Da qui, però, inizia anche per Legends of Tomorrow un graduale declino. La terza stagione è ancora apprezzabile: quella vena di citazionismo, nonsense e divertita spacconeria che ha sempre contraddistinto la serie continua a funzionare, regalando diversi momenti notevoli. Questi, però, sono inseriti all’interno di un impianto narrativo che comincia ad accusare una lieve stanchezza, nel quale si comincia a percepire una certa carenza di inventiva e refrattarietà all’innovazione (l’ennesimo riutilizzo di Damian Darhk come cattivo ne è un sintomo abbastanza evidente).
Si tratta solo di leggere perplessità, che tuttavia trovano una solida conferma nella quarta stagione. È qui che la reiterazione della stessa formula diviene infine stucchevole e la continua ricerca dell’esagerazione, prima maggior punto di forza dello show, viene portata all’eccesso, sconfinando nella pura e semplice demenzialità e apparendo come un espediente posticcio per mascherare la carenza di idee. Vicende dallo scarso mordente e antagonisti privi di carisma vanno a completare il quadro di una stagione nella quale è la noia a predominare.

Un altro eroe si aggiunge al palinsesto The CW a gennaio del 2018, quando debutta la prima stagione di Black Lightning (inizialmente sviluppata dalla Fox, che però decide di accantonare quasi subito il progetto). La serie è ideata da Salim Akil e, come Supergirl, si colloca anch’essa in un universo a sé stante. A differenza delle avventure della Ragazza d’acciaio, però, qui mancano del tutto connessioni o rimandi alle altre serie dell’Arrowverse; almeno fino a Crisis on Infinite Earths, che ha ufficialmente canonizzato la realtà di Black Lightning come facente parte del multiverso CW. Protagonista delle vicende è Jefferson Pierce (Cress Williams), preside di un liceo ed ex vigilante, da diversi anni ritiratosi a vita civile. Quando però la cittadina di Freeland comincia a cadere vittima di una nuova ondata di criminalità, al cui vertice c’è il risoluto boss del crimine Tobias Whale (Marvin Jones III), l’uomo decide di indossare nuovamente il costume di Black Lightning e scendere in prima linea per proteggere la sua comunità.

Un pregio della serie, arrivata ora alla terza stagione, risiede in un cast particolarmente azzeccato: in special modo per quanto riguarda il protagonista, nel quale l’attore riesce a infondere un buon carisma, e il cattivo, che può vantare una caratterizzazione e una presenza scenica dal discreto impatto. Apprezzabile anche il modo non banale con cui la serie riesce a trattare tematiche sociali di un certo peso. Tuttavia, a lungo andare, la zelanteria degli autori nel trattamento di tali tematiche finisce per rallentare eccessivamente lo sviluppo del plot, andando di conseguenza a discapito dell’intrattenimento e rendendo la serie alquanto monotona già dall’inizio della seconda stagione.

Un breve accenno lo meritano anche Vixen e Freedom Fighters: The Ray, due web series animate rilasciate sulla piattaforma online CW Seed, entrambe composte da due stagioni. La prima, del 2015, racconta la storia delle origini della titolare eroina in grado di assumere le caratteristiche di qualunque animale, la quale in seguito avrebbe fatto il suo debutto live action in una puntata della quarta stagione di Arrow. La seconda, del 2017, è invece una sorta di spin-off del crossover Crisis on Earth-X dello stesso anno ed è incentrata, come suggerisce il titolo, sulle vicissitudini del membro dei Freedom Fighters in grado di manipolare i raggi di luce. Per quanto non siano visioni essenziali, si rivelano comunque prodotti divertenti e anche molto rapidi in termini di fruizione, dato il minutaggio esiguo di ciascun episodio. Ideali, insomma, come intrattenimento leggero per chi volesse approfondire una declinazione dell’Arrowverse meno nota.

FOR ALL SEASONS – I “big two” tra alti e bassi

Nel contempo, sia Arrow che The Flash proseguono la propria corsa su un percorso altalenante, per quel che concerne la qualità.

Giunta alla quinta stagione, la serie sull’Arciere di Smeraldo riesce a ritrovare in parte quella verve che negli ultimi due anni era andata perduta, andando saggiamente a recuperare molti degli elementi che ne avevano caratterizzato gli esordi. Accantonate le digressioni nel paranormale, si ritorna a raccontare storie concrete, radicate in un contesto urbano e pseudorealistico (ovviamente al netto delle inevitabili concessioni a un universo narrativo nel quale magia e superpoteri sono cose esistenti e assodate). Un recupero nostalgico di atmosfere e dinamiche del passato, sottolineato dagli autori fin dalle primissime scene della prima puntata, che però si accompagna anche alla volontà di dare alla serie un nuovo inizio e proiettarla verso il futuro, come testimoniato dal rinnovamento quasi totale del cast di personaggi che supportano Oliver nella sua lotta al crimine. Tutti ingredienti, questi, che vanno a comporre una stagione decisamente intrigante da seguire. È vero, non è tutto perfetto. Nello specifico il nuovo villain, Adrian Chase/Prometheus, finisce per risultare un po’ banale, sia per backstory e character design, sia per l’interpretazione dell’attore Josh Segarra; per giunta la narrazione si fa leggermente involuta nella seconda metà della stagione, con conseguente decremento del ritmo. A ogni modo, anche grazie a un finale particolarmente ben costruito, la quinta stagione di Arrow può dirsi nel complesso un prodotto meritevole di considerazione.

La sesta e la settima, invece, possono essere considerate per molti versi come un’unica entità. Questo vale da un punto di vista narrativo, dato che per la prima volta l’antagonista principale Ricardo Diaz (Kirk Acevedo) ricopre tale ruolo in più di una singola stagione e funge da ponte tematico tra le due, ma anche per quanto riguarda il tono generale che le caratterizza. Infatti, dopo cinque anni segnati da continue e marcate oscillazioni nella qualità, con notevoli alti e tragici bassi, Arrow pare infine armonizzarsi su un livello mediano, dove idee interessanti e felici intuizioni di messa in scena si alternano a momenti più fiacchi ed episodi soporiferi. Una sorta di “mediocrità inerziale” che non permette alla serie di elevarsi mai al di sopra di un certo livello di qualità per poter essere definita valida, ma che al contempo non la fa mai scendere sotto il limite della godibilità per spingere il telespettatore affezionato ad abbandonarla.

Venendo a The Flash, nelle annate dal 2016 al 2018 la serie attraversa un iter curiosamente sovrapponibile a quanto visto in Arrow, a parità di stagioni.

Benché non propriamente brutta, la terza mostra infatti un deciso calo rispetto alle precedenti. Beninteso: il nuovo villain, Savitar, è comunque dotato di una presenza scenica sufficientemente minacciosa da farlo risultare memorabile; le puntate deputate all’avanzamento della trama orizzontale riescono a imbastire un intreccio narrativo coinvolgente e qualche altro episodio interessante c’è (come i due incentrati sul conflitto con Gorilla Grodd). Nonostante ciò, la maggior parte del tempo viene dedicato a raccontare vicende largamente dimenticabili. Una sovrabbondanza di episodi filler, dalla scrittura al più mediocre, che finisce per rendere tediosi quei momenti che intercorrono tra uno snodo narrativo e l’altro. Senza contare che il season finale, affidandosi a qualche deus ex machina di troppo, appare anch’esso un po’ sottotono rispetto alla macrotrama dipanatasi fino a quel momento.
La quarta stagione è un ulteriore gradino al di sotto. Qui non sono solo gli episodi filler a minarne la godibilità, ma è anche la stessa vicenda principale ad andare incontro a una certa banalizzazione. Si tende a far ricorso a espedienti narrativi forzati e anche il cattivo, Clifford DeVoe/The Thinker (Neil Sandilands) dimostra molto meno carisma delle nemesi del Velocista Scarlatto che lo hanno preceduto.

E poi la quinta stagione, proprio come accaduto per Arrow, segna un’inaspettata flessione positiva per la serie. È vero che Cicada (Chris Klein) è un villain piuttosto insipido, ed è vero anche che continua a essere presente qualche episodio poco entusiasmante, ma in generale questa stagione può contare su un lavoro di scrittura più accurato. Prima di tutto il personaggio di Nora West Allen (Jessica Parker Kennedy), figlia di Barry Allen e Iris West venuta dal futuro, è una gradita aggiunta al cast, in quanto dà modo agli autori di creare tra i protagonisti una serie di dinamiche inedite e accattivanti. In aggiunta la sottotrama a lei collegata, che vede il ritorno in scena dell’Anti-Flash e che fa da sfondo alle vicende principali, è ben strutturata e riesce a calamitare l’interesse dello spettatore, giocando costantemente sulla conclamata ambiguità del velocista malvagio. Le varie linee narrative vanno poi a convergere in un finale invero più acuto e inaspettato di quanto l’esperienza delle due precedenti stagioni possa far presagire.

Dal canto loro, i crossover tra le varie serie cominciano ad acquisire una rilevanza sempre maggiore nell’economia dell’Arrowverse, diventando sempre più imponenti a livello concettuale e di valori produttivi.

Nel 2016 Invasion!, ispirato all’omonima saga a fumetti scritta da Keith Giffen nel 1988, è il primo a mostrare davvero quali siano le potenzialità di questi team-up televisivi. Riunendo i protagonisti di ben quattro serie – Arrow, The Flash, Supergirl e Legends of Tomorrow – in una disperata lotta per arginare l’invasione della razza aliena dei Dominatori, mette in scena quella che è la più vasta adunanza di personaggi che si sia vista fino a questo momento all’interno dell’Arrowverse. Un cast ampio e variegato che però gli autori sono riusciti a gestire con avvedutezza ed equilibrio, calandolo all’interno di una vicenda dal respiro epico e colma di strizzate d’occhio ai fan di questo universo narrativo.

Crisis on Earth-X dell’anno seguente, invece, vede i nostri eroi unire nuovamente le forze per contrastare i propri doppelganger malvagi provenienti da Terra-X, un universo dominato dai nazisti. Sebbene sulla carta abbia i presupposti per essere un evento ancor più maestoso del precedente (riuscendo anche a esserlo, in certi frangenti), questo nuovo crossover cade purtroppo vittima di un paio di ingenuità. In primo luogo la suddivisione in quattro parti anziché tre come Invasion!, che porta la narrazione a essere troppo diluita, con conseguente insorgere di momenti morti che spezzano il ritmo dell’azione (o ritardano esageratamente quest’ultima, come è il caso nel primo episodio). Inoltre, la presentazione un po’ superficiale della schiera degli antagonisti va a discapito del coinvolgimento nel conflitto che viene messo in scena.

Infine il 2018 è l’anno di Elseworlds, crossover particolarmente significativo in quanto, oltre a introdurre il personaggio di Batwoman (che avrebbe debuttato con la sua serie l’anno seguente), ha anche la funzione di preparare il terreno per Crisis on Infinite Earths. Principale avversario degli eroi di Terra-1, in questa occasione, è Mar Novu (LaMonica Garrett), detto il Monitor, essere cosmico dai poteri quasi divini intenzionato a portare sull’orlo della distruzione, una dopo l’altra, le varie Terre che compongono il multiverso. Il Monitor però agisce in questo modo spinto non dalla malvagità, ma dalla speranza di trovare una Terra protetta da eroi abbastanza potenti da contrastare l’imminente Crisi che minaccia l’annientamento di tutti gli universi. Un ritmo serrato, garantito dal ritorno a una suddivisione in tre parti, e una narrazione briosa, caratterizzata da una gran varietà di personaggi e situazioni, fanno di questo crossover una visione appassionante e in grado di far lievitare le aspettative per l’annunciato evento dell’anno seguente.

COUNTDOWN – La Crisi è prossima

Arriviamo così al presente. Le più recenti stagioni delle varie serie (almeno nel primo blocco di episodi finora trasmesso), iniziate a ottobre del 2019, sono concepite per essere in larga parte un grosso e organico build-up per Crisis on Infinite Earths. Cosa vera, questa, soprattutto per i due capostipiti, Arrow e The Flash.

La prima, giunta all’ottava e ultima stagione, vede Oliver in missione per conto del Monitor tra le diverse realtà del multiverso, al fine di approntare i preparativi necessari per affrontare la Crisi imminente. Probabilmente anche grazie al ridotto numero di episodi totali (solamente dieci), che si traduce in una scrittura più concentrata e dinamica, questa stagione si è rivelata una vera sorpresa. Finalmente scevra di inutili riempitivi, in termini qualitativi riesce addirittura a rivaleggiare con i fasti degli inizi. L’espediente delle realtà alternative consente di calare personaggi noti in ruoli inediti e, di conseguenza, di imbastire dinamiche del tutto nuove e inaspettate. I protagonisti stessi possono godere di momenti di approfondimento apprezzabili. Il ritmo è costante e c’è un equilibrio perfetto tra i momenti più introspettivi, le scene dedicate all’avanzamento del plot e le sequenze d’azione, le quali sono peraltro impreziosite da una cura registica particolarmente lodevole.

Anche la sesta stagione di The Flash, sebbene in misura meno preponderante, si concentra sul preparare la strada per il crossover. Lo fa soprattutto attraverso l’introduzione di Nash Wells (Tom Cavanagh), viaggiatore interdimensionale deciso a portare alla luce i segreti di Mar Novu e destinato ad assumere un ruolo centrale negli eventi di Crisis. Parallelamente, in questa prima parte di stagione si sviluppa anche una storyline legata a Ramsey Rosso (Sendhil Ramamurthy), scienziato che, nella sua ossessione di sconfiggere la morte, finisce per perdere il senno e tramutarsi nel supercriminale Bloodwork. Benché nel complesso risulti di minore impatto rispetto all’ottava stagione di Arrow di cui sopra, presentando qualche episodio meno ispirato e una gestione dei personaggi secondari e delle sottotrame non sempre ottimale, questa sesta stagione di The Flash si mantiene comunque sui buoni livelli della precedente. Le interazioni tra i vari protagonisti rimangono uno degli elementi più spassosi e riusciti della serie e la narrazione riesce a raggiungere momenti di intensità notevoli, specialmente nel sorprendente mid-season finale in due parti.

Infine, come preannunciato da Elseworlds, il 2019 ha visto anche l’inizio di Batwoman, serie incentrata sul personaggio di Kate Kane (Ruby Rose), cugina del più celebre Bruce Wayne/Batman. A tre anni dalla misteriosa scomparsa di quest’ultimo, la ragazza decide di assumere sulle proprie spalle l’onere di proteggere le strade di Gotham e indossa così il costume del pipistrello, divenendo la vigilante che dà il titolo allo show. Concentrandosi unicamente sul raccontare la sua storia, senza quindi alcun tipo di collegamento con le altre serie o anticipazioni del crossover, il debutto televisivo dell’eroina non è però dei migliori, in quanto le prime otto puntate finora rilasciate hanno mostrato una qualità realizzativa abbastanza scadente.

A parte un impianto tecnico di livello quasi amatoriale (con una regia impacciata delle scene d’azione, una fotografia che tentando di essere dark finisce per risultare solamente smunta e grossolane leggerezze di montaggio), a rendere tediosa la visione è soprattutto la sceneggiatura. Quest’ultima appare infatti penosamente banale, appoggiandosi a espedienti narrativi triti e già utilizzati anche all’interno dello stesso Arrowverse, oltre a personaggi oltremodo piatti e a una sottotrama sentimentale stucchevole. A onor del vero la villain, Alice (Rachel Skarsten), è abbastanza carismatica e l’attrice riesce a darne un’interpretazione convincente, ma di certo non è un elemento sufficiente a risollevare il giudizio per una serie che, da come è partita, non sembra possa raggiungere la sufficienza.

A ogni modo, ora è finalmente giunto il momento tanto atteso: l’evento preannunciato da quel fatidico articolo di giornale, ormai sei anni fa. I giochi sono fatti e i cieli si tingono di rosso. Mondi vivranno, mondi moriranno e l’universo non sarà più lo stesso. La Crisi ha inizio.

Si conclude qui il secondo dei tre approfondimenti sulla storia dell’Arrowverse. Appuntamento al prossimo, nel quale ci soffermeremo su un’analisi dettagliata del tanto agognato crossover: Crisis on Infinite Earths.

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