Chi è Uli Oesterle?
Uli Oesterle è sicuramente uno dei più interessanti e dotati fumettisti tedeschi contemporanei, nonostante il numero limitato di opere da lui realizzato. Nato nel 1966 a Karlsruhe, si diploma come grafico all’Akademie für Gestaltung di Monaco. Sin dal 1990 lavora come freelancer nel campo dell’illustrazione, della grafica e del fumetto. Nel 1995, insieme a Thomas von Kummant, Benjamin von Eckartsberg e altri, fonda l’Atelier “Die Artillerie” e inizia a pubblicare strisce e fumetti su varie riviste, come Strapazin e Men’s Health, oltre a fare l’esordio sul mercato statunitense nell’antologia Dark Horse Book of Hauntings. Il suo debutto come autore unico con Schläfenlappenphantasien (Fantasie del lobo temporale, Zwerchfell) gli vale una nomination al Max und Moritz Preis nel 2000, mentre nel 2004 si aggiudica il premio ICOM (Independent Comic Preis) e una nomination al festival di Angoulême per la sua serie Hector Umbra (pubblicata in volume da Carlsen Verlag). Nel 2017 pubblica la raccolta Kopfsachen (che gli vale un primo Ralf Dirks Award), mentre la presentazione del progetto Vatermilch nel 2016 vince il premio della Berthold Leibinger Stiftung che gli permette di finanziare il lavoro sull’opera, il cui primo volume viene pubblicato nel 2020 per Carlsen Verlag (e che gli vale un secondo Rudolph Dirks Award). Anche la città di Monaco, dove vive e lavora, gli ha conferito un premio per meriti artistici.
Alcune delle sue illustrazioni e lavori sono disponibili sul suo portfolio online.
Di padre in figlio: Vatermilch
1974, Monaco. Rufus Himmelstoss è un venditore di tende da sole, ha una moglie e un figlio. Ed è anche un fedifrago, un giocatore d’azzardo e un alcolizzato. Un giorno, dopo l’ennesima sbronza e un terribile incidente, Rufus viene cacciato di casa, diventando un senzatetto e scomparendo dalla vita della sua famiglia.
2005, Monaco. Victor Himmelstoss è un illustratore e autore di fumetti, ha una compagna e un figlio. Ed è anche un attaccabrighe che esagera con l’alcool. Una chiamata lo avvisa che il padre, scomparso da decenni, è deceduto. Così Victor si trova costretto a fare i conti non solo con il proprio passato, ma anche con il suo presente e il concetto stesso di paternità.
Attraverso una storia che alterna il racconto di due uomini e di due generazioni, Uli Oesterle affronta la sua stessa biografia, quella di ragazzo abbandonato da un padre alcolista e quella di uomo che si impegna per essere il miglior padre possibile. Vatermilch (letteralmente Latte Paterno, qui gioco di parole per intendere l’alcool che lega i due protagonisti) è prima di tutto questo, un modo per comprendere le ragioni di un uomo che ha tutto e che tutto perde per colpa di una dipendenza, di una insoddisfazione innata che lo porta a cercare sempre altro, che lo spinge a tradire e stordirsi pur di percepirsi come vincente. Ed è anche un tentativo per ricomporre una frattura, quella tra padre e figlio che non hanno avuto modo e tempo di capirsi: in questo caso, Oesterle crea un parallelo tra Victor e Rufus, rendendoli entrambi vittime della stessa dipendenza (cosa che differenzia Victor dall’autore) e permettendogli così di creare un ulteriore livello di riflessione, quello che riunisce padre e figlio nello stesso errore. La prospettiva di un approfondimento di questo tema, che rende ancor più complesso il già spinoso argomento della paternità, è sicuramente l’elemento più interessante per il proseguimento della storia, qui al suo primo volume.
Al di là del tema e della capacità che ha Oesterle di usare l’arte per esplorare (e forse esorcizzare) in maniera non pedissequa o patetica la propria vicenda personale, quello che colpisce del fumetto è sicuramente l’abilità dell’autore di alternare i toni della storia. Il personaggio di Rufus viene caratterizzato come un vero debosciato, che vuole vivere al massimo l’effervescenza della vivace Monaco degli anni ’90, ritrovandosi in situazioni grottesche e divertenti, e lo stesso si può dire di Victor, che ha anche un personaggio immaginario (caricatura dell’autore stesso) che lo accompagna e gli dà consigli non richiesti; ma col procedere degli eventi, questa apparente leggerezza scompare, facendo emergere la drammaticità della situazione che accomuna i personaggi, arrivando al finale con un Rufus che pian piano si trasforma nei lineamenti, scivolando in un baratro di disperazione, di cui si percepisce tutto il dolore. A questi elementi, Oesterle affianca una sottotrama thriller-poliziesca (in linea con i gusti dell’autore sin dai tempi di Hector Umbra) che coinvolge la polizia di Monaco, al lavoro sull’indagine dell’incidente causato da Rufus.
Tutti questi diversi toni vengono tenuti assieme dalla capacità di Oesterle di dosare ritmo e costruzione delle tavole: il ritmo serrato della commedia “piccante” iniziale, che si divide tra camera da letto e tavoli da poker, lascia il passo alle atmosfere più cupe e taglienti dell’indagine poliziesca, fino ad arrivare a pagine più riflessive e lente, in cui molte vignette ci fanno vedere la struggente e meravigliosa scomparsa di Rufus nell’invisibilità della vita da senzatetto. E se in alcuni passaggi il cambio di scena è troppo repentino, lasciando i lettori un po’ confusi, in altri il controllo della pagina (come nel capitolo finale) è magistrale. Alla gestione di inquadrature e struttura della pagina si aggiunge l’uso del colore: dato che il fumetto è in gran parte in bianco e nero (e in monocromia azzurra o viola per le parti nel presente), l’incursione di colori primari caldi come il verde e soprattutto l’arancione sottolinea i momenti più intensi e drammatici del racconto.
Ultimo degli elementi da analizzare è lo stile di Uli Oesterle, che si distingue dalla gran parte del panorama tedesco, eccezion fatta forse per un altro autore della Carlsen, ovvero Rehinard Keinst. Sin dall’inizio della sua carriera Oesterle ha sviluppato uno stile fatto di linee precise sicure, ora aguzze e taglienti, ora morbide e sensuali, che si confondono tra luci e ombre sfumate, in perfetta sintonia con le storie hard boiled da lui disegnate, con reminiscenza da una parte della scuola statunitense, da Alex Toth a Frank Miller e Mike Mignola (a sua volta estimatore di Oesterle), dall’altra di quella sudamericana, con particolare influenza dell’Alack Sinner di Carlos Sampayo e José Muñoz. Vatermilch rappresenta da un lato la sublimazione di questo stile, soprattutto nella sottile modulazione di luci e ombre, dall’altro è un’ulteriore evoluzione, inglobando una certa eleganza che ricorda Darwyn Cooke e che rende il racconto ancora più espressivo e coinvolgente. L’artista è inoltre molto bravo nel ricostruire abiti, architetture e atmosfere della “Monaco da bere” della metà degli anni ’60, dimostrando un’attenzione per dettagli non solo narrativi ma anche storico-sociali.
Un plauso va infine all’edizione Carlsen, un cartonato con costina arancione in tessuto dal layout elegante che spicca nella produzione tedesca e che sottolinea l’importanza data dall’editore al progetto. Il primo volume di Vatermilch dimostra di meritare appieno le numerose menzioni nelle classifiche di fine anno e diventa di diritto una delle storie più attese in futuro, oltre a confermare il talento cristallino di Uli Oesterle.
Abbiamo parlato di:
Vatermilch: Vol. 1 – Die Irrfahrten des Rufus Himmelstoss
Uli Oesterle
Carlsen Verlag, 2020
128 pagine, cartonato, monocromia – 20,00 €
ISBN: 9783551711588