
From script to panel – Chanbara, una questione di stile
Per la seconda volta nella sua storia Comics Calling tradisce la sua vocazione supereroico-statunitense. Succederà ancora in futuro.
“L’elemento centrale di qualsiasi fumetto, il criterio primo nell’ordine di fondazione, è la solidarietà iconica” (Thierry Groensteen – Il sistema fumetto pag. 22)
Quando si parla di fumetto, anche in questa sede, lo si fa spesso in relazione alla sua funzione narrativa, alla sua capacità di raccontare con efficacia una storia, riducendo così questo ambiente linguistico alla sua caratteristica fondante, quella che lo distingue da tutte le altre arti figurative: la narrazione per immagini sequenziali.
Ma se è vero che la discriminante principale di un fumetto è legata a doppio filo alle relazioni che intercorrono tra le varie unità minime significanti (le vignette) e alla loro compresenza sulla pagina, è altrettanto vero che il lato più emozionale, il cosiddetto mood, è dettato maggiormente dai singoli elementi (le figure, gli oggetti, i personaggi, i colori ecc…) e dalla loro rappresentazione complessiva nella stessa.
“Non si può trascurare il fatto che la natura visiva del testo a fumetti non si risolve nella resa narrativa […] la componente plastica gode di una sua autonomia anche quando, insieme, i suoi elementi stanno raccontando degli eventi […] Nel fumetto, la composizione è difficilmente dominante, ma questo non significa né che sia ininfluente né che debba essere risolta in efficacia narrativa” (Daniele Barbieri – Semiotica del Fumetto pag. 83)
Per farla breve: l’arte sequenziale è il tratto distintivo della narrazione a fumetti, ma la composizione è l’aspetto maggiormente coinvolto nell’esperienza emotiva della lettura. La qualità e la disposizione delle icone presenti sulla tavola influiscono sul lettore ancor prima che affronti le singole vignette.
In quest’ottica il discorso sullo stile non è più incentrato da una mera ricerca del “bel disegno” (qualunque cosa questo voglia dire) ma acquisisce un valore significativo nell’esperienza offerta al proprio pubblico.
In Chanbara, di Roberto Recchioni e Andrea Accardi, questa ricerca diventa ancor più essenziale e strumentale all’obiettivo ambizioso che i due autori si sono posti.
“In questo volume affronto il genere del jidai-geki [dramma storico n.d.r] e del chanbara [combattimento con la spada n.d.r.] direttamente, senza doverlo nascondere dietro il velo di qualcos’altro” (Roberto Recchioni – Postfazione a Chanbara #1)
L’obiettivo è quindi quello di affrontare un genere fortemente radicato nella cultura nipponica, una cultura che spesso è impermeabile ai tentativi di indagine, e quindi di comprensione, di un occidentale. Una cultura che, a partire dal proprio linguaggio, si muove in ambiti e con motivazioni che spesso risultano alieni ai non giapponesi.
Nella postfazione al primo volume Recchioni fa esplicito riferimento alle sue influenze in merito: dalla filmografia di Akira Kurosawa, mediata dalle riletture di registi occidentali quali Sturges, Leone e Lucas, ai fumetti di Sanpei Shirato al Lone Wolf and Cub di Kazuo Koike e Goseki Kojima e alle influenze che questi hanno avuto su Frank Miller, altro nume tutelare dello scrittore romano.
Sembra chiaro che l’obiettivo di Chanbara non sia tanto quello di riprodurre esattamente l’estetica giapponese, scimmiottando i succitati grandi classici del genere, quanto quello di interpretarne le dinamiche secondo la propria sensibilità artistica.
(Nota: qui avevo pensato di inserire un trailer qualunque di un film di Kurosawa ma ho preferito mettere un video preso da “Every Frame a Painting” perché, oltre a mostrare Kurosawa, spiega tante altre cose interessantissime anche se non direttamente collegate al discorso qui intrapreso)
Al doveroso studio della storia e della cultura giapponese si affianca quindi una rigorosa e approfondita ricerca iconografica e stilistica che ha l’obiettivo di creare un lessico originale, che sia inedito e familiare allo stesso tempo.
Il volume comincia così:
TAV 1 1/2 Esterno. Prime ore della sera. Il mare, di quinta, un grosso scoglio investito da un'alta onda. Spuma da tutte le parti. Effetto Sonoro WOOOOSHHHH
Come abbiamo già visto (QUI) gli sceneggiatori hanno modalità diverse di approccio alla sceneggiatura che varia in misura proporzionale alle proprie inclinazioni: c’è chi ha un approccio più letterario, chi cinematografico (come visto nel caso di Hopeless e Messina QUI) e chi da disegnatore di fumetti.
Recchioni, oltre a essere uno scrittore, è anche un disegnatore per cui ha sempre un’idea precisa della narrazione per immagini che vuole rappresentare. È sempre molto attento all’importanza dei significanti all’interno della vignetta, alla disposizione generale della composizione e del layout ma, al tempo stesso lascia lo spazio necessario ad Accardi per esprimere una cifra autoriale necessaria alla resa efficace della sceneggiatura.
Pur non dicendolo esplicitamente nella sceneggiatura, Recchioni indica come riferimento questa sequenza per l’apertura della storia.
Sequenza che Accardi decide di riproporre pedissequamente, come si può capire anche dagli appunti sulle matite preliminari.
“Mandai ad Andrea il riferimento esatto dei titoli Toei, nella mia idea la valenza era ovvia: chi la riconosce, capisce che stiamo dicendo: ‘comincia la storia e sarà una storia classica’, chi non la riconosce, ha una bella scena d’apertura” (R.Recchioni)
Vale la pena soffermarsi sul discorso della citazione in funzione stilistica, nel contesto della summenzionata definizione di un lessico che sia efficace su un piano emotivo.
“Non bisogna sottovalutare il fatto che una citazione rimanda sempre a un immaginario e che il lettore prova piacere nel ritrovare in una storia degli elementi che gli sono familiari. Il ritrovare il già noto è alla base di certi cliché e di certe situazioni fisse tipiche del racconto popolare. In questo senso, la citazione permette di instaurare un rapporto più diretto col lettore che la coglie, ma ha anche lo scopo di rassicurarlo, di metterlo a proprio agio.
È importante, però, che la citazione sia pertinente, ovvero che sia usata come elemento espressivo, il che vuol dire che deve avere una sua precisa funzione all’interno della narrazione, indipendentemente dal fatto che venga individuata e decodificata. Il lettore che non coglie la citazione non deve perdere nulla dell’intreccio. Se riconosce il riferimento, godrà di più del racconto e ne scoprirà nuovi livelli di lettura.” (Intervista a Bepi Vigna)
Quello della citazione è un espediente che condivide le finalità del metaracconto – tese a scavalcare la mediazione della narrazione e stabilire un cortocircuito tra autore e fruitore – pur non richiamando l’attenzione del lettore sulle strutture narrative.
Al centro di diatribe, spesso sterili e che virano su argomentazioni strumentali quali le accuse di plagio o di mancanza di originalità, lo strumento della citazione è quel livello della narrazione in cui l’autore si rivolge al proprio pubblico tramite un linguaggio codificato, autoreferenziale, in cui dice: “amico, se cogli questo riferimento, io e te siamo dello stesso ‘clan’ e ce la intendiamo bene”.
È quindi a questo livello che al racconto viene aggiunta una componente empatica e decisamente più personale, coinvolgente.
La prima vignetta, della prima tavola del primo volume ci introduce quindi in un contesto a noi familiare – ammesso che riconosciamo la citazione – evocando un’immagine iconica per quel pubblico che condivide una specifica parte del proprio bagaglio culturale comune ai due autori.
Lo stesso discorso, valido per un altro segmento di pubblico, può essere applicato all’ambientazione della prima sfida tra Ichi e Ryu che richiama sia nello sfondo che nella posa di Ryu (come richiesto da Recchioni in sceneggiatura), il popolare gioco Samurai Spirit 3.
TAV 11 Splash page. Ichi, di tre quarti di spalle, nella posa che abbiamo visto. Davanti a lui Ryu, in una guardia simile a quella che trovi qui:http://mugenchara.web.fc2.com/object9801.jpg Vento, mare in tempesta, il ponte di Torii, il tempio nel mare, il monte Fuji, il cielo e le stelle e tutta la potenza e l'atmosfera che riesce a dare a una scena del genere. Ryu - Battiamoci!
Il retrogamer, o chiunque abbia speso ore e giorni della propria adolescenza alla ricerca delle combo micidiali sul NeoGeo, non potrà fare a meno di sentirsi emotivamente legato all’immagine in questione.
Altro elemento fondamentale della costruzione di questo lessico è la riproposizione di soluzioni già adottate da altri artisti che si sono trovati ad affrontare problematiche simili, reinterpretate alla luce delle proprie necessità.
TAV 16 Splash page. Questa la vorrei dominata dal bianco. Ti mando un riferimento per farti capire quello che ho in mente: http://1.bp.blogspot.com/-psPF2FI6X2g/T-a3oj4ZtyI/AAAAAAAAAQ8/ztlfHWjOz2I/s640/FromHell.jpg In sostanza vediamo Ichi, di spalle, in campo lunghissimo, piccolino sul fondo della vignetta. Davanti a lui, gigantesco, si erge un samurai in armatura completa, gigantesco, con tanto di maschera demoniaca e gigantesca katana piantata in terra. E' lo Spirito Guerriero. Lo spirito ha un ginocchio a terra ed è leggermente inclinato in avanti verso Ichi. Fiamme gli escono dagli occhi della maschera e fumo dalle narici. Se riuscissi a dargli tutta la potenza nagaiana che trovi, senza perdere la tua grazia e ricercatezza, io ne sarei felice. Sopra lo spirito vediamo “galleggiare” le sue parole, disegnate direttamente nella pagina: TU MI VEDI, VECCHIO! Ichi - s-sì...
La soluzione trovata da Eddie Campbell per rendere l’imponenza della scena onirica di From Hell viene qui applicata in un contesto diverso e trasformata dallo stile di Accardi secondo precise indicazioni di Recchioni (“Se riuscissi a dargli tutta la potenza nagaiana [da Go Nagai N.d.r.] che trovi, senza perdere la tua grazia e ricercatezza, io ne sarei felice”)
Il tutto viene poi completato dallo studio di dettagli e particolari grafici, fotografici, culturali che fanno parte del normale lavoro di documentazione quando si affronta la creazione di un fumetto.
“La tavola che rappresenta il Senshi damashii, lo spirito guerriero, ha un risvolto sempre legato al mio tentativo di aderire più fedelmente possibile alla cultura giapponese.
Una discussione letta su un forum di appassionati di arti marziali, riguardo ad alcune vecchie foto, mettevano in dubbio l’autenticità di un samurai perché poggiava la punta della sua katana a terra, tacciandole per foto di scena.
Quello dovevano essere in effetti.
In fase di ripasso a china ho quindi deciso di non disegnare la ‘gigantesca katana piantata in terra’ e optare per una lancia, lo yari, ricevendo conferma da altre fotografie.
Alla fine della lavorazione di questa storia, però, avevo raccolto così tanta documentazione sulle katane che per diversi motivi e da diversi classi di individui erano piantate a terra, da farmi quasi pentire della scelta fatta.
Questo tentativo di aderire alla verità, attraverso i documenti, è diventato un ricercare ossessivo e d’altronde ‘limitante’, tanto che infine mi sono adeguato alla più semplice pratica che; ‘se l’ha fatto un giapponese è autentico’, o meglio: ‘se sbaglia un giapponese chi sono io per correggerlo? (e posso sbagliare felicemente anche io)’.” (A. Accardi)
Il percorso descritto fino a questo punto dovrebbe aiutarci a capire quanto sia importante la definizione dello stile, della costruzione di un apparato iconografico, nell’economia di un fumetto.
La definizione di questo stile può far trasparire quindi un discorso più articolato di quello che emergerebbe dal semplice racconto delle vicende, andando anche a modificare la fruizione dello stesso da parte del lettore e riuscendo a influenzarne il tempo di lettura e le relative pause.
La sequenza che va da tav. 28 a Tav. 30 ci offre un esempio perfetto di come il ritmo della narrazione sia stabilito, tra l’altro, dalla gestione dei disegni all’interno delle vignette e dalla quantità di dettagli presenti.
“Un’immagine che costringe a una lettura lenta ci costringe anche a vedere al suo interno molti particolari che non vedremmo con una lettura più veloce. Il disegno […] scava nella personalità dei personaggi.” (Daniele Barbieri – I linguaggi del Fumetto. Pag. 86)
Nella prima vignetta siamo chiamati a una pausa, il campo lungo ci distacca da un coinvolgimento diretto e la ricchezza di dettagli, unita alla neve che scende, obbliga l’occhio a soffermarsi per un tempo maggiore del solito.
Qui la disposizione verticale delle vignette suggerisce, già alla prima occhiata, un momento più concitato ma il ritmo vero e proprio viene dato dall’iconografia stessa.
TAV 29 1 Nella soggettiva di Tetsuo che osserva Ichi, accanto a lui. Il vecchio si è voltato verso il ragazzo e lo sta additando con l’indice. Sorride, divertito. Ichi - Dietro di te, Tetsuo... 2 Primo piano, di profilo, su Tetsuo. La lama di una spada corta o di un pugnale, preme contro la sua nuca. Tetsuo sembra stupefatto. Tetsuo - !! 3\4 Verticale. Ichi, in figura intera, di spalle, nella parte a sinistra della vignetta. Davanti a lui vediamo Tetsuo. Alle sue spalle vediamo Jun (adesso in vesti “da battaglia”). Jun ha la lama contro il collo di Tetsuo ma si sta rivolgendo a Ichi. Jun ha un sorrisetto ironico sul volto e un sopracciglio inarcato. Tetsuo è rigido e spaventato. Tetsuo ha voltato un poco la testa, verso Jun, dietro di lui. Jun - Sei sicuro che questo ragazzo sappia cavarsela, vecchio? Tetsuo - Il fatto che io sia abituato a combattere avversari che mi guardando in faccia... 5 Laterale, in piano medio. Tetsuo ha fatto scattare il braccio all’indietro, colpendo Jun allo stomaco con il gomito. Tetsuo - ...non significa che non sappia affrontare quelli che preferiscono strisciarmi alle spalle, donna! Jun - ! 6 Nera. Un lampo la attraversa. Effetto Sonoro SHIIIINNN
La vignetta verticale, più grande delle altre e ricca di dettagli, impone un altra pausa in preparazione alle due successive progressivamente più sintetiche, con l’ultima che rinuncia in toto alla descrittività (“Nera. Un lampo la attraversa.”) in favore della raffigurazione dell’idea astratta.
Il tutto per condurci a voltare pagina e vedere:
TAV 30 1\2\4\5 Allarghiamo. Questa deve essere molto curata. Quasi una specie di illustrazione. In sostanza, Ichi e Jun hanno estratto le loro spade, si sono voltati e, uno dal basso e uno dall’alto, si sono puntati la spada a vicenda, sfiorandosi. Sostanzialmente, ognuno è oltre la guardia dell’altro e potrebbe ucciderlo. Sono fermi. Immobili. Cristallizzati. In sostanza è un mexican stand-off in salsa Giappone feudale. La spada di Jun è una spada da ninja, più corta e a lama dritta. L’elsa è quadrata. 5 Su Ichi. Frontale, in piano americano. Se ci riesci, metti le punta delle due lame, contrapposte, nelle due quinte, in primissimo piano rispetto a Ichi. Ichi è poggiato sul suo bastone. E’ molto serio e guarda dritto verso di noi. Ichi - Basta così! Non è tra di noi che dobbiamo batterci!! 6 Su Tetsuo e Jun. Reinfoderano le loro armi. Tetsuo ha messo un comico broncio mentre Jun lo irride. La scena ha una lieve sfumatura comica. Tetsuo - Ha iniziato lei! Jun - Mammola...
“Quasi una specie di illustrazione”
Qui vale il discorso per la prima vignetta di Tav 28 ma con intenti diametralmente opposti: se prima avevamo la descrizione di una calma bucolica qui la pausa descrive e sottolinea un momento carico di tensione che viene espresso solo ed esclusivamente dal disegno. Si deve entrare nel quadro e farsi raccontare la situazione dagli elementi presenti, il linguaggio del corpo, la neve che cade, le espressioni sui volti…
È in questa lettura tra le righe, in questa accurata definizione del lessico, che gli autori colgono l’estetica del Chanbara e la esprimono efficacemente senza doverne riproporne pedissequamente gli stilemi grafici.